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La fine di un’epoca: l’attivismo sindacale nella Cina dell’inizio del XXI secolo

Abbiamo tradotto questo interessante articolo apparso sul blog Chuang che analizza senza concessioni, ma anche senza cedere alla disillusione i cicli di lotte operaie che hanno avuto luogo in Cina a cavallo dei due primi decenni del 2000. L’articolo si concentra in particolare sugli sforzi degli attivisti a sedimentare un movimento sindacale, sforzi che però si sono dovuti misurare con una ristrutturazione generale del capitalismo cinese… Buona lettura!

Il saggio che segue è stato scritto da Wen, un compagno della Cina continentale che ha svolto attività di sostegno ai lavoratori per i primi due decenni del XXI secolo. La maggior parte è stata scritta nel gennaio 2020, subito dopo che gli ultimi attivisti sindacali degli anni 2010 erano stati arrestati, costretti a entrare ancora più in clandestinità o comunque impossibilitati a proseguire molte delle attività su cui si erano concentrati in precedenza. Poi la pandemia ha messo tutto in pausa per un paio d’anni. Negli ultimi mesi, Wen ha rivisto e aggiornato l’articolo attraverso una serie di conversazioni con noi sulle implicazioni della bozza originale e sulle varie forme di attivismo e di lotta sindacale che sono sorte durante la pandemia, soprattutto nel 2022 e nei primi mesi di quest’anno.

Una delle più recenti ondate di agitazioni proletarie è proseguita dal gennaio 2023 fino al momento in cui scriviamo, guidata dai pensionati contro le modifiche al sistema di previdenza sociale, tra cui i tagli alle prestazioni mediche e le proposte di innalzamento dell’età pensionabile. Riteniamo che non sia una coincidenza che questa ondata sia coincisa con il movimento contro riforme analoghe in Francia: entrambi rispondono alla spinta globale del capitale a tagliare i costi della riproduzione sociale, mentre la popolazione invecchia e la crescita economica continua a ristagnare. Sembra improbabile che queste proteste sparse si coagulino in un movimento nazionale prima che lo Stato le stronchi con la sua combinazione standard di bastone e carota, ma queste e molte altre lotte degli ultimi tre anni supportano la nostra tesi (proposta per la prima volta nel nostro articolo del 2015 “No Way Forward, No Way Back” e poi aggiornata in scritti successivi come “Picking Quarrels“) secondo cui la Cina ha iniziato un’intensificazione dei conflitti nella sfera della riproduzione sociale, che si sovrappone e tracima le lotte “del lavoro” in senso tradizionale. A questo proposito, le tendenze osservate in Cina dall’inizio degli anni 2010 sono in linea con quelle di molti altri Paesi e riflettono un più profondo dispiegamento della “legge generale dell’accumulazione capitalistica“.

I cambiamenti strutturali nell’occupazione hanno indotto cambiamenti simili nella soggettività politica e nella conseguente attività dei proletari in Cina. Questo duplice cambiamento fornisce un contesto per il declino della forma di attivismo sindacale esplorata nell’articolo di Wen qui sotto – una forma che, sottolineiamo, non è mai esistita in Cina prima degli anni Duemila e che potrebbe non esistere mai più.[1] Oltre a evidenziare questo contesto, vorremmo anche chiarire ulteriormente la nostra comprensione della relazione tra lotte industriali e attivisti sindacali già suggerita dall’articolo di Wen. In primo luogo, il tipo specializzato di attivisti sindacali di cui si parla qui è stato coinvolto direttamente solo in una frazione delle innumerevoli lotte industriali che sono sorte per lo più “spontaneamente” (anche se spesso organizzate da lavoratori militanti senza alcun legame con le reti di attivisti) nei primi due decenni del XXI secolo. In secondo luogo, come ha detto un altro ex attivista, “sono state le azioni collettive dei lavoratori cinesi (soprattutto quelli del settore manifatturiero costiero) ad attrarre gli attivisti e a spingerli ad avanzare insieme ai lavoratori, piuttosto che gli attivisti con background e visioni del mondo diverse a guidare le azioni dei lavoratori. Tuttavia, gli attivisti… hanno svolto un ruolo preciso nella formazione delle reti organizzative interne dei lavoratori, fornendo una base per [alcune delle loro successive] azioni”.

Questo articolo è quindi un importante contributo alla nostra continua analisi delle lotte di massa e degli interventi della sinistra cinese, nonché una sorta di necrologio per una forma di intervento storicamente distinta la cui epoca è ormai conclusa. Insieme all’autore, ci auguriamo che una franca autopsia del movimento degli attivisti sindacali fornisca lezioni per l’attuale generazione di proletari che avviano nuove forme di resistenza più adatte alle condizioni attuali. Anche se ci possono essere alcune piccole divergenze tra la nostra posizione e quella esposta qui di seguito, il pezzo è un’inestimabile visione di prima mano di un momento cruciale nella storia della lotta di classe in Cina.

–Chuang


Il passare degli anni e dei decenni crea confini temporali arbitrari che raramente si allineano al ritmo dei cambiamenti sociali e politici. La fine degli anni 2010, tuttavia, sembra aver segnato definitivamente la fine di un’epoca. Gli arresti di massa degli organizzatori della fabbrica Jasic e dei degli studenti solidali, di attivisti sindacali non collegati tra loro nel 2018 e nel 2019, e la chiusura di gruppi sindacali, società studentesche radicali e reti di attivisti nello stesso periodo, hanno sigillato il decennio su una nota decisamente pessimistica. Sappiamo che la scena degli attivisti del lavoro che ci era così familiare – gli attori, le organizzazioni, le reti, così come i loro obiettivi e metodi di organizzazione – è evaporata ed è improbabile che ritorni. Ma cos’era esattamente questa scena?

La repressione della fine degli anni 2010

La prima stesura di questo articolo è stata completata nei primi giorni del 2020, all’indomani di un periodo di due anni di implacabile repressione. Il focus della prima stesura su quella repressione, su chi è stato arrestato, sul perché e sul significato di tutto ciò, rifletteva l’umore e la prospettiva di quel particolare momento. Vale la pena di ricordare il momento cruciale che ha dato origine a questa analisi.

Il 2019 si è aperto con la detenzione a gennaio di cinque dei più importanti attivisti del lavoro rimasti in Cina (rilasciati finalmente sedici mesi dopo, nel maggio 2020) e si è concluso con la detenzione a dicembre di altri tre (sorprendentemente rilasciati dopo soli quindici giorni). Nel frattempo, tuttavia, numerosi altri attivisti del lavoro, tra cui giornalisti indipendenti e operatori sociali, sono scomparsi per mesi nelle maglie dello Stato di sicurezza, aggiungendosi a quelli detenuti negli anni precedenti. La maggior parte, se non tutti, i detenuti sono stati rilasciati, spesso in sordina, con condizioni di rilascio che di solito includono il voto di tacere e di tagliare i contatti con il mondo esterno. Nel 2020, questi arresti arbitrari (con durate di detenzione altrettanto arbitrarie) erano diventati così frequenti che si sarebbe tirato un sospiro di sollievo collettivo se nessuno fosse stato arrestato per qualche mese. Mentre inevitabilmente si ipotizzava se un determinato arresto fosse collegato a un altro, nel 2020 si erano verificati abbastanza episodi di questo tipo da ritenere che la causa specifica di ogni singolo caso non fosse più importante.

Con il senno di poi, l’anno 2019 ha segnato un punto di inflessione in cui questo nuovo approccio alla repressione statale si è consolidato. La polizia è diventata più preventiva, mirando meno a punire gli attivisti per ciò che avevano fatto e più a prevenire ciò che potrebbero prepararsi a fare dopo. Con ogni strato di attivisti arrestati, interrogati o sorvegliati a vista, lo strato successivo diventava più esposto, in un cerchio concentrico di repressione in continua espansione. I due anni successivi, dal 2020 al 2022, hanno solo confermato questa tendenza. Nel 2021, almeno due attivisti sindacali sono stati arrestati separatamente ed entrambi accusati del più grave reato di “sovversione del potere statale” (颠覆国家政权). Sebbene il numero di attivisti e organizzazioni presi di mira sia diminuito negli anni successivi al 2019, ciò non riflette tanto un rilassamento quanto la normalizzazione di un nuovo terreno in cui pochissimi attivisti sono stati in grado di agire in modo pubblico o organizzato. Nel frattempo, a parte la detenzione formale da parte della polizia, innumerevoli attivisti e studenti sono stati portati via e interrogati con una certa regolarità. Viviamo ancora all’ombra della repressione della fine del 2010.

