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Nanni Balestrini

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Per ricordare la straordinaria figura di Nanni Balestrini, nato a Milano, il 2 luglio 1935, poeta, scrittore e saggista pubblichiamo l’intervista contenuta nel volume “Gli operaisti “. (Derive Approdi 2005)

Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e gli inizi della tua esperienza politica?

Anche se allora non ero più studente, il ’68 ha rappresentato una svolta nel mio atteggiamento rispetto alla situazione politica. Io avevo intrapreso un percorso culturale prima nell’ambito del Gruppo 63 e poi in una rivista che si chiamava «Quindici». In questa rivista, fatta da letterati, che ha iniziato la pubblicazione nel ’67, c’era già un interesse abbastanza ampio per le questioni di attualità politica: ricordo che c’erano articoli di Pagliarani che aveva fatto un viaggio a Cuba, articoli di Facchinelli, di Manganelli sulla questione dell’aborto; era una rivista di letteratura e di cultura, ma con una tensione agli avvenimenti di attualità. In tutto questo c’è stato appunto il ’68 e i fuochi precedenti al ’68, la morte di Che Guevara, l’occupazione di Palazzo Campana nel 1967 e altri grossi avvenimenti politici. Dopo cinque numeri di questa rivista mensile ne abbiamo fatto uno dedicato al movimento studentesco di Palazzo Campana; Filippini era stato a Torino e aveva portato una serie di materiali, avevamo fatto un grosso inserto autogestito dagli studenti e un manifesto di Palazzo Campana, in un momento in cui non c’era nessuna altra pubblicazione – lo fecero più tardi i «Quaderni piacentini» – che si occupava di dare direttamente la voce agli studenti. Poi nel gennaio del ’68 era venuto da me un ragazzino portandomi dei volantini sulle prime agitazioni dell’università romana, quello studente era Oreste Scalzone! Così abbiamo iniziato a pubblicare i materiali prodotti direttamente da chi costruiva le lotte, avevamo anche contatti internazionali, tra cui l’Argentina, la Francia, Praga. Piano piano questa rivista ha preso sempre più un taglio politico, aveva un rapporto diretto con gli avvenimenti, era diventata una sorta di cassa di risonanza delle lotte che si sviluppavano, e io stesso mi sono trovato ad avere un coinvolgimento sempre più diretto, ho conosciuto molti compagni anche di diverse situazioni che si stavano creando. Nell’autunno del ’69 la rivista ha chiuso poiché una metà di chi la costruiva era molto interessato a ciò che succedeva e a ciò che la rivista faceva, ma un’altra metà non aveva un particolare interesse per la politica. Successivamente ho fatto un’altra rivista che si chiamava «Compagni,» però la situazione stava cambiando poiché nascevano le riviste legate ai gruppi e non aveva più tanto senso il progetto legato a «Quindici», infatti ne sono usciti solo due numeri. Io in quel periodo lavoravo per Feltrinelli, nell’inverno del ’69 dopo piazza Fontana lui è entrato in clandestinità, ma io ho continuato ad avere un rapporto con lui fino alla sua morte, nel 1972. Nel frattempo avevo scritto il libro Vogliamo tutto, che nasce dopo il mio viaggio a Torino nel ’69, durante l’occupazione Fiat, dove ho conosciuto Alfonso e i compagni torinesi, ma esce nel ’71. Intanto era nato Potere operaio, la seduta della fondazione era stata fatta a casa mia a Roma, tra i partecipanti c’erano Negri, Piperno, Scalzone, Daghini, Greppi, Dalmaviva, Bologna. Da lì io mi sono sempre occupato della parte editoriale, ovvero del giornale «Potere operaio», che ha avuto diversi formati e fabbricazioni e dei quaderni «Linea di massa». La redazione era a Milano a casa di Giairo Daghini, ogni settimana con lui e Scalzone andavamo in tipografia a Roma e in un giorno impaginavamo e facevamo il giornale. Una cosa simile è avvenuta anche nel ’76 per «Rosso», in questo caso c’era anche Bifo, che ho conosciuto giovanissimo; nel 1975 sono andato a stare a Milano e ho fatto una casa editrice che si chiamava Area, che era in realtà un consorzio di case editrici nato per mettere in comune delle funzioni che per una piccola casa editrice sono molto costose, come la redazione, le vendite e l’ufficio stampa. Alcune già esistevano, altre erano nate per l’occasione, c’era Libri Rossi, L’Erba Voglio, le edizioni di Aut Aut, Squilibri e altre. Eravamo arrivati a mettere insieme una decina di queste case editrici, ciò permetteva di essere editori senza avere tutte le competenze professionali per farlo, poiché c’era Area che se ne occupava: si occupava dell’impaginazione, della tipografia, dell’ufficio stampa e della distribuzione. Tutto questo si è inceppato a causa della repressione che in quegli anni lì incominciava a essere pesante, io per esempio sono stato perquisito più volte, ma soprattutto, questo si è scoperto un po’ dopo, c’è stato un altro fatto. Nel progetto c’era un altro socio, Luigi D’Urso, amico di Bifo, che era di una famiglia molto ricca, il padre era un importante avvocato. Luigi inizialmente aveva messo dei soldi nel progetto Area e vi lavorava insieme a me e ad altri, ed evidentemente questa cosa dava fastidio, tant’è che una mattina del 1977 a Roma un maresciallo dei carabinieri andò a casa del padre a spiegare che il figlio stava facendo qualcosa di male. I genitori si sono spaventati, hanno preso il figlio, l’hanno mandato all’estero e hanno chiuso il progetto: in realtà inizialmente avevano detto che bisognava fermarsi un attimo e alla fine l’attimo non ha avuto una conclusione e tutto si è bloccato, e tra l’altro loro ci hanno anche perso molti soldi. A quel punto il clima era molto pesante, io ho pensato di fare una rivista che mettesse gli intellettuali di fronte a questa situazione, di fronte a quanto stava accadendo. Nei primi anni Settanta c’era stato un entusiasmo quasi commovente degli intellettuali, quando il gioco ha cominciato a farsi un po’ duro, con la forte repressione e la nascita delle Brigate rosse, hanno cominciato a tirarsi indietro, non tutti, ma certo una parte si è tirata indietro, la ritirata generale è stata dopo il rapimento Moro e nei primi anni Ottanta. Allora ho messo in piedi una rivista che si chiamava «Alfabeta», con un gruppo in cui c’era Umberto Eco, Maria Corti, Leonetti, Rovatti e altri, Gianni Sassi era l’editore. La rivista all’inizio andava bene, si vendeva molto, le persone che ci lavoravano erano molto appassionate al progetto, si riunivano una volta alla settimana, anche se la rivista era mensile. Io a tutto questo non ho partecipato, il primo numero è uscito il 20 aprile, dopo il 7 aprile e io non ero più in Italia. Non sapevo di essere tra le persone ricercate, stavo a Milano, c’erano tre persone non arrestate, uno era Piperno, poi c’era Marongiu che era sulla nave dalla Sardegna all’Italia e poi c’era un terzo che i giornali dicevano di non sapere chi fosse. Io ho comprato un giornale il pomeriggio, una settimana dopo gli arresti, e leggo nel titolo di prima pagina che il terzo ricercato era Balestrini. Ho pensato di scappare immediatamente, sono andato a casa di un amico insospettabile e poi ho raggiunto mia sorella a Courmayeur e vestito da sciatore ho fatto il passo sciando, sono arrivato in Francia e sono andato a Parigi. Mi hanno cercato a Roma a casa di una mia ex compagna, Letizia Paolozzi, ma non è chiaro perché non mi hanno cercato a Milano; alcuni dicono che non mi volevano realmente cercare.

