
Nebbia di guerra
I propositi manifestati da Netanyahu durante il suo discorso all’Onu fanno pensare ad un allargamento del conflitto piuttosto che ad una sua fine.
Il piano statunitense per interrompere il genocidio nella Striscia di Gaza potrebbe essere “nebbia di guerra”. Gli obiettivi di Netanyahu sono stati enunciati candidamente di fronte alla platea dell’ONU semi-deserta: impedire in ogni modo la costituzione di uno stato palestinese e attaccare nuovamente l’Iran per continuare il progetto di ridisegno del Medio Oriente. Ne è ben consapevole la resistenza palestinese che, al netto delle narrazioni mediatiche, ha interpretato l’attacco alla delegazione di Hamas in Qatar come il definitivo sabotaggio delle trattative. Una eventuale tregua a Gaza sarebbe se mai una carta di scambio che il governo israeliano potrebbe utilizzare per convincere gli Stati Uniti della necessità di un nuovo attacco contro l’Iran. Il piano di Trump arriva in un momento in cui la destra internazionale si trova in difficoltà rispetto all’opinione pubblica interna su Gaza. La Global Sumud Flotilla, lo sciopero generale “Blocchiamo tutto” in Italia, l’enorme marcia di 100mila persone nella Germania di Merz contro il genocidio, l’abbandono di massa dell’aula dell’Onu durante il discorso di Netanyahu: tutti segnali di una marea montante che impensierisce i governi. Il piano di Trump potrebbe essere un tentativo per offrire una scappatoia al governo israeliano dalla spirale di isolamento diplomatico in cui rischia di avvitarsi con le conseguenze enunciate dell’adozione di un’economia, in prospettiva, autarchica. Molti dei paesi occidentali che al momento, almeno simbolicamente, hanno scelto di adottare posizioni più dure nei confronti dello stato sionista probabilmente accetterebbero di buon grado di tornare allo status quo precedente se la guerra dovesse riorientarsi verso l’Iran. La scelta del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di non dilazionare le sanzioni nei confronti di Teheran la dice lunga in questo senso. Ma, come rileva Michele Giorgio su Il Manifesto, è possibile che Netanyahu tenti comunque di sabotare l’accordo emendandolo con condizioni inaccettabili e già rifiutate da parte palestinese. Nel piano, per quanto flebile, vi è un accenno alla costituzione futura di uno stato palestinese che il governo israeliano vede come fumo negli occhi. In un certo senso assomiglierebbe ad un accordo di Oslo bis, ma ancora meno credibile e più fragile.
Certo, ogni possibilità di un cessate il fuoco che interrompesse la mattanza del popolo palestinese è da accogliere con favore, ma senza una reale messa in discussione del progetto sionista si tratterebbe di una rilegittimazione dello stesso in modo che possa continuare a “fare il lavoro sporco per noi”.
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