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La scommessa costituente del movimento greco

A partire dal 2006-2007 in Grecia si sono succeduti il movimento contro la riforma universitaria, l’anno successivo la rivolta seguita all’assassinio di Alexis Grigoropoulos, negli ultimi due anni e mezzo le lotte e la vera e propria insorgenza contro le politiche di austerity. A partire dal maggio del 2011, l’occupazione di piazza Syntagma sembra aver segnato l’apertura di un nuovo e ulteriore processo. Quali sono le dinamiche di sedimentazione soggettiva, ovvero le continuità e le differenze tra queste fasi di conflitto e movimento?

Se si vogliono individuare le genealogie o le radici di questi sei anni di lotte in Grecia, bisogna risalire al movimento autonomo radicale negli anni Ottanta e forse alla tradizione dei gruppi studenteschi di sinistra del decennio precedente. Comunque, nel 2006 dopo vent’anni c’è stato il primo movimento capace di mobilitare migliaia e migliaia di persone in una causa comune: è stato il primo passaggio nella radicalizzazione dei giovani in Grecia, verso un nuovo discorso e nuove pratiche. Il movimento ha avuto una piccola vittoria e alcune sconfitte, ma si può dire che nei fatti fu una vittoria perché ha congelato la finanziarizzazione dell’università greca, quantomeno l’ha rallentata notevolmente. Il 2008 è stato, credo, un momento di svolta nella storia europea. C’era stata la rivolta nelle banlieue francesi, ma non era stata contagiosa, non si era diffusa in differenti parti della società, per la particolare struttura urbana di Parigi o magari per altre ragioni. Qui persone differenziate, con condizioni di partenza diverse, sono state unite dalla rabbia. La rivolta del 2008 non aveva domande, all’inizio era solo un’espressione di rabbia, di una rabbia comune. Così, diversi soggetti, come i rifugiati e migranti di seconda generazione, sono entrati per la prima volta nella sfera politica e nello spazio pubblico, gli ultrà hanno interagito con la dimensione autonoma, centinaia di migliaia di studenti hanno autorganizzato le manifestazioni in tutta la Grecia al di fuori dei partiti e delle strutture politiche, le nuove tecnologie hanno permesso di diffondere le parole della rivolta e sono state ampiamente usate nell’organizzazione delle lotte. C’è stato un grande spettro di azioni, da quelle pacifiche a quelle molto violente e clandestine. E c’è stato un intero mese di vuoto governativo.

Ho provato a sintetizzare in poche parole quello che è successo nel 2008, è stato un movimento ambivalente e contradditorio, che ha portato all’evoluzione di molte persone e infranto tutti i vecchi sogni di molti anarchici e comunisti che sono gettati nella depressione, perché ha dato l’impressione che noi volessimo solo una grande notte di distruzione, provocando a partire da dicembre una sollevazione generale. Dopo l’azione di guerriglia urbana del gruppo Lotta Rivoluzionaria tutto il processo si è notevolmente rallentato ed è iniziata l’organizzazione della contro-rivolta dello Stato: dagli intellettuali alla polizia, sono state prese molte misure che continuano ancora oggi, con le nuove riforme del codice penale, della pianificazione urbana, dell’università.