Il seguente testo è tratto da “L’assemblea”, capitolo 9 di “Vogliamo Tutto”

Compagni come voi tutti sapete alla Fiat ogni giorno la percentuale di assenze è altissima. E’ gente che non ce la fa più a tenere dietro ai ritmi di lavoro massacranti imposti dai padroni. E’ gente che resta a casa per conservare la propria esistenza fisica. E’ una continua fuga dal lavoro produttivo. Si parla di diritto alla salute di lotte contro la nocività. Ma non si dice che l’unica questione è che il lavoro è nocivo. L’immigrazione di giovani dal sud da parte della Fiat è andata avanti negli ultimi mesi a ritmo crescente. Dati i forti autolicenziamenti di operai che non vogliono più saperne dei ritmi Fiat e dati i licenziamenti degli operai che fanno troppe assenze. Tutto questo fa comodo alla Fiat perché i nuovi assunti hanno salari più bassi per i primi quattro anni di sfruttamento nella fabbrica.

A questo va aggiunto il circolo vizioso che porta via quasi tutto il salario. I giovani immigrati che fanno la spola fra una trattoria e un affittacamere. I risparmi per pagare i debiti dello spostamento al nord e per mandare il vaglia al sud erano possibili sei o sette anni fa. Il salario reale della Fiat è andato indietro in questi anni. Perciò lo sciopero che abbiamo fatto per Battipaglia come Battipaglia nel sud è stata la fine della politica meridionalista della Dc e del Pci dello Stato e dei monopoli quello sciopero è stata l’occasione per uno sciopero politico contro la pianificazione Fiat e statale.

Per quanto riguarda questo sciopero di giovedì non sono i sindacati che si sono accorti che gli operai non ne possono piú degli affitti. Ma sono stati gli operai con questi atti di ribellione al di fuori di ogni linea sindacale e politica a dimostrare che ne hanno fin sopra i capelli degli aumenti del costo della vita degli affitti. E che a un certo punto non possono più essere soddisfatti dello stipendio di fame che oggi si prende. Noi chiediamo il salario garantito chiediamo di essere pagati sempre secondo le nostre necessità sia quando lavoriamo sia quando siamo disoccupati. Applausi.