Mentre questa repressione si allontana nel retrovisore, non è sufficiente piangere ciò che è andato perduto. Prima di andare avanti e cercare di forgiare qualcosa di appropriato per la “nuova era”, dobbiamo prima chiarire che cosa è stato esattamente che è sorto e caduto durante i primi due decenni del XXI secolo. Da un lato, gli arresti del 2019 hanno segnato l’ultimo colpo di coda di un ciclo di lotte sindacali condotte dai lavoratori migranti provenienti dalle aree rurali, dapprima soprattutto nelle nuove fabbriche e nei progetti infrastrutturali orientati all’esportazione delle città costiere, ma che alla fine si è esteso all’intero settore privato cinese in piena espansione. Questo ciclo guidato dai migranti era iniziato con sporadiche azioni sindacali a metà degli anni Novanta, aveva preso forma nel corso degli anni Duemila e si era intensificato all’inizio del 2010, per poi dissolversi a partire dal 2015 – ben prima dell’ultima ondata di repressioni contro gli attivisti specializzati, che ora possono essere intesi come impegnati in sforzi estremi per far rivivere la precedente militanza di classe. Il ciclo è esploso proprio quando un altro ciclo di lotte sindacali ha iniziato a scemare: quello dei lavoratori urbani del settore statale che hanno lottato senza successo per difendere la loro “ciotola di riso di ferro” socialista contro la ristrutturazione orientata al mercato dall’inizio degli anni ’90 alla fine degli anni 2000, con un picco intorno al 2002. Il ciclo guidato dai migranti è stato definito non solo dal suo arco intrinseco di azioni sindacali, ma anche dalle reti di attivisti e organizzazioni specializzate che sono emerse dalla metà degli anni 2000 alla metà degli anni 2010 nel tentativo di sostenere e dirigere le azioni dei lavoratori, così come da alcune idee su ciò che era lecito, dalle ipotesi su come organizzare al meglio i (compagni) lavoratori e dalla comprensione dei loro obiettivi a breve, medio e lungo termine. Ora che questo ciclo è stato sepolto, e non è ancora chiaro come il prossimo emergerà dall’attuale contesto di “depressione politica” (政治抑郁, una frase che è stata sulla bocca di molti ex attivisti negli ultimi due anni), abbiamo la responsabilità di onorare i morti facendo un bilancio del ciclo di lotte sindacali guidate dai migranti all’inizio del XXI secolo. Molto è già stato scritto sul lavoro, la vita e le lotte dei lavoratori migranti cinesi,[2] per cui questo saggio si concentra sull’ambiente degli attivisti che sono emersi dalle lotte dei lavoratori e che talvolta le hanno influenzate. In questo modo, respingo l’idea diffusa che la repressione sia stata guidata principalmente dalla personalità autoritaria di Xi Jinping. Voglio invece dimostrare che questo ciclo di lotte aveva una sua logica interna e un ritmo legato alle più ampie tendenze materiali dell’epoca.

Stiamo iniziando a vedere una nuova generazione di attivisti che lotta per emergere contro le peggiori probabilità possibili, priva delle infrastrutture e delle conoscenze del recente passato, ma anche libera da alcuni dei suoi fardelli storici e ideologici. In questo senso, dovremmo anche cercare di capire come il prossimo ciclo possa divergere dai due precedenti.

Il picco di un ciclo

Se il punto di partenza di questo ciclo di lotte sindacali può essere fatto risalire alla fine degli anni Novanta, il suo apice è durato poco più di un decennio, dalla metà degli anni Duemila alla metà degli anni Dieci. Questo periodo è stato caratterizzato da grandi speranze. Il 2010 si è aperto con uno sciopero miliare nell’estate del 2010, quello della fabbrica di ricambi auto Nanhai Honda, ampiamente studiato, che ha rappresentato il raggiungimento della maggiore età della nuova classe operaia cinese.[3] Di lì a poco è seguita un’ondata di scioperi dei lavoratori dell’auto, e più tardi, nello stesso anno, uno sciopero di oltre 70.000 lavoratori nella zona industriale di Dalian ha coronato quello che si sarebbe potuto definire l’Anno del lavoratore.[4]

Questi grandi scioperi erano stati preceduti da anni di intensificazione delle lotte sindacali nel Delta del Fiume delle Perle, che avevano costretto lo Stato ad approvare, alla fine degli anni 2000, leggi sul lavoro – sulla carta piuttosto progressiste per gli standard internazionali del diritto del lavoro – come concessioni nel tentativo di ottenere la pace industriale. Per alcuni anni, il governo è sembrato almeno nominalmente dalla parte dei diritti legali dei lavoratori, se non altro per assicurarsi il sostegno alle fondamenta socioeconomiche del suo modello di sviluppo capitalistico. A posteriori, tuttavia, lo sciopero della Honda non segnò la svolta da difensiva a offensiva, con lotte dei lavoratori più ampie e sempre più organizzate, come molti credevano all’epoca, ma solo il culmine di un ciclo di lotte ancora prevalentemente difensive e localistiche, che sarebbero diminuite solo negli anni successivi.

Nei cinque anni successivi allo sciopero della Honda, ogni anno si sono verificati sviluppi significativi, sia sotto forma di scioperi di grandi dimensioni e di conseguenza che hanno avuto un impatto più ampio al di là delle fabbriche, come lo sciopero del calzaturificio Yue Yuen di Dongguan (2014), composto da 40.000 persone, sia sotto forma di notizie sul lavoro che hanno galvanizzato la solidarietà dell’opinione pubblica, come i suicidi della Foxconn (2010-2014). I lavoratori e gli attivisti non sono mai stati esenti da molestie e sorveglianza. Teppisti sono stati assoldati per assalire i lavoratori in sciopero, la polizia ha regolarmente molestato e trattenuto gli attivisti per interrogarli e le ONG del lavoro sono state costrette a trasferire i loro uffici. Ma gli attivisti hanno risposto a questi nuovi sviluppi in modo ottimistico e attivo, discutendo su come intervenire al meglio. Lo Stato ha cercato di sedare le agitazioni sindacali con la legislazione e la retorica a favore dei lavoratori, mostrandosi disposto a collaborare con le ONG del lavoro in un matrimonio di convenienza per ottenere il consenso dei lavoratori al sistema di relazioni industriali emergente e più regolamentato che stava lentamente prendendo forma. Lo Stato ha tollerato le labour ONG per il loro lavoro di servizio, pur monitorando e delineando i parametri delle loro attività, in modi sottili o meno.

Tra i partecipanti e gli osservatori delle lotte operaie c’era più di una dose di ottimismo ingiustificato sull’inevitabilità di un movimento sindacale crescente e più organizzato che emergesse dalla densità effettiva delle lotte operaie. Sebbene il movimento sindacale classico euro-americano fosse più specifico dal punto di vista storico di quanto spesso si riconosca,[5] per anni attivisti, accademici e persino alcuni leader riformisti dell’All-China Federation of Trade Union (ACFTU, semplificando il sindacato di Stato cinese ndt) hanno guardato all’Europa e agli Stati Uniti per individuare il percorso futuro della Cina. Dal punto di vista dei primi anni 2010, anche se lo spazio politico proibiva qualsiasi attività sindacale autonoma, pochi credevano che la possibilità che i lavoratori si sviluppassero in un forte movimento sindacale fosse del tutto preclusa.[6] Al contrario, l’orizzonte delle lotte appariva aperto e sembrava che potessero prendere molte direzioni. Sembrava certo che non si trattasse di una questione di “se”, ma di “in quale direzione” e “quando” i lavoratori avrebbero sviluppato forti forme di organizzazione sindacale. Quell’eccitazione, che rasentava un senso di inevitabilità, può essere difficile da ricordare oggi, ma è stata pervasiva per molti anni.

I milieux degli attivisti

All’interno di questo ciclo, sono emerse due generazioni di attivisti, che hanno preso forma e a loro volta hanno influenzato altre azioni sindacali. È stato nel contesto delle forti azioni collettive della fine degli anni 2000 e dei primi anni 2010 che alcuni degli attivisti sindacali più militanti della Cina, che sono stati alcuni dei principali bersagli della repressione tra il 2015 e il 2019, hanno sviluppato le loro capacità organizzative quasi da zero. Sono stati in gran parte tagliati fuori dalle precedenti generazioni di attivisti, come i lavoratori militanti delle fabbriche statali cinesi degli anni ’90 e dei primi anni 2000, alcuni dei quali hanno affrontato una repressione particolarmente dura per il loro ruolo di resistenza alle privatizzazioni e alle chiusure. I primi di questi nuovi attivisti sono entrati in scena proprio mentre le lotte dei lavoratori statali si stavano esaurendo alla fine degli anni Novanta. La generazione successiva è emersa all’inizio degli anni 2010, ben dopo che queste battaglie erano state perse.

Questa nuova generazione di attivisti è tutt’altro che omogenea. Mi concentro su tre gruppi con caratteristiche distinte che hanno svolto ruoli di rilievo nell’organizzazione e nel tentativo di costruire un movimento sindacale.[7]

In primo luogo, la prima generazione di attivisti del lavoro migrante potrebbe essere definita il gruppo dei “migranti di base”, incentrato nelle città del Delta del Fiume delle Perle, Shenzhen, Guangzhou e Dongguan, che negli anni Novanta e Duemila erano ancora in rapida industrializzazione. I membri di questo gruppo hanno un background ampiamente simile a quello degli ex lavoratori migranti, avendo lasciato le loro città rurali per lavorare sulla costa in quei due decenni. Alcuni hanno fondato le proprie organizzazioni sindacali o si sono uniti a quelle già esistenti, anche se molti hanno operato come organizzatori non affiliati. Molti sono emersi come volti pubblici del nuovo “movimento sindacale” cinese. Pochi avevano un’istruzione universitaria e la maggior parte delle loro organizzazioni era composta da ex lavoratori di base e, in misura minore, da laureati. Tendevano a essere ideologicamente amorfi, spesso mescolando la difesa degli interessi dei lavoratori con l’antiautoritarismo e le politiche a favore del mercato che oggi possono sembrare incoerenti, ma che sono state abbastanza comuni nei Paesi postsocialisti. Tra i più sofisticati dal punto di vista politico, alcuni guardavano a una versione indefinita della socialdemocrazia europea come futuro auspicabile per i lavoratori cinesi, e in generale si opponevano a forme di socialismo sovrapposte al dominio autoritario. Molti lavoravano con accademici interessati alle relazioni industriali e con avvocati che simpatizzavano con le loro cause e che erano disposti a correre il rischio di rappresentare i lavoratori in casi moderatamente delicati. Ciò tendeva a orientare l’ambiente verso una modernizzazione progressiva del sistema legale, in modo che fosse libero da interferenze statali, e verso una concezione delle relazioni industriali incentrata sulla contrattazione collettiva tripartita di tipo ILO (International Labour Organization, si tratta dell’organizzazione specializzata delle Nazioni Unite sui diritti del lavoro. L’ILO attua il suo mandato attraverso tre istituti principali, ognuno dei quali a struttura tripartita: governi, datori di lavoro, lavoratori ndt). Nonostante la loro politica moderata, tuttavia, il loro background di lavoratori migranti, il loro carattere più organizzato, i loro legami con i finanziamenti stranieri attraverso le fondazioni internazionali e l’ampiezza delle loro reti emergenti hanno fatto sì che venissero percepiti come una minaccia per lo Stato. Questo significa che spesso sono state le prime vittime della repressione.

