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Rivolta dei Ciompi a Firenze

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La rivolta dei Ciompi a Firenze del 1378 fu una rivolta popolare in cui i lavoratori ebbero un ruolo centrale.

Firenze era una importante città manifatturiera che si avvaleva di una numerosa schiera di salariati delle diverse arti professionali riunite in corporazioni, i ciompi. Questi erano pagati giorno per giorno, ad arbitrio delle Arti con salari di fame, chiusi come condannati tutto il giorno in locali malsani. Era quasi impossibile lasciare la loro bottega o cambiare padrone, sia perché l’Arte impediva ai consociati di assumerli come operai, sia perché indebitati con i loro padroni. Non godevano di diritti di cittadinanza. Le guerre, la carestia, la peste però causarono un calo demografico importante così che la manodopera, specialmente quella specializzata, era molto ricercata e quindi più forte sul piano contrattuale. Questo portò i ciompi a una prima rivolta nel 1345, guidata da Ciuto Brandini. Il tumulto fallì e Ciuto fu decapitato. Ma nel 1378 i ciompi si organizzarono in Arte Operaia e ripresero le proteste. Il 24 giugno 1378 incendiarono case e botteghe, invasero Piazza della Signoria e si impadronirono del Gonfalone di Giustizia.

Grazie all’effetto sorpresa la loro protesta ebbe buon esito. Riuscirono infatti a eleggere come gonfaloniere di giustizia (la più alta carica esecutiva della Repubblica fiorentina, seppure con un mandato di durata molto breve) il loro leader Michele di Lando, e ottennero la creazione di tre nuove Arti che rappresentassero i ceti più bassi (da allora chiamato enfaticamente il “popolo di Dio”), quella dei Ciompi, appunto, quella dei Farsettai (i sarti) e quella dei Tintori. Essi inoltre ottennero, per queste tre nuove corporazioni, il diritto di eleggere un terzo delle magistrature della città.

Michele di Lando non fu un abile uomo politico, anzi fu ambiguo e traditore. Trovatosi improvvisamente a gestire un grande potere, fu continuamente bersagliato da richieste sempre maggiori dal popolo magro e venne messo in cattiva luce per l’alleanza con alcuni membri del più ricco popolo grasso (tra i quali soprattutto Salvestro de’ Medici). Già in discredito verso gli operai che rappresentava, fu costretto a prendere misure di repressione contro l’ondata di violenza che essi andavano scatenando, con ritorsioni contro la nobiltà. Il malcontento contro la sua figura aumentò in poche settimane, soprattutto quando venne chiesta e non concessa la cancellazione del debito verso i datori di lavoro. Fu allora che i rappresentanti della vecchia oligarchia fecero cerchio per isolare la fazione dei Ciompi, ormai disgregata internamente e abbandonata dallo stesso Michele di Lando.

Il “popolo grasso” si alleò con quello minuto (la piccola borghesia), e il 31 agosto un numeroso gruppo di Ciompi, stabilitisi in Piazza della Signoria, fu cacciato con facilità dalle forze combinate delle altre Arti. La corporazione dei Ciompi venne abolita, Michele di Lando esiliato (sebbene non perseguitato, venendo anzi nominato Capitano di Volterra) assieme alle famiglie più compromesse con la rivolta, ed entro il 1382 la dominazione del “popolo grasso” era di fatto restaurata.

Filippo Villani dà una viva descrizione del fallimento del tumulto:

« I Ciompi se ne andarono sì come gente rotta, et senza capo et sentimento, perché si fidavano et furono traditi da loro medesimi »

Niccolò Machiavelli nelle Istorie fiorentine raccontò la rivolta con una serie di didascalie e dialoghi inventati che riflettevano le posizioni dei protagonisti, mutuate attraverso il suo punto di vista.

Il controllo delle grandi famiglie sulla vita politica cittadina di Firenze durò fino alla metà del Quattrocento, quando i Medici instaurarono, con ritardo rispetto ad altre analoghe situazioni in Italia, una Signoria di fatto.

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