Le energie del dicembre 2008 si riflettono sull’oggi. Si possono vedere movimenti parziali che hanno lì la loro origine e che stanno crescendo, non solo quantitativamente ma soprattutto qualitativamente: un grande esempio è il movimento dei detenuti. Nel 2007 c’è stata una prima iniziativa con alcuni detenuti che hanno organizzato delle lotte, trasformandosi da oggetti della gestione statale a soggetti di azione politica con rivendicazioni e domande. Dopo il dicembre 2008, nel 2009 c’è stata una grande lotta in tutte le prigioni greche, con migliaia di detenuti che vi hanno preso parte, elaborando una lista di sedici domande, alcune molto progressiste e altre che potremmo definire riformiste. Ma il problema dei detenuti in Grecia è davvero enorme ed è solo questione di tempo prima di una nuova esplosione. Un altro movimento che ha accumulato energia a partire dal 2008 è stato quello ecologico, perché la questione ambientale è diventata sempre più seria in Grecia, anche tra gli attivisti. Ci sono state mobilitazioni e piccole vittorie riguardo al piano energetico e delle centrali a carbone, che è stato bloccato. Nell’università si può osservare un passaggio di qualità di molti studenti e la formazione di collettivi autonomi, ma dopo il recente movimento iniziato nel settembre 2011 contro la nuova riforma universitaria non si è ottenuto molto, perché molti gruppi hanno tentato senza successo di riprodurre quanto fatto nel 2007. Non si è dunque creata una struttura comune, non c’è coordinamento delle azioni. Tuttavia, anche nell’università si possono vedere dei cambiamenti.

E ovviamente c’è la crisi, e il movimento al suo interno. I numeri delle persone che partecipano alla politica di strada sono esplosi; ci sono anche figure di destra, assenti da trent’anni. Ci sono stati due anni di scioperi, manifestazioni, scontri, attivismo che hanno legittimato forme di sindacalismo di base e azione diretta, e reso illegittimi i sindacati burocratici. Perfino i socialdemocratici e i conservatori non hanno più alcuna speranza nei sindacati e li considerano addirittura peggiori di Papandreou.

Gli indignati, con l’occupazione di piazza Syntagma, costituiscono l’ultimo elemento che ha inciso in modo forte sullo sviluppo di questo movimento. C’è stata una grande discussione negli ambiti tradizionali degli attivisti se partecipare o no: alcuni hanno partecipato fin dall’inizio, molti dopo, ma c’è una grande e ampia minoranza che non ha partecipato, criticando questo movimento. Proprio questo movimento è secondo me il punto più avanzato nella storia politica greca, che è una storia di rapporti con i partiti, le strutture della rappresentanza e i loro soldi. Si sono create assemblee basate sulla democrazia diretta con un’enorme partecipazione di tutti i tipi di persone; la radicalizzazione di questa soggettività dopo l’attacco della polizia le ha trasformate. Nelle discussioni in piazza sono così mutate un paio di questioni centrali che le caratterizzavano. Una è la posizione sui migranti, pian piano si sono costruite forme di solidarietà tra stranieri e non stranieri. La seconda riguarda l’uso generalizzato della bandiera nazionale, che da sempre evoca la memoria del fascismo o posizioni conservatrici: la questione è stata diciamo sistemata, la parte più populista o di destra è stata messa nella zona alta della piazza, di fronte al parlamento. Ma quelle persone non erano necessariamente di destra o conservatrici: ad esempio, un giorno alcuni gruppi autonomi sono andati nella parte alta della piazza a gridare slogan classici di movimento che sono stati ripresi da tutti. L’altra parte della piazza, la più radicale e interessante, prova a fare una lotta costituente, creando gruppi, azioni, organizzazione, strutture, dall’auto-istituzionalizzazione della moneta al commercio alternativo, istanze legali, e via di questo passo. Comunque, l’attacco generalizzato della polizia a questo insieme di persone è stato un momento molto importante per questo movimento. Ovviamente, molte persone erano tristi per aver dovuto lasciare la piazza, ma credo sia una questione di immaturità: in Spagna le piazze hanno fatto le assemblee e hanno deciso di finire l’occupazione per andare nei quartieri o dando vita ad altre forme di lotta; quello che è successo qui è piuttosto irresponsabile e molto tipico della Grecia, con l’idea di rimanere in piazza fino a che tutto non sarebbe precipitato, salvo poi andare in vacanza il giorno dopo! Nell’ultimo giorno del voto dell’assemblea generale c’erano 5.000 persone in piazza, il giorno dopo cento, e penso che fossero le persone che hanno ancora un lavoro ad Atene, o che sono disoccupati e non hanno i soldi per andare in vacanza.