Il secondo è il gruppo della “società civile”. Questo ambiente è stato plasmato dallo sviluppo della società civile sia come quadro concettuale per le loro azioni sia come realtà dominante a Guangzhou, una realtà che si è sviluppata a partire dalle università di orientamento liberale della città, dai media commerciali e in connessione con gli attivisti della società civile appena al di là dei checkpoint di confine a Hong Kong. La maggior parte di questi attivisti del lavoro a capo di ONG non si sarebbe identificata come di sinistra o radicale, anche se in pratica non erano necessariamente ostili alle posizioni più esplicitamente di sinistra di studenti e lavoratori che a volte facevano volontariato o lavoravano per loro o con cui collaboravano. Condividono il liberalismo sociale e politico che è fiorito insieme alla svolta riformista del governo del Guangdong nei primi anni 2010, sotto il segretario provinciale del partito Wang Yang. Molti sono stati politicizzati mentre frequentavano le università locali, spesso attraverso il coinvolgimento in società di volontariato, l’esposizione ai media liberali o la partecipazione ad attività come performance art e manifestazioni su piccola scala. Grazie all’ambiente più permissivo, hanno avuto la possibilità di partecipare alle numerose organizzazioni della società civile che esistevano in quegli anni, formando reti con attivisti che lavoravano su una serie di altre questioni sociali e politiche. Alcuni di loro hanno poi scelto di lavorare per queste organizzazioni, mentre altri hanno continuato il percorso accademico, mantenendo talvolta legami con la società civile.

Infine, c’era un gruppo della “sinistra radicale” che emerse soprattutto a Pechino. Questo gruppo si basava su studenti e neolaureati esplicitamente marxisti, spesso sotto forma di “gruppi di studio” fortemente influenzati da una versione del maoismo sviluppatasi all’interno di alcune delle università più elitarie del Paese. Questo maoismo non era tanto un programma politico coerente quanto una nostalgia e una difesa di Mao Zedong e delle sue politiche percepite come progressiste e pro-lavoratori. Spesso influenzata dai professori di questi studenti e dalle vecchie reti di orientamento maoista, di solito collegate ai vecchi lavoratori del settore statale che avevano perso i loro mezzi di sostentamento e si sentivano defraudati dalle ristrutturazioni degli anni ’90, la formazione ideologica di questi studenti radicali ha di solito preceduto il loro attivismo sindacale. Molti hanno iniziato a orientarsi verso l’organizzazione del lavoro durante il processo di formazione ideologica, guidati da studenti radicali più anziani. Questi gruppi tendevano a diventare ideologicamente uniformi e altamente disciplinati, spesso conducendo inchieste (rivolte al personale del campus o ai lavoratori delle fabbriche o dei cantieri vicini) per imparare a organizzare e costruire alleanze tra studenti e lavoratori. In questo modo, con la loro eterodossia ideologica e le loro alleanze interclassiste, rappresentavano una doppia minaccia per lo Stato. Ma è stato solo più tardi che la loro attività, limitata principalmente a discussioni e ad alcune forme rudimentali di organizzazione, è stata presa sul serio dallo Stato. Un punto di svolta si è avuto alla fine del 2017, quando le autorità hanno arrestato alcuni studenti attivisti, noti collettivamente come Eight Young Leftists (左翼八青年), che avevano organizzato gruppi di lettura e di sensibilizzazione per studenti e lavoratori a Guangzhou (alcuni di loro si erano trasferiti da Pechino in quell’ex focolaio di lotte dei migranti nel delta del Fiume delle Perle a questo scopo). [8] Anche se in seguito sono stati rilasciati, apparentemente grazie all’intervento di ex leader di sinistra del partito, questo ha messo gli studenti marxisti in generale nel mirino dello Stato. Forse a causa della loro base nelle università d’élite (gli studenti universitari sono stati di solito trattati con maggiore indulgenza rispetto ai lavoratori e agli attivisti non studenti), non si è verificata una seria repressione a livello nazionale fino all’affare Jasic del 2018 e alle sue conseguenze l’anno successivo.[9] Da allora, gli studenti universitari sono stati monitorati molto più da vicino.

Scollegata dalle precedenti tradizioni sindacali cinesi, emersa in concomitanza con l’alta marea dei movimenti globali della società civile che hanno incoraggiato la formazione di organizzazioni non governative e sullo sfondo della soppressione statale del sindacalismo indipendente, la principale forma organizzativa dell’attivismo sindacale è stata quella delle ONG. I primi due raggruppamenti hanno lavorato in gran parte all’interno di questo quadro. Queste ONG, pur non essendo del tutto omogenee, non si sono mai sviluppate in qualcosa di paragonabile alle organizzazioni di massa, come i sindacati storici o i partiti politici, né avremmo dovuto aspettarci che lo facessero.

Sebbene i gruppi della “società civile” e della “sinistra radicale” divergano ideologicamente, condividono in gran parte un background comune. Entrambi appartengono più o meno alla stessa generazione di giovani con un’istruzione universitaria, idealisti e impegnati. Molti di loro hanno frequentato le università cinesi più prestigiose del Guangdong e di Pechino tra la fine degli anni 2000 e l’inizio del 2010. La loro formazione in università d’élite avrebbe dato loro un buon inizio di vita, se non necessariamente una vita di comfort e status. Ma non provenivano necessariamente da famiglie d’élite. Molti di loro sono stati influenzati dal loro background familiare rurale e migratorio, e quindi si sono identificati con la classe operaia migrante svantaggiata immiserita nelle fabbriche e nei cantieri. La recrudescenza delle nuove lotte operaie nella seconda metà degli anni 2000 e nei primi anni 2010, con lo sciopero della Honda e i suicidi della Foxconn come eventi cardine, ha ulteriormente radicalizzato questi studenti. Tuttavia, il luogo in cui si sono radicalizzati (Pechino o Guangzhou) può essere stato importante quanto il motivo per cui si sono radicalizzati (ad esempio, la lotta sindacale). In pratica, c’è stata anche una notevole sovrapposizione tra i gruppi dei “migranti di base” e della “società civile”, che sono arrivati a occupare lo stesso spazio politico sotto forma di ONG del lavoro, nonostante i loro background personali molto diversi. Insisto su questo punto per sottolineare che, sul campo e nel tempo, le relazioni tra i diversi gruppi si sono evolute, a volte allontanandosi o addirittura diventando ostili gli uni agli altri, mentre altre volte collaborando e mantenendo alleanze.

Tipi di coinvolgimento nelle lotte sindacali

Per comprendere il significato della repressione della fine degli anni ’90 nei confronti di questi attivisti specializzati e delle reti di supporto in relazione al più ampio mondo delle lotte sindacali cinesi (in cui solo una piccola parte di questi attivisti è stata coinvolta, sebbene tali lotte siano talvolta diventate più significative grazie a fattori quali l’attenzione dei media), è utile attingere alla tipologia di scioperi – e ai tipi di partecipanti associati a ciascuna tipologia – sviluppata da Parry Leung nella sua ricerca sugli scioperi e sull’attivismo sindacale nel settore della fabbricazione di gioielli della Cina meridionale:[10]

Sciopero di tipo I – Sciopero spontaneo: Un’azione di massa di natura spontanea, senza un organizzatore o una preparazione; manca una pianificazione strategica e i rappresentanti dei lavoratori devono negoziare con la direzione.

Sciopero di tipo II – Sciopero guidato da attivisti (azione una tantum): Pianificato e organizzato da un manipolo di attivisti sindacali e sostenuto dalla generalità dei lavoratori; trattative informali tra la direzione e i rappresentanti dei lavoratori, ma senza il raggiungimento di un accordo formale. Gli attivisti dei lavoratori subiscono ritorsioni e licenziamenti poco dopo lo sciopero. Il nucleo organizzativo degli attivisti viene solitamente sciolto o smantellato dopo uno sciopero.

Sciopero di tipo III – Sciopero guidato dagli attivisti (con un nucleo di attivisti duraturo): Lo sciopero non è un episodio isolato. Il nucleo di attivisti che guida lo sciopero/l’azione di protesta ha esperienza nell’avviare scioperi maturata in precedenza. La rete del nucleo di attivisti è in grado di avviare o sostenere azioni di sciopero ripetutamente. Il nucleo di attivisti è guidato da “quasi-leader”.

Lo sciopero di tipo III può essere ulteriormente suddiviso in due sottotipi:

Tipo-IIIa: il nucleo di attivisti duraturo è una rete di attivisti trasversale alla fabbrica: La struttura organizzativa degli attivisti può essere mantenuta dopo l’azione di sciopero, ma è gestita all’interno di una particolare fabbrica. Il nucleo di attivisti è formato da lavoratori attivisti di diverse fabbriche.