Compagni adesso dopo tutte queste settimane di sciopero in cui abbiamo messo in ginocchio il padrone tutti ci dicono di non esagerare. Ce lo dicono i sindacalisti in fabbrica ce lo dicono i giornali fuori. Che se va avanti così ci sarà la crisi che dobbiamo stare attenti perché tutta questa produzione in meno rovina l’economia dell’Italia. E poi tutti staremo peggio ci sarà disoccupazione e fame. Ma a me non mi sembra che le cose stanno proprio così. Lasciamo anche da parte che come ha detto il compagno prima se l’economia dei padroni va in fallimento a noi non ci frega proprio niente. Anzi ci fa molto piacere.

Questo è verissimo ma c’è un’altra cosa. E’ che a noi non ci frega niente anche perché tanto lo sappiamo che qua finché non cambia tutto siamo sempre noi a stare peggio. Non siamo stati sempre noi a pagare il prezzo più alto di tutte le lotte? Compagni io sono di Salerno ho fatto tutti i lavori nel sud come nel nord e una cosa ho capito: Che l’operaio ha solo due possibilità o un lavoro massacrante quando le cose vanno bene o la disoccupazione e la fame quando vanno male. Io non so bene quale delle due cose è peggio. Ma tanto non è che l’operaio se la può decidere è il padrone sempre che gliela decide.

E’ inutile allora che quando ci incazziamo perché non ne possiamo più ci vengono a pregare di tornare a lavorare. Che ci vengono a fare la morale che siamo un solo paese un solo interesse generale che ognuno c’ha la sua funzione e il suo dovere e queste cose qua. Con quella vecchia storia che lo stomaco non può mangiare se le braccia non lavorano e allora tutto il corpo muore. E così ci pregano e ci minacciano di tornare a lavorare perché se no sarà il peggio anche per noi. Ma le cose non stanno così perché come ho detto prima noi tanto finché il potere ce l’hanno loro noi con loro moriamo sempre e in ogni caso sia che lavoriamo sia che no.

E in quel tranello non ci caschiamo più perché proprio non siamo lo stesso corpo noi e loro. Non abbiamo niente in comune siamo due mondi diversi siamo nemici e basta noi e loro. La forza più grande che noi abbiamo è proprio questo fatto di esserci convinti finalmente che col lavoro dei padroni e con lo Stato dei padroni noi non abbiamo proprio nessun i interesse in comune. Ma anzi abbiamo tutti interessi contro. Tutti i nostri obiettivi materiali sono contro questa economia sono contro questo sviluppo sono contro l’interesse generale che è quello dello Stato dei padroni. Adesso ci dicono che la Fiat fa una fabbrica in Russia a Togliattigrad e che dovremmo andarcene lì tutti per imparare a lavorare come si lavora nel comunismo.

E che cazzo ci frega a noi se anche in Russia gli operai sono sfruttati e se li sfrutta lo Stato socialista invece del padrone capitalista. Vuol dire che quello non è comunismo ma è qualcosa che non va bene. E infatti mi sembra che si preoccupano più della produzione e di andare sulla luna anche loro invece che del benessere della gente. Perché il benessere viene prima di tutto dal farci lavorare meno. E’ per questo che noi adesso diciamo no ai padroni spaventati che ci chiedono di aiutarli nella loro produzione. Che ci spiegano che dobbiamo partecipare perché è anche nell’interesse di noi tutti.

Diciamo no alle riforme per cui ci vogliono fare lottare il partito e il sindacato. Perché abbiamo capito che quelle riforme servono solo a migliorare il sistema con cui i padroni ci sfruttano. Che ci frega di essere sfruttati meglio con un po’ di case un po’ di medicine o un po’ di scuole in più. Tutto questo migliora solo lo Stato migliora l’interesse generale migliora lo sviluppo. Ma i nostri obiettivi sono contro lo sviluppo sono contro l’interesse generale sono nostri e basta. I nostri obiettivi cioè gli interessi materiali della classe operaia sono il nemico mortale del capitalismo e dei suoi interessi.

Noi abbiamo cominciato questa grande lotta chiedendo più soldi e meno lavoro. Adesso sappiamo che questa è una parola d’ordine che capovolge che manda per aria tutti i progetti dei padroni tutto il piano del capitale. E adesso noi dobbiamo passare dalla lotta per il salario alla lotta per il potere. Compagni rifiutiamo il lavoro. Vogliamo tutto il potere vogliamo tutta la ricchezza. Sarà una lotta lunga di anni con successi e insuccessi con sconfitte e avanzate. Ma questa è la lotta che noi dobbiamo adesso cominciare una lotta a fondo dura e violenta. Dobbiamo lottare perché non ci sia più il lavoro. Dobbiamo lottare per la distruzione violenta del capitale. Dobbiamo lottare contro uno Stato fondato sul