Di grande importanza è stato lo sviluppo delle reti di assemblee locali, che non possono essere rinchiuse in categorie strette: alcune sono anarco-comuniste, altre apolitiche, altre ancora, le migliori, sono un misto di tutto ciò. Esse hanno creato un’assemblea generale delle assemblee locali, che decide l’organizzazione di azioni comuni. La cosa più importante è stato il blocco della legge sulla tassa di emergenza sull’elettricità, che comporta il taglio della corrente se non la si paga. C’è stata una grande lotta, molte persone non hanno pagato, gruppi di elettricisti hanno riattaccato la luce. La lotta è stata vittoriosa, perché tre giorni fa la corte suprema ha sancito che la tassa è costituzionale ma tagliare la corrente per il mancato pagamento è incostituzionale. Si tratta di una vittoria politica. Ci sono anche altri progetti che le assemblee locali stanno portando avanti, come quello della cucina per dare cibo in quartiere, l’organizzazione di molte manifestazioni locali contro le misure di austerity e molte altre iniziative. Non c’è, comunque, un monopolio nell’organizzazione delle azioni: ci sono anche azioni spontanee e disorganizzate, qualche volta in modo positivo e qualche volta in modo negativo.

Ho tracciato un breve quadro degli ultimi sei anni, per dare un’idea generale. Voglio solo aggiungere che nell’ultimo mese la politica delle domande non ha più niente da dire, si è definitivamente esaurita la sua efficacia: non c’è niente da domandare perché non c’è più nessuno in grado di offrire qualcosa. La propaganda statale non può più dire “obbedite alla legge e noi vi concediamo delle cose”, ma solo “obbedite alla legge perché altrimenti ci sarà il caos”. É l’emergere di un nuovo totalitarismo, molto avanzato, e la politica delle domande ha ceduto il posto alla politica della creazione praticabile e delle istituzioni che possiamo costruire. Il movimento sta ora affrontando una fase di transizione dall’organizzazione di domande politiche a una doppia questione: da una parte difensiva, cioè la difesa dei commons (come l’energia, la terra, gli spazi pubblici, il sapere, ecc.), dall’altra la costruzione di nuova costituzione e nuove strutture, che sono non un esempio di come le cose potrebbero essere, ma sono strutture basate sui bisogni quotidiani e l’ambizione di soddisfare queste necessità. Ovviamente si tratta della parte più difficile: è la costruzione di una nuova società che co-esista con quella che sta collassando. É un periodo affascinante, ma come tutti i periodi affascinanti c’è il meglio e c’è il peggio.

 

Sulla base della tua analisi, si può dire che la sollevazione del 12 febbraio è al contempo la continuazione e la radicalizzazione dell’occupazione di piazza Syntagma…

Penso che il 12 febbraio sia stato un punto di svolta di tutto questo processo. C’è stata una transizione della politica statale che in un certo senso ha applicato molta dell’ideologia di Scotland Yard sul controllo. Ad esempio, da due anni i media, la stampa e il governo stanno sovradimensionando la violenza per screditare il movimento, ma in questi due anni le persone sempre più sono non solo tolleranti con l’uso della forza, ma lo vedono come una parte necessaria dell’azione. Dunque, adesso il governo e i media non fanno vedere scene violente. Il 12 febbraio è stata una delle più grandi manifestazioni che ci siano mai state in Grecia, con centinaia di migliaia di persone che sono rimaste vicine o hanno direttamente preso parte ad azioni di distruzione e a scontri con la polizia, o comunque le hanno supportate. Tuttavia, l’unica preoccupazione della polizia era proteggere il parlamento e ripulire piazza Syntagma, che ha un evidente valore simbolico. Nell’agosto del 2011 le foto di piazza Syntagma e delle vie laterali piene di gente erano un messaggio comune di un movimento forte in Grecia, ora i notiziari mostrano le persone in piazza come nemici e parlano di numeri ridotti, è una propaganda idiota, nordcoreana. Le unità speciali di polizia diventano più autonome e più violente, hanno attaccato gruppi di ultrà o alcuni centri sociali senza alcuna ragione, non hanno arrestato nessuno, attaccano e se ne vanno. Si può vedere come le persone non gridano più, hanno passato il punto della depressione o della rabbia e ora stanno realizzando che non c’è altro da fare se non costruire le proprie istituzioni e difendere i propri commons. Questa è la transizione dopo il 12 febbraio, ma è un processo in corso: anche adesso mentre parliamo ci sono sforzi per organizzare un commercio alternativo senza i supermercati, si stanno aprendo centri sociali in tutta la Grecia, l’azione anti-fascista sta continuando.