Tipo-IIIb: il nucleo di attivisti duraturo è mantenuto all’interno di una particolare fabbrica: Il nucleo di attivisti può mantenersi e operare all’interno della fabbrica dopo lo sciopero, di solito con l’elezione di rappresentanti dei lavoratori durante lo sciopero e con accordi formali scritti dopo i negoziati.

Sciopero di tipo IV: Sciopero guidato da un leader (attualmente inesistente in Cina): un movimento sindacale organizzato, con azioni intersettoriali o regionali che promuovono gli interessi di classe dei lavoratori, è in grado di esprimere una visione chiara del movimento alla comunità dei lavoratori. I leader del movimento hanno la risoluzione di mettere in pratica la visione.

Sembra che la maggior parte degli scioperi in Cina durante questo ciclo di lotte rientri nei primi due tipi: scioperi spontanei e scioperi guidati da attivisti (azioni una tantum). In alcuni casi, si sono sviluppati nel terzo tipo: scioperi guidati da attivisti (con un nucleo di attivisti duraturo), che hanno sostenuto le reti ma sempre all’interno di un luogo di lavoro. Come ha notato Leung, l’ultimo tipo, che si estende a più luoghi di lavoro e regioni, non ha avuto luogo durante il ciclo di lotte dei migranti all’inizio del XXI secolo (con alcune possibili eccezioni, come la già citata ondata di scioperi del 2010 e gli scioperi nazionali del 2018 dei gruisti e dei camionisti – i primi limitati a scioperi di breve durata e gli ultimi due casi che riflettono le strutture uniche di questi settori, piuttosto che richiedere il tipo di organizzazione che sarebbe necessaria per altri settori come quello manifatturiero).

Tuttavia, sostengo che i tre gruppi di attivisti, ognuno a modo suo e con vari successi e fallimenti, hanno cercato di costruire l’ultimo tipo di lotta, concepita come un passo verso la costruzione di un movimento sindacale, invece che come un insieme di attività di sciopero non correlate. Negli anni che hanno preceduto la repressione finale, i raggruppamenti “di base dei migranti” e della “società civile” si sono concentrati sulla promozione delle loro versioni della contrattazione collettiva e di un sistema di rappresentanti dei lavoratori (non tanto un’invenzione quanto un adattamento da parte di alcune ONG e avvocati del lavoro di una tendenza emergente tra le lotte operaie in cui i lavoratori avevano avviato forme di negoziazione ad hoc con i dirigenti) per formalizzare la rappresentanza dei lavoratori, e sebbene le varie organizzazioni non andassero spesso d’accordo, stavano diventando una rete, in senso lato, con obiettivi e metodi ampiamente condivisi. Anche il gruppo della “sinistra radicale” era diventato più organizzato nel suo approccio alla costruzione di un’alleanza studenti-lavoratori per radicalizzare ideologicamente le lotte sindacali, facendo crescere le proprie reti non solo nei campus universitari, ma anche all’interno delle fabbriche (Jasic è solo l’esempio più noto di molti tentativi da parte di studenti e altri attivisti di sinistra di inserirsi in una fabbrica).

Sebbene questi attivisti abbiano spesso sopravvalutato la propria importanza e il proprio livello di successo in tutti questi sforzi, la loro influenza non è stata trascurabile. Gli attivisti di tutti e tre i raggruppamenti hanno svolto un ruolo strumentale nella coerenza della lotta sindacale su scala più ampia, mettendo in contatto i lavoratori di diversi luoghi di lavoro e settori con gli attivisti e i gruppi di sostegno agli studenti di altre regioni, nel tentativo di conservare e trasferire le esperienze tra gli scioperi momentanei e di guidare la strategia dei lavoratori nelle loro lotte. Gli sforzi per coagulare la lotta in modo organizzato attraverso le reti sono diventati il punto focale della repressione negli ultimi anni. Queste reti sono state effettivamente spazzate via. In opposizione all’idea che la repressione sia il risultato della personalità autoritaria di Xi Jinping o di altri leader statali, un fattore chiave che guida la repressione, e una spiegazione della sua tempistica, potrebbe essere che i gruppi di attivisti si stavano in realtà muovendo verso la confluenza del secondo e terzo tipo di sciopero nel quarto: qualcosa di più simile a un “movimento sindacale”.

Tuttavia, gli attivisti erano troppo pochi per consolidare le lotte in un movimento e la loro capacità di coltivare organicamente la leadership da queste lotte – tra gli stessi lavoratori – era generalmente scarsa. I gruppi di attivisti rimasero per lo più sforzi di intervento “esterno”, come divenne evidente nell’affare Jasic. Le poche eccezioni a questa situazione sono state spazzate via prima che avessero la possibilità di mettere radici. Questo riflette la consapevolezza che l’insurrezione sindacale di per sé ha una possibilità molto minore di svilupparsi in un movimento organizzato se lo Stato è in grado di reprimere gli organizzatori e le organizzazioni sindacali. La crescente restrizione della ricerca accademica, che ha interessato pesantemente gli studi sul lavoro, ha negato anche lo spazio accademico per discutere le strategie di organizzazione del lavoro.

Lo Stato cinese è solitamente in grado di gestire le agitazioni sindacali organizzate dai lavoratori che agiscono da soli, ma è stato particolarmente vigile nei confronti degli agitatori esterni. La repressione degli attivisti sindacali, tuttavia, non ha scoraggiato i lavoratori dallo sciopero, poiché raramente l’organizzazione dei luoghi di lavoro è dipesa principalmente da questi attivisti. Negli scioperi e nelle proteste selvagge degli immigrati a partire dagli anni ’90, i lavoratori sono stati arrestati in massa solo raramente.[11] In parte, questo è dovuto al fatto che, senza un sindacato o un’altra organizzazione a capo dello sciopero, i capibanda che sono esistiti spesso emergono organicamente e cambiano nel tempo piuttosto che essere formalmente selezionati, cosicché identificarli da parte delle autorità non è mai stato un compito facile. Tuttavia, la possibilità che vengano presi di mira per una repressione intensiva aumenta in modo significativo ogni volta che i leader identificati dalle autorità si organizzano anche al di fuori del proprio luogo di lavoro, anche se a volte vengono fatte concessioni agli stessi lavoratori in sciopero per pacificare lo sciopero.

Nel mettere in evidenza questi gruppi di attivisti, non intendo suggerire che essi rappresentino le lotte dei lavoratori o che siano addirittura i fattori più importanti nel plasmare la lotta. Dopo tutto, negli ultimi due decenni, le lotte dei lavoratori in Cina non si sono affidate a organizzatori esterni per organizzare scioperi. I lavoratori all’interno dei propri luoghi di lavoro, mobilitandosi attraverso reti personali e di quartiere, si sono organizzati in azioni collettive. Questa auto-organizzazione, che oggi gli organizzatori del lavoro nelle economie più deindustrializzate potrebbero solo invidiare, è stata sia una benedizione come forma di lotta diretta tra lavoro e capitale non mediata dalla burocrazia sindacale, sia, senza alcun consolidamento organizzativo, un ostacolo allo sviluppo della classe come forza organizzata. Ciononostante, gli attivisti cercavano, a modo loro, di spingere il ciclo di lotte in direzioni particolari.

Fine del ciclo

Questo ciclo di lotte sindacali, tuttavia, si stava concludendo a metà degli anni 2010. All’epoca non era affatto evidente. Infatti, il 2013 e il 2014 hanno visto alcuni dei più grandi scioperi dalle lotte del settore statale dei primi anni 2000 e il discorso accademico di allora parlava di una transizione dalle lotte sindacali difensive a quelle offensive. Tuttavia, l’industrializzazione della Cina (definita in termini di occupazione industriale come percentuale della forza lavoro) ha raggiunto il suo picco intorno al 2013, proprio nel periodo in cui anche le lotte operaie hanno raggiunto il loro apice, seguite da una deindustrializzazione che si manifesta evidentemente con la chiusura e la delocalizzazione dell’industria manifatturiera da centri come il Delta del Fiume delle Perle verso l’entroterra e al di fuori della Cina. La natura delle azioni industriali, compresi alcuni dei più grandi scioperi, è diventata difensiva in questi eventi, chiedendo ai datori di lavoro migliori indennità di licenziamento e contributi pensionistici non versati. Anche in caso di vittorie, queste azioni raramente hanno dato vita a una lotta duratura. In altre parole, il declino e infine la fine di questo ciclo di lotte sindacali nella seconda metà del 2010 sono stati condizionati dai cambiamenti strutturali economici e occupazionali in corso.

Il decennio di speranza ed eccitazione ha lasciato rapidamente il posto alla delusione e poi alla disperazione. Nel contesto del declino generale e della fine del ciclo, la marea della repressione ha spazzato via tutti e tre i raggruppamenti entro il 2020. Lo spazio che tutti loro avevano condiviso in misura diversa nei primi anni 2010, in cui avevano imparato e praticato il loro attivismo, è svanito rapidamente dopo il 2015. Gli arresti del 2019 hanno semplicemente segnato il culmine della spirale negativa di quel decennio. Una parte di essa era stata preannunciata già nel 2012, quando il governo di Shenzhen ha perseguitato i proprietari di immobili per costringere le ONG del lavoro a trasferire i loro uffici. Per quanto scioccante fosse all’epoca, se la paragoniamo retroattivamente a ciò che si prospettava all’orizzonte, questa repressione indiretta era quasi pittoresca, chiaramente intesa a non fare altro che inviare un avvertimento e finalizzata a disturbare ma non a fermare il lavoro degli attivisti. La criminalizzazione dell’attivismo sindacale iniziata nel 2015 ha segnato un salto di qualità.

L’intensificazione è iniziata seriamente nei primi mesi del 2015, in mezzo a un’ondata di repressioni di altri tipi di attivismo. Le prime a cadere sono state le Feminist Five, arrestate il 6 marzo per il loro progetto di lanciare una campagna contro le aggressioni sessuali sui trasporti pubblici in occasione della Giornata della Donna di due giorni dopo. [12] A ciò ha fatto seguito, a partire dalla fine di marzo, un’ampia campagna che ha preso di mira gli attivisti della rete Yirenping (che lavoravano principalmente contro la discriminazione, ma impiegavano anche alcune delle femministe arrestate all’inizio dello stesso mese), la detenzione di oltre 200 attivisti per i diritti umani e avvocati il 9 luglio e, infine, il 5 dicembre, i primi arresti di massa di attivisti del lavoro con sede a Guangzhou.[13] In che misura queste repressioni erano collegate? Da un lato, la fertilizzazione incrociata tra queste organizzazioni e reti potrebbe aver fatto precipitare un’azione olistica che ha preso di mira diversi settori della società civile. Ma c’era anche un contesto unico per il caso della repressione contro gli attivisti del lavoro, dal momento che il 2014 e il 2015 avevano visto l’emergere di scioperi di massa per il pagamento della previdenza sociale e la delocalizzazione delle fabbriche, particolarmente militanti e difficili da diffondere a causa della disperazione e della determinazione dei lavoratori.[14] Inoltre, alcune ONG del lavoro erano intervenute negli scioperi, vedendovi un’opportunità per spingere per un ruolo più forte della voce dei lavoratori nella contrattazione industriale. Nel caso iniziale, lo sciopero del calzaturificio Lide, che ha portato alla detenzione degli attivisti delle ONG del lavoro di Guangzhou, alcune di esse avevano aiutato i lavoratori a organizzarsi in una struttura quasi sindacale e li avevano aiutati nell’organizzazione dello sciopero che ha portato a mesi di continue interruzioni e trattative con la dirigenza.[15] Queste ONG hanno specificamente rifiutato l’intervento del governo locale e del sindacato affiliato al governo. A quel tempo, l’ACFTU (All-China Federation of Trade Unions ndt), in quanto parte della struttura statale e in stretta collaborazione con il governo locale nella gestione delle agitazioni dei lavoratori, si era trovata in un rapporto di competizione perdente con le ONG del lavoro quando si trattava di guadagnare la fiducia dei lavoratori e di rappresentarli in casi di controversie di lavoro su larga scala.

La repressione del 2015 ha creato un precedente per la criminalizzazione dell’attivismo sindacale basato sui diritti, che in passato aveva subito, per la maggior parte, solo molestie da parte della polizia. Gli effetti dei processi celebrati nel 2016 contro tre degli attivisti del lavoro presi di mira si sono riverberati per tutto il 2016 e l’inizio del 2017, quando l’introduzione della legge sulla gestione delle ONG straniere ha reso tutti ancora più nervosi per la loro sicurezza. (La Cina non è l’unica a introdurre leggi di questo tipo per proteggersi dalle influenze straniere percepite: tra le grandi potenze, la Russia ne ha introdotta una nel 2014 e l’India nel 2020). La legge è stata concepita per bloccare il flusso di fondi internazionali alle organizzazioni della società civile cinese (da cui dipendevano fortemente) e ha anche creato una base legale e una legittimità politica per future affermazioni secondo cui gli interventi degli attivisti sarebbero legati a interessi stranieri. La legge è entrata in vigore nel gennaio 2017. Nello stesso anno, tre investigatori di fabbrica affiliati al China Labor Watch, con sede a New York, sono stati arrestati per un breve periodo nel corso di un’indagine su una fabbrica di scarpe che produceva per il marchio di Ivanka Trump.[16] Per un momento, l’evento ha sollevato preoccupazioni sulla criminalizzazione delle indagini di fabbrica, che molti gruppi di lavoratori, sia in Cina che fuori, conducono per raccogliere informazioni sulle condizioni di lavoro. Alla fine dell’anno, mentre gli sgomberi di massa prendevano di mira i lavoratori migranti a Pechino e altrove, i gruppi e gli individui che assistevano i migranti sfrattati sono stati a loro volta oggetto di molestie e hanno ricevuto severi avvertimenti dalle autorità.[17] Nello stesso periodo, gli Eight Young Leftists di cui sopra sono stati arrestati o costretti a nascondersi. Si trattò della prima grande repressione degli studenti radicali. Il decennio è stato coronato dalla repressione degli organizzatori della fabbrica Jasic di Shenzhen e dei loro sostenitori studenti in tutta la nazione, iniziata nell’estate del 2018 e proseguita fino alla metà del 2019, che ha coinvolto centinaia di attivisti e militanti di sinistra di ogni genere, compresi molti non collegati alla campagna.

Oltre a questo, negli ultimi anni altri gruppi di lavoratori sono stati chiusi e messi a tacere in modo più silenzioso, senza arresti e, quindi, senza grande consapevolezza pubblica. Gli attivisti, che fino a pochi anni fa avevano affrontato livelli di rischio relativamente bassi, al di là delle molestie e degli interrogatori della polizia, ora hanno affrontato la seria minaccia di mesi di detenzione e di processi penali, aumentando drasticamente i rischi per chiunque si impegni nell’attivismo. Nel numero limitato di casi del 2020 e del 2021, le accuse sono aumentate fino alla più grave “sovversione del potere statale”. Questo non include nemmeno i molti lavoratori che vengono regolarmente detenuti per vari periodi di tempo per le loro attività di protesta, ma che generalmente non vengono processati e di cui raramente si conoscono i nomi. Ogni anno dopo il 2015 è stato caratterizzato da un crescente senso di affanno, dalla sensazione che le cose siano andate sempre peggio senza alcun segno di speranza all’orizzonte.

L’approccio fondamentale dello Stato alla governance sembra essere cambiato intorno al 2014 e al 2015. In quegli anni, è diventato chiaro che il governo non era più interessato a ballare con i gruppi per i diritti e a distribuire riforme incrementali sufficienti a mantenere le speranze della gente. Quello che si credeva un processo inesorabile di liberalizzazione politica si è rivelato un momento di passaggio nell’evoluzione dell’approccio dello Stato al governo della Cina. Molti resoconti del cambiamento indicano la transizione tra l’amministrazione Hu-Wen e l’amministrazione Xi dopo il 2012. Questa riduzione di eventi politici ed economici su larga scala in una semplice narrazione incentrata sugli intrighi politici e sugli stratagemmi degli statisti è un tropo comune negli scritti sulla storia cinese e nei resoconti mainstream sulla politica in Cina oggi. Questo tipo di semplificazione eccessiva è comune sia nell’analisi inglese che in quella cinese. La narrazione principale è coltivata dall’apparato propagandistico sia in Cina che in Occidente, poiché serve gli interessi della classe dirigente di entrambi i Paesi. Ma cambiamenti di questa portata non possono quasi mai essere ridotti alle decisioni della leadership politica, poiché queste decisioni sono esse stesse risposte a problemi che superano la scala degli intrighi di corte. L’aumento della repressione non può essere ridotto alla personalità autoritaria di Xi Jinping.

Col senno di poi, la “società civile” era specifica di un particolare periodo dello sviluppo cinese, in cui l'”apertura” economica richiedeva e traeva vantaggio da una relativa apertura politica, e lo Stato trovava utile appoggiare il sostegno dei gruppi per i diritti dei lavoratori migranti per colmare le lacune dell’offerta governativa di servizi sociali e legali. Inoltre, si pensava che l’aumento dei salari dei lavoratori in modo pacifico attraverso la contrattazione collettiva coordinata dall’ACFTU, in contrapposizione agli aumenti salariali che si verificano a prescindere attraverso scioperi disordinati dei lavoratori, offrisse una soluzione per rilanciare i consumi interni. Il contesto economico è essenziale per comprendere la logica di queste decisioni. Il breve decennio che va dai primi anni 2000 fino alla crisi finanziaria globale del 2008 ha registrato alcuni dei tassi di crescita economica più rapidi, e il rallentamento iniziale dopo la crisi è stato poi moderato dallo stimolo. Ma quando i tassi di crescita hanno continuato a scendere e i rendimenti dello stimolo sono diminuiti, il sostegno statale alla protezione dei diritti del lavoro è stato ritirato e la repressione è aumentata. Non si è trattato solo di un aumento della repressione nei confronti dell’attivismo sindacale. Quando le fondamenta economiche del suo governo hanno iniziato a vacillare, lo Stato cinese si è fissato di riaffermare il controllo sul dissenso in una serie di ambiti sociali.

Sebbene la repressione degli attivisti del lavoro sia stata generalmente meno severa di quella che ha colpito altri gruppi, come gli avvocati per i diritti umani, ha abbassato la soglia per la detenzione e ha allargato la rete per avvolgere più tipi di attivisti del lavoro e di sinistra, includendo ora anche gli studenti che sostengono l’organizzazione dei lavoratori e i giornalisti dei social media. L’incarcerazione a lungo termine e la presentazione di accuse penali non sono stati lo strumento principale. Al contrario, la maggior parte di loro è stata semplicemente “detenuta” per un periodo di tempo prolungato, durante il quale sono in gran parte inaccessibili alle famiglie, agli avvocati o al mondo esterno. Alcuni vengono poi trattenuti con accuse penali ma senza processo per mesi o addirittura più a lungo. Altri finiscono per essere trasferiti in un luogo sconosciuto per un lungo periodo di tempo, un metodo noto come “sorveglianza residenziale in un luogo designato” (RSDL). Questa repressione a fuoco lento evita l’inevitabile spettacolo e l’indignazione di una dura condanna pubblica ed esaurisce le campagne di solidarietà e l’interesse dei media, trascinando il processo per mesi senza alcun nuovo sviluppo, pur raggiungendo lo stesso obiettivo. Il risultato è una paura e una disperazione diffuse.