 

Quella delle nuove istituzioni è una questione cruciale. Prima hai parlato delle assemblee locali: quali altre strutture organizzative si stanno creando all’interno del movimento?

Non c’è una struttura centralizzata del movimento, anche le assemblee locali di cui parlavo non rappresentano l’intero quartiere, ma sono ampiamente legittimate nelle loro iniziative: ad esempio portano grandi quantità di patate a un terzo del prezzo di mercato e le vendono o le distribuiscono gratuitamente, quindi tutto il quartiere accorre, oppure fanno concerti. Non esiste una struttura centrale, ma moltissime attività molecolari: non c’è un grande spazio di assemblee politiche, il movimento è molecolare, peer-to-peer. La transizione sta avvenendo quotidianamente nei quartieri, nei posti di lavoro. É una scommessa. Questa galassia di iniziative dovrebbero comporsi in un corpo, formare una costituzione comune – costituzione ovviamente non in senso borghese, ma come insieme scritto di norme condivise e dichiarazione di obiettivi. É una scommessa aperta, può aver successo oppure no, ma questa è la sfida per andare avanti, è il solo modo per legittimarsi come potere costituente, in termini spinoziani. Altrimenti l’unico altro argomento che esiste è la violenza, ognuno si legittima nella paura.

In alcuni giorni, settimane o mesi si vedono queste cose in modo diretto, in altri sembra che queste cose non ci siano. Ad esempio, fino al 12 febbraio c’è stato un lungo periodo di piccole iniziative, ma la transizione c’è stata, il processo è continuato. Credo che dall’autonomia italiana degli anni Settanta ci venga la lezione che se non c’è la capacità di trasformare tutto ciò in potere costituente, non c’è possibilità per il movimento di vincere.

 

In Grecia c’è un rifiuto generalizzato del secondo memorandum e delle politiche di austerity, lo slogan “noi siamo il 99%” sembra incarnarsi nel movimento. In questa composizione allargata, ci sono dei soggetti centrali delle lotte?