Ad aggravare ulteriormente il pessimismo è la generale assenza di solidarietà all’interno della Cina continentale. In passato, quando si verificavano arresti di questo tipo, altri gruppi di attivisti, di sinistra o accademici si sollevavano immediatamente per esprimere rabbia, firmare dichiarazioni e condannare pubblicamente tali vessazioni, chiedendo il rilascio degli attivisti. Ma negli anni successivi al 2018 si è visto poco di tutto ciò. Dopo diversi anni di assalti prolungati, le reti di attivisti del lavoro sono così intimidite che non possono più riunirsi intorno agli attivisti detenuti senza temere una visita della polizia o addirittura la detenzione. Nel frattempo, la continua sorveglianza e le molestie nei confronti di coloro che sono stati rilasciati mirano a disabilitarli come attivisti. Ciò che resta di una scena di attivisti del lavoro un tempo piena di speranza è oggi quasi irriconoscibile. A questo proposito, il governo cinese è riuscito ad aumentare i costi dell’attività di advocacy anche entro i limiti della legge. Con un sostegno sempre più ridotto sul continente, il centro della solidarietà si è spostato verso reti internazionali più distanti, oltre alla base più tradizionale di Hong Kong. Dopo il movimento di protesta del 2019 a Hong Kong, le misure a cascata adottate dal governo della regione per perseguitare e criminalizzare gli attivisti hanno colpito anche le organizzazioni che si concentrano solo o principalmente sulle questioni sociali nella Cina continentale, tra cui diverse ONG del lavoro con sede a Hong Kong e la Confederazione dei sindacati di Hong Kong (HKCTU), quest’ultima costretta a sciogliersi nel 2021. Per gli attivisti di Hong Kong è diventato estremamente difficile organizzare la solidarietà per le loro controparti continentali, come avevano fatto nei due decenni precedenti, erodendo quello che per lungo tempo era stato il più forte bastione di sostegno esterno per gli attivisti della Cina continentale.

Lo sgretolamento dell’edificio della società civile nel giro di pochi anni mette brutalmente in luce il fatto che questi gruppi non sono riusciti a sviluppare una base sociale forte, senza la quale non potevano difendersi dalla repressione statale. Molti attivisti sindacali hanno indubbiamente cercato di costruire la loro base sociale, ma il risultato è stato disomogeneo e, nel complesso, limitato sia dall’autocostrizione che dalla repressione statale. Nonostante gli anni di sforzi per costruire reti di lavoratori, questi gruppi alla fine si dimostrarono incapaci di mettere radici e di radicarsi profondamente nelle comunità operaie in cui avevano cercato di insediarsi. A un estremo, gli studenti radicali di Pechino erano meno legati in tutti i sensi alla classe operaia, a differenza di quelli di Guangzhou e Shenzhen. Per ovviare a ciò, alcuni scelsero la strategia dell'”industrializzazione”, accettando posti di lavoro in fabbrica con l’obiettivo di organizzare i lavoratori. Ma questo tipo di intervento ideologico correva il rischio di andare oltre quello che i lavoratori erano disposti a fare. Tendeva a sostituire lo zelo ideologico degli studenti con l’attivismo dei lavoratori e finiva per isolare gli attivisti sia dai loro colleghi sia da qualsiasi potenziale base di sostegno al di fuori dell’università. Altri, come gli attivisti della società civile di orientamento liberale e di sinistra e gli attivisti di base più esperti con un passato da lavoratori migranti, operavano per lo più come ONG e quasi ONG del lavoro nel Guangdong. Questi attivisti erano più radicati geograficamente e organicamente all’interno della classe operaia. Ma la maggior parte di loro era limitata dal modello di servizio delle loro ONG, che si concentrava sull’assistenza ai lavoratori più che sulla loro capacità di organizzarsi. È emerso un paradosso familiare: le organizzazioni più radicate, con il maggior numero di partecipanti lavoratori, erano anche le meno politiche, mentre i gruppi più consapevoli dal punto di vista ideologico, come gli studenti “industrializzatori”, non sono riusciti a costruire una base efficace tra i lavoratori. In definitiva, nei casi di maggior successo, le ONG del Guangdong sono state in grado di sviluppare reti di lavoratori, ma mai qualcosa di simile a organizzazioni di massa. Le poche che hanno avuto o almeno hanno iniziato a muoversi verso un modello organizzativo sono state chiuse poco dopo aver iniziato ad avere un impatto significativo sulle lotte dei lavoratori. Ciò significa che, di fronte alla repressione dello Stato, i lavoratori non hanno potuto mobilitarsi in massa per sostenere gli attivisti sindacali che si trovavano ad affrontare le aggressioni dello Stato.

La temporalità è importante. Le lotte dei lavoratori migranti post-socialisti[18] sono emerse, con pochi legami con le tradizioni sindacali precedenti, solo negli anni ’90 e sono durate meno di tre decenni. Al contrario, la resistenza dei lavoratori statali contro la privatizzazione e la chiusura delle fabbriche negli anni Novanta e nei primi anni Duemila assomigliava di più a un “movimento sindacale” rispetto alle successive azioni dei migranti, anche al loro apice. Questo perché i lavoratori del settore statale avevano costruito una capacità organizzativa e una certa identità di gruppo sostenuta da un’ideologia di Stato attraverso un’esperienza generazionale, a partire almeno dagli anni ’50 – e in alcuni casi da prima del 1949 – con un forte carattere regionale incentrato sul nord-est. Al contrario, il ciclo di lotte dei migranti ha raggiunto un picco meno drammatico e poi è diminuito più rapidamente, e questo non è stato semplicemente il risultato della repressione statale. Ciò riflette anche il periodo più breve della loro proletarizzazione e dell’integrazione nei nuovi settori industriali (in particolare il settore privato di trasformazione delle esportazioni), che hanno raggiunto i propri picchi regionali di occupazione entro due decenni dal loro inizio – iniziando a declinare insieme all’occupazione manifatturiera cinese nel suo complesso all’inizio degli anni 2010. Poiché il tipo di attivismo sindacale di cui abbiamo parlato qui è emerso sulla scia delle lotte dei migranti nelle zone costiere di trasformazione delle esportazioni, non dovrebbe sorprendere che tale attivismo non sia stato in grado di sopravvivere alla repressione statale in un momento in cui stava perdendo anche le proprie basi materiali.

Mentre assistiamo alla fine di un ciclo di lotte operaie cinesi, ci rimane il fatto che la lotta dei lavoratori non si è mai consolidata dal punto di vista organizzativo e politico e quindi non è rimasto molto a cui aggrapparsi quando la marea di scioperi è sembrata esaurirsi. Dobbiamo affrontare il fatto che l’immediato futuro è cupo. Le organizzazioni e le reti sviluppate per molti anni richiederebbero anni per essere ricostruite. Ma oltre a ciò, lo spazio politico in cui farlo semplicemente non c’è più, con un crescente controllo ideologico nel mondo accademico che mira proprio a sradicare i potenziali attivisti. Ci troviamo di fronte alla possibilità di perdere due generazioni di attivisti cinesi che hanno dedicato la loro vita a migliorare la società. Alcuni dei migliori sono e sono stati in detenzione e altri sono stati sottoposti a una sorveglianza così stretta che anche azioni molto piccole possono portare a molestie se non a ripetute detenzioni. Questo è particolarmente vero per la minoranza di gruppi di attivisti che erano riusciti a coltivare una leadership organica tra i lavoratori. Chi è rimasto in Cina e non si è arreso deve fare i conti con scelte sempre più difficili che comportano enormi rischi personali.

Alcuni presupposti dell’ultimo ciclo di lotte sindacali devono essere riconsiderati. Anche l’idea dell’ascesa della classe operaia industriale all’inizio del decennio è stata scossa. I lavoratori dell’industria costituiscono ancora una frazione significativa del proletariato cinese, anche se la nazione si sta gradualmente deindustrializzando, e il loro potere collettivo non dovrebbe essere sottovalutato. Siamo stati sorpresi più volte, proprio quando siamo diventati pessimisti, quando è scoppiata improvvisamente una nuova ondata di scioperi dei lavoratori delle fabbriche. Ma nel contesto dei cambiamenti strutturali dell’occupazione e dell’ascesa del settore dei servizi, la lotta industriale è passata sempre più in secondo piano. Ciò si è riflesso anche nella ricerca accademica, che ha seguito la tendenza e ora conduce studi sui lavoratori dei servizi, sulla riqualificazione industriale e sull’economia delle piattaforme. Tuttavia, non si tratta solo di un cambiamento di attenzione, ma anche di un più fondamentale cambio di prospettiva, che si allontana dal guardare al lavoro attraverso la lente delle lotte industriali.

Un nuovo ciclo di lotte dei lavoratori?

Il 2020 potrebbe diventare il decennio in cui lo Stato cinese non sarà più in grado di gestire le contraddizioni capitalistiche che si sono manifestate a livello interno sotto forma di crisi abitativa, aumento del debito pubblico o intensificazione della sovraccapacità industriale, e a livello internazionale nei conflitti commerciali e geopolitici con gli Stati Uniti. Durante il periodo di ascesa economica, le lotte dei lavoratori si sono limitate a ottenere una quota maggiore di profitto e non hanno assunto un orientamento antistatale, pur protestando spesso contro il governo per la sua mancata assunzione di responsabilità. Ma quando alle richieste economiche dei lavoratori si aggiungono altri conflitti, i movimenti di massa che emergono possono espandere la loro attenzione oltre i guadagni economici. Senza organizzazioni e leadership riconosciute, tuttavia, le forme che i movimenti di massa possono assumere sono imprevedibili. La fine di un’epoca getta via le nostre vecchie certezze, ma ci costringe anche a fare i conti con l’emergere di una nuova epoca e dei suoi nuovi orizzonti di lotta.

Forse, una nota di speranza: tra le rovine, un nuovo strato di attivisti sta iniziando a emergere anche nelle circostanze più difficili. La distruzione dei gruppi di attivisti qui documentati e delle infrastrutture che li sostenevano, compresi i gruppi sociali e le società del campus, ha privato i giovani dello spazio per imparare a organizzarsi. Tuttavia, nelle prime settimane della pandemia si è assistito a una limitata ripresa dell’attivismo. Quando le autorità cinesi erano impreparate a rispondere alla pandemia, le persone sono state per lo più abbandonate a se stesse per proteggere se stesse e gli altri. Il caos ha rappresentato un’opportunità per le persone di organizzarsi per necessità, ma anche per solidarietà sociale, per sostenersi a vicenda.[20] In questo periodo sono nate iniziative di mutuo soccorso di ogni tipo, alcune del tutto spontanee, mentre altre hanno attinto dagli attivisti esistenti e dalle loro reti. Il lavoro di advocacy è ripreso temporaneamente intorno ai diritti del lavoro, ad esempio, concentrandosi sugli operatori sanitari e medici che necessitavano di dispositivi di protezione. Ci sono state anche attiviste femministe che si sono organizzate per la violenza domestica, che è aumentata durante i primi mesi di isolamento a Wuhan e in altre aree della Cina, e attivisti LGBTQ che si sono mobilitati per le esigenze delle persone LGBTQ. I cittadini-giornalisti si sono messi a raccontare ciò che stava accadendo, convinti che le autorità non stessero dicendo la verità. Naturalmente, la rinascita dell’attivismo sociale non è durata molto a lungo, ritirandosi con la repressione del governo a metà del 2020, e non bisogna esagerare la portata e la profondità di questa rinascita attivista. Ciononostante, questo è stato un periodo cruciale per i nuovi attivisti per avere un assaggio dell’attivismo e per gli altri per rinnovare il loro impegno.[21]

Stiamo assistendo all’emergere di un nuovo ciclo di lotte dei lavoratori? Ci sono stati alcuni elementi che potrebbero costituire un nuovo ciclo. Uno sviluppo in qualche modo sorprendente è la mobilitazione ancora limitata dei colletti bianchi, per lo più incentrata sull’industria tecnologica, che era in piena espansione ma ora potrebbe essere in crisi. Anche in mezzo alla repressione del 2019, il dibattito pubblico sul lavoro non è stato completamente spento. La mobilitazione contro la “996” (metodo di lavoro utilizzato dalle aziende tech che prevede orari di 12 ore al giorno per 6 giorni ndt) da parte dei dipendenti delle aziende tecnologiche nel 2019 ha messo in luce il malcontento che ribolliva tra i giovani professionisti cinesi per la cultura del lavoro tossica che prevedeva orari di lavoro prolungati (dalle 9 alle 21, 6 giorni a settimana), e poi l'”involuzione” (内卷) è entrata nel vocabolario popolare per riflettere il senso non solo del sovraccarico di lavoro, ma anche la disillusa consapevolezza che il sovraccarico di lavoro porta solo alla stagnazione personale. [22] Più recentemente, questo si è evoluto in quello che alcuni osservatori hanno definito il movimento cinese “anti-lavoro” di “accarezzare i pesci” (摸鱼) e “sdraiarsi” (躺平).[23] Tutte queste espressioni segnano una forma rudimentale di coscienza di classe, nella misura in cui le persone hanno iniziato a riconoscere che la loro situazione trascende le loro esperienze individuali. Poi, quasi contemporaneamente, abbiamo assistito all’esplosione dell’interesse pubblico per i fattorini nel 2020.

Il passaggio al lavoro a chiamata nel settore dei servizi, provocato dalla deindustrializzazione, dai cambiamenti strutturali dell’occupazione e dagli investimenti di venture capital nelle società piattaforma, ha già portato a una certa mobilitazione dei lavoratori. Tra problemi crescenti e mobilitazioni di protesta sono nate reti spontanee di fattorini. Chen Guojiang, un ex fattorino diventato avvocato per i diritti dei lavoratori, conosciuto affettuosamente come Mengzhu (“capo dell’associazione”), è emerso come leader ma senza un’organizzazione alle spalle. Molto sicuro di sé e strategico, non diversamente dai leader sindacali delle generazioni precedenti, Mengzhu ha facilitato l’aiuto reciproco, ha messo in contatto i lavoratori attraverso gruppi di chat online e ha attirato l’attenzione attraverso i suoi brevi video online ospitati su popolari siti cinesi. Ma occasionalmente, Mengzhu ha mobilitato i lavoratori e ha condotto alcune azioni coordinate per colpire le piattaforme di consegna per il loro maltrattamento dei lavoratori. Questo lavoro di organizzazione lo ha portato in detenzione dal febbraio 2021 al gennaio 2022.[24] Ciò rientra ampiamente nello schema dei recenti arresti di attivisti del lavoro, soprattutto per la natura sempre più preventiva della repressione. In passato, un attivista veniva spesso tollerato per anni, a patto che rimanesse nei limiti, prima di dover affrontare la possibilità di una detenzione con accuse penali. Invece, a Mengzhu sono bastati un paio d’anni di organizzazione a basso livello, in un modo che non è nemmeno immediatamente riconoscibile come “organizzazione del lavoro” secondo i modelli degli anni 2000-2010, prima di affrontare questo destino. Attirati dalle condizioni e dalle azioni collettive dei lavoratori delle consegne, alcuni degli attivisti più giovani e degli studenti radicali attualmente attivi si sono interessati a questo settore, ma lo spazio per una partecipazione significativa è limitato.[25]

Guardando al prossimo ciclo di lotte sindacali, se e quando emergerà, sembra probabile che la maggior parte dei membri delle due generazioni di attivisti sindacali del ciclo precedente non sia in grado di continuare il proprio lavoro, sia per rinuncia che per inattività. Dobbiamo guardare alla nuova generazione di lavoratori blue-, white- e pink-collar che stanno cercando di articolare le loro esperienze di classe e alcuni dei quali stanno imparando a organizzarsi sia all’interno che all’esterno dei loro luoghi di lavoro. (E per molti di loro, come i fattorini, il luogo di lavoro principale è la strada, mentre per altri, come gli impiegati che ora lavorano a distanza dopo la pandemia, è la casa e il cyberspazio). Ciò che manca loro in termini di organizzazioni della società civile e gruppi di studio marxisti significa anche che sono sollevati da alcuni fardelli ideologici, costretti a sperimentare nuovi metodi di organizzazione e forse più liberi di articolare la propria politica per l’era a venire.


Note:

[1] Le discussioni sull’attivismo operaio in Cina e altrove commettono spesso due errori che questo articolo evita: confondono le lotte dei lavoratori con l’attivismo operaio e confondono il senso di “attivismo operaio” dell’inizio del XXI secolo con le forme precedenti di intervento della sinistra nelle lotte operaie. Le forme di auto-organizzazione dei lavoratori della fine dei Qing e dei primi repubblicani sono emerse dalle gilde, dalle società segrete, dai club di arti marziali, dalle associazioni di quartiere, ecc. Quando gli anarchici prima e i comunisti poi e altri iniziarono a organizzare i lavoratori negli anni 1910-1920, dovettero collaborare con queste tradizioni esistenti per creare organizzazioni più simili al modello occidentale di sindacato. (Lo stesso modello occidentale era emerso da forme meno centrate sulle questioni del lavoro e più organicamente connesse alla vita dei contadini e dei primi proletari). Dopo il 1949, alcuni sindacati furono incorporati nello Stato cinese sotto la Federazione dei Sindacati di tutta la Cina, mentre altri tipi di organizzazione dei lavoratori furono messi fuori legge. Quando i lavoratori hanno cercato di lottare per i loro interessi contro lo Stato, dalla metà degli anni Cinquanta fino alla ristrutturazione delle imprese statali negli anni Novanta e Duemila, lo hanno fatto generalmente attraverso reti informali o, alla fine degli anni Sessanta, sotto il nome di organizzazioni della Rivoluzione Culturale. Solo alla fine degli anni ’90 alcuni lavoratori migranti, avvocati del lavoro, assistenti sociali, persone di sinistra e accademici hanno iniziato a collaborare per creare gruppi di sostegno al lavoro e infine ONG che sono diventate il principale veicolo di quello che oggi chiamiamo “attivismo del lavoro”. Naturalmente, in tutto questo periodo, dall’inizio dell’industrializzazione della Cina a oggi, ogni volta che i lavoratori hanno lottato collettivamente per i loro interessi, le loro azioni sono state spesso avviate o coordinate da alcuni colleghi più militanti, che potevano avere un’esperienza più rilevante di altri. Nel periodo repubblicano alcuni di questi lavoratori militanti si sono iscritti a sindacati legati a partiti politici o ne hanno formato uno proprio. All’inizio del XXI secolo questo non era possibile a causa di una serie di condizioni storiche (non solo la repressione politica, che esisteva anche in epoche precedenti e in altri luoghi in cui esistevano sindacati indipendenti). Queste condizioni hanno dato origine alle nuove categorie di “attivista del lavoro” e “ONG del lavoro”, che attraggono alcuni lavoratori militanti (le cui controparti avrebbero potuto aderire ai sindacati in epoca repubblicana o alle guardie rosse durante la Rivoluzione culturale), insieme ad attivisti provenienti da contesti più privilegiati. Queste reti di attivisti non sono mai cresciute fino a raggiungere il numero o l’influenza di quelle organizzazioni precedenti, ma sono diventate il modello principale di sostegno al lavoro migrante fino a quando le condizioni non sono cambiate di nuovo alla fine degli anni 2010.