É come se l’arma teorica della composizione avesse raggiunto il suo limite logico in Grecia, perché è davvero una lotta del 99%. Un’analisi della composizione sociale e di classe richiede laboratori stabili in cui si possono fare delle misure. Si può dire, ad esempio, che nel dicembre 2008 c’erano lavoratori precari, studenti e rifugiati, ma oggi si mobilitano i lavoratori del settore pubblico e di quello privato, i disoccupati, i rifugiati, i migranti, praticamente tutti. Il problema è che se tutti sono contro qualcosa, non c’è qualcosa contro cui andare, come un grande potere. Dunque, ciò che accade qui è che a un certo punto ognuno tenterà di realizzare il proprio piccolo o grande sogno di come immagina la realtà. I fascisti che vorrebbero deportare i migranti o ucciderli applicano la loro logica, altri cercano di costruire serie relazioni con stati stranieri per creare un protettorato e trarne dei profitti, è quello che sta succedendo, ci sono interessi tedeschi rappresentati da molti intellettuali e uomini d’affari greci. Dunque, per cercare una risposta a tutto questo bisogna capire come tutti questi soggetti sociali trasformano l’esistente. Ad esempio, nel settore pubblico ci sarà una riduzione di lavoratori del 50%: cosa faranno queste persone? C’è chi protesta per essere disoccupato e chiede un lavoro, c’è chi va in campagna e ritorna all’attività dei campi, c’è chi crea collettivi intercategoriali. Alcuni compagni, ad esempio, tra cui un falegname, un ingegnere informatico, un ingegnere semplice, hanno creato un collettivo per aggiustare le cose, per costruirle, per trasportarle e per imparare a fare tutto ciò. C’è un cambiamento nel significato centrale di ogni istituzione: questo tipo di collettivi è completamente al servizio del comune nella produzione e nei saperi. Un altro esempio: negli anni Settanta in Italia si diceva che gli studenti erano soggetti sociali che lottavano dove vivevano, era giusto, perché scuola e università erano luoghi da cui veniva il sapere per il lavoro e le persone lottavano dentro per trasformare la produzione, o il suo significato, o per bloccarla. Questo era il discorso nel 2007 nel movimento studentesco. Ma adesso lo Stato si è ritirato dall’università, le fabbriche chiudono, non ci sono spazi; tuttavia, nessuno impedisce di produrre il tuo sapere, dunque bisogna costruire le proprie istituzioni. Naturalmente, sappiamo che un’auto-istituzione di due professori e cinque studenti che parla delle cose che piacciono e trasforma il curriculum non ha legittimazione sociale. Ma partendo dai seminari, sviluppando programmi comuni di saperi per risolvere i problemi della casa, o in filosofia, o in altri campi della conoscenza, allora si può formare un’università autonoma che abbia una legittimazione. Il problema è che non si può offrire una laurea, ad esempio avere un avvocato che venga fuori di qui, ma in tendenza la laurea sta sempre più perdendo il suo significato professionale e il suo valore. La parte di movimento che continua a parlare dei diritti professionali ha completamente perso la bussola, perché lo Stato non ha niente da offrire da questo punto di vista.

Mi rendo conto che quella che sto descrivendo è una situazione turbolente e caotica. Quando la crisi è iniziata non immaginavamo cosa sarebbe successo dopo, ma inconsciamente seguivamo un modello marxista tradizionale e pensavamo che la situazione sarebbe diventata sempre più pesante, si sarebbe creato un grande casino, queste cose non sarebbero state praticabili e il problema sarebbe stato il semplice rovesciamento. Quello che sta succedendo è che non c’è un solo fronte, lo Stato non considera una perdita la chiusura delle università pubbliche: c’è un ritorno a condizioni feudali, in cui ci sono i landlords, che potremmo chiamare commonlords, e lo Stato fa la parte del bullo, un mafioso che vende le sue terre e le sue proprietà a questi commonlords. Con il memorandum lo Stato rafforza le sue strutture di ordine pubblico, militarizzando la polizia, con un esercito (fatto innanzitutto da una massa di disoccupati) al servizio della Nato per le operazioni di polizia in giro per il mondo. L’altra cosa che lo Stato fa è vendere agli interessi stranieri o locali le proprietà pubbliche, l’energia, l’acqua, il vento, il terreno.

 

Quali sono i prossimi passaggi e le prospettive in questo processo di trasformazione da una lotta di resistenza a un piano costituente?

É un processo continuo, dal basso all’alto, ma richiede molte cose. Innanzitutto, un cambiamento antropologico delle persone coinvolte non solo nel movimento, ma complessivamente nella vita. Questo è un punto importante: non c’è un tempo di movimento e un tempo di vita, questi spazi sono ora unificati, non ci sono momenti separati. In tutti questi anni ci sono state sfere simboliche di lotta, si gridava e si domandava, ma dopotutto c’erano alcune garanzie da parte dello Stato e del capitale; ora non c’è nessuna garanzia, dunque l’auto-responsabilità è la chiave primaria. Le persone non erano solite andare alle assemblee per risolvere questioni legate alla vita di tutti i giorni, o problemi urgenti e di gestione quotidiana. Naturalmente noi abbiamo il vantaggio che gli attivisti del movimento sono più avvezzi a gestire le cose e renderle praticabili, ma solo sul breve periodo e solo con un certo tipo di persone. Ad esempio, stiamo portando avanti un progetto chiamato “alloggio solidale”, creando assemblee nei palazzi per costruire una vita in comune. É forse qualcosa di piccolo, certo molto difficile da realizzare, perché negli alloggi ci sono lavoratori del settore pubblico e del settore privato, migranti, studenti, poliziotti, comunisti, fascisti, apolitici, tossici, e tutte queste persone per risolvere i problemi devono cooperare in una forma praticabile. Dunque, il primo passaggio e la prima lotta consistono in questo cambiamento antropologico. É difficile definirlo in termini di tempo, perché è molto differenziato, ma è una grande transizione.

La seconda transizione necessaria è dentro i tradizionali gruppi di movimento: devono cambiare le loro strategie per difendere i commons e gli spazi pubblici, il che richiede una radicalizzazione della lotta e delle competenze organizzative, anche le nuove tecnologie aiutano da questo punto di vista. La terza questione di grande importanza è che tutta questa galassia di reti, assemblee e iniziative devono costruire il mondo in autonomia, con la propria costituzione e la propria legittimazione. Finora, ad esempio, anarchici, maoisti ed ecologisti possono partecipare a una stessa assemblea e marciare insieme nello sciopero, ma quando sono in disaccordo non hanno problemi a mandare tutto per aria. Adesso abbiamo bisogno di tenere questi disaccordi dentro una nuova situazione, nella costruzione di istituzioni in cui la responsabilità è un fattore chiave. Anche una singola persona può cambiare tutto nel quartiere se è legittimata a farlo, ma quindici persone irresponsabili possono creare un grande problema. Tutto ciò richiede risposte e soluzioni.

La quarta questione, altrettanto importante e che voi avete spiegato e analizzato, è che tutti i paesi del Mediterraneo, ma anche dell’Europa del nord e del Nord Africa, si trovano in una situazione ancora più comune che negli anni Sessanta e Settanta. Dal momento che le forze dello Stato e del capitale sono unificate e organizzate a livello internazionale, anche le lotte devono essere organizzate a livello internazionale. Ad esempio, il problema ecologico della Grecia non è un problema locale. Il movimento cerca di combattere l’attitudine Nimby generalizzando la questione. A Keratea c’è una lotta contro una discarica, il discorso non è “non vogliamo la discarica a Keratea”, ma “non vogliamo questa gestione dei rifiuti da nessuna parte” e abbiamo rivendicazioni in positivo alternative alla diffusione delle discariche. Tuttavia, anche se riusciamo a generalizzare il movimento a tutta la Grecia e abbiamo la forza per imporre le nostre rivendicazioni, il capitale può andare altrove, magari nel sud Italia con l’aiuto della mafia. Dunque, dobbiamo creare una marcia comune su molte cose. In questa direzione, e questa è la mia più grande paura, la risposta nazionale sarà peggio di un incubo: se un movimento rifiuta qualcosa, verrà distrutto. Allora, su tutto questo il movimento deve avere un ruolo chiave in Spagna, Italia, Portogallo, Inghilterra o Germania. Le misure imposte alla società greca sono molto ben pianificate, le applicano di paese in paese per assicurarne l’applicazione. In Italia dicono “applichiamo queste misure velocemente per evitare di fare la fine della Grecia”. L’applicazione di queste misure cerca di impedire l’unificazione delle lotte, perché il discorso di movimento non è oggi accettato in Italia o tantomeno in Germania come è accettato in Grecia. In Germania oggi sembrerebbe esserci una delle economie più robuste, ma se si guarda bene è solo una questione di tempo prima che le misure arrivino anche lì.

Dunque, in primo luogo vi è il problema di una transizione antropologica e la capacità di essere i soggetti delle proprie possibilità; in secondo luogo dobbiamo costruire strutture coordinate e costituenti; in terzo luogo dobbiamo internazionalizzare le lotte, o almeno mediterraneizzarle, il che è davvero un problema comune.

 

da: Uninomade

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