[2] Si veda, ad esempio, China on Strike: Narratives of Workers’ Resistance, a cura di Hao Ren (Haymarket 2016), e Striking to Survive: Workers’ Resistance to Factory Relocations in China, a cura di Fan Shigang (Haymarket 2018).

[3] Si veda “The Awakening of Lin Xiaocao A Personal Account of the 2010 Strike at Nanhai Honda” in Chuang #2: Frontiers (2019).

[4] Proprio l’anno prima, la rivista Time aveva scelto “L’operaio cinese” come una delle sue persone dell’anno.

[5] Non solo il movimento operaio era storicamente specifico, ma molti degli odierni esponenti della sinistra in Cina e altrove, che lo prendono a modello, hanno fondamentalmente frainteso il modo in cui il movimento ha preso forma e si è svolto. Si veda “A History of Separation” da Endnotes #4 e Old Gods, New Enigmas di Mike Davis.

[6] Chuang ha a lungo sostenuto che è stato strutturalmente impossibile che qualcosa di simile al movimento operaio classico emergesse nella Cina postsocialista, o in qualsiasi altro luogo, dopo che la tendenza secolare verso la deindustrializzazione globale aveva iniziato a manifestarsi negli anni ’90 (tra gli altri cambiamenti storici), con l’occupazione industriale della Cina in piena espansione che ha iniziato il suo declino finale intorno al 2013. Quando nel 2015 “No Way Forward, No Way Back” ha avanzato questo argomento, approfondendo ciò che Endnotes aveva già suggerito in “Misery and Debt” (2010), è stato molto controverso, ma quando nel 2019 “Picking Quarrels” ha aggiunto peso empirico a un’elaborazione aggiornata dello stesso argomento, questa tendenza e i suoi effetti sulla natura delle lotte proletarie – e i limiti che ha imposto all’organizzazione del lavoro che ha preso a modello il movimento operaio classico – erano già diventati chiari a tutti.

[7] Una storia completa delle lotte dei lavoratori migranti in Cina e del relativo attivismo sindacale deve ancora essere scritta. In questa sede mi limito a una generalizzazione impressionistica di questi gruppi e delle loro caratteristiche.

[8] Vedi traduzioni e analisi sul blog di Chuang: “Let the People Themselves Decide Whether We’re Guilty” (giugno 2018), “Locked Up for Reading Books: Voices from the November 15th Incident” (gennaio 2018) e “The Mastermind: A Third Young Leftist Speaks Out on the November 15th Incident” (gennaio 2018).

[9] Per una panoramica generale sull’Affare Jasic, seguita da una raccolta di fonti più dettagliate in inglese e cinese, si veda “Critical Perspectives on the Jasic Movement – Suitable tactics of intervention?“. (Nao Qingchu, 2020). Un’analisi più recente che merita di essere sottolineata è “Leninists in a Chinese Factory: Reflections on the Jasic Labour Organising Strategy” (Zhang Yueran, Made in China, 2020).

[10] Parry Leung, Labor Activists and the New Working Class in China, 2015, pp.161-2

[11] Al contrario, la detenzione in massa e la violenza della polizia sono state più comuni nella repressione delle proteste dei lavoratori statali alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000. Questo probabilmente perché queste proteste erano di solito su larga scala e più chiaramente organizzate rispetto alla maggior parte delle lotte dei migranti dell’epoca.

[12] Si veda “Free the Women’s Day Five! Statements from Chinese workers & students” (Marzo 2015), “Gender War & Social Stability in Xi’s China: Interview with a Friend of the Women’s Day Five” (Marzo 2015), e “Women’s Day & the Feminist Five a year on” (Marzo 2016), nel blog di Chuang, e il libro Betraying Big Brother: The Feminist Awakening in China di Leta Hong Fincher (2018).

[13] Si veda “The Guangdong Six and the rule of law (of value): Theses on the December 3 crackdown” (Dicembre 2015, Chuang), e “Making Sense of the 2015 Crackdown on Labor NGOs in China” (Giugno 2017, Shannon Lee).

[14] Si veda Striking to Survive: Workers’ Resistance to Factory Relocations in China di Fan Shigang (Haymarket, 2018)

[15]Another shoe strike in the Pearl River Delta: Lide, Guangzhou” (Nao blog, 2014) e “Lide shoe workers beaten and arrested during assembly in Guangzhou” (Chuang blog, 2015).

[16]Activists investigating Ivanka Trump’s China shoe factory detained or missing” (Guardian, 2017)

[17]Beijing Evictions, a Winter’s Tale” (Made in China, 2018); “Adding Insult to Injury: Beijing’s Evictions and the Discourse of ‘Low-End Population’” (Chuang blog 2018)

[18] Nota editoriale: spesso si dimentica che gli immigrati dalle campagne alle città non solo costituivano un importante strato inferiore della forza lavoro industriale nell’era socialista, ma hanno anche messo in atto lotte importanti che hanno probabilmente influenzato il corso della storia in momenti chiave come il 1967. Si veda Chinese Workers: A New History di Jackie Sheehan (Routledge 1998) e The Communist Road to Capitalism di Ralf Ruckus (PM Press 2021).

[19] Ad esempio, si veda la discussione della deindustrializzazione cinese degli anni ’90, della reindustrializzazione degli anni 2000 e della deindustrializzazione degli anni 2010 in relazione alle tendenze globali e alla “legge generale dell’accumulazione capitalistica” di Marx in Automation and the Future of Work di Aaron Benanav (Verso 2020), pagine 22-23.

[20] Questa coraggiosa e stimolante auto-organizzazione è esplorata nel libro di Chuang Social Contagion and Other Material on Microbiological Class War in China (Charles H. Kerr, 2021).

[21] Nota editoriale: mentre questo articolo veniva rivisto per la pubblicazione nel 2022, in tutta la Cina è emersa una serie di lotte legate alle misure Zero-COVID, la maggior parte delle quali spontanee, ma alcune delle quali hanno coinvolto vari tipi di attivismo organizzato sia da attivisti esperti che da nuovi attivisti. Alcune di queste lotte sono state condotte da lavoratori che hanno lottato nei loro luoghi di lavoro contro le misure “a circuito chiuso” e sulle questioni salariali e, dopo la brusca fine della Zero-COVID a dicembre, contro i licenziamenti dovuti alla chiusura degli impianti di approvvigionamento per la pandemia. Altre lotte proletarie di quell’anno si sono svolte nella sfera della riproduzione, combattendo gli effetti delle misure Zero-COVID sul pendolarismo, l’istruzione, l’accesso alla casa, al cibo e alle medicine, ecc. Per quanto ne sappiamo, tutte queste lotte sono state fondamentalmente spontanee, ma è anche possibile che alcuni partecipanti abbiano sviluppato competenze e idee attraverso il loro coinvolgimento che saranno portate avanti nelle mobilitazioni future. Speriamo di esaminare in modo più esaustivo il ciclo di lotte del 2022 in futuri scritti, ma nel frattempo si vedano i nostri post sul blog “Struggling to Survive in Shanghai and Beyond“; “White Terror, Attacks on Women, Bank Protests, Falling Wages“; “Three Autumn Revolts“; e “Beyond the White Paper: An Interview on the Social Elite in Shanghai’s Protests of November 2022“.

[22] Sia il 996 che l’involuzione sono esplorati in “Involution: Wildcat on China’s 2020” (Chuang blog, 2021).

[23] Si veda, ad esempio, “Lying Flat: Profiling the Tangping Attitude” (Made in China, Gennaio 2023), “Disarticulating Qingnian” (Made in China, Marzo 2022), “The Tangpingist Manifesto” (Agora, 2021), e ‘Why Chinese youngsters are embracing a philosophy of “slacking-off”’ (Quartz, 2020).

[24] Sulle attività organizzative e l’arresto di Mengzhu, si veda “Leader of Delivery Riders Alliance Detained, Solidarity Movement Repressed” (Labor Notes, aprile 2021) e “Free Mengzhu! An interview with Free Chen Guojiang” (Asia Art Tours, maggio 2021). Come molti degli attivisti detenuti dal 2018, anche di Mengzhu si sono avute poche notizie dal suo rilascio (per quanto ne sappiamo, solo un video ambiguo sul suo canale WeChat) – probabilmente a causa di un ordine di bavaglio.

[25] Parte di questo interesse è stato stimolato da un rapporto approfondito sulle condizioni dei lavoratori delle consegne pubblicato sulla rivista popolare Renwu nel 2020. Per una traduzione, insieme a una prefazione su alcune lotte dei fattorini di quell’anno, si veda: “Delivery Workers, Trapped in the System” (Chuang blog, 2020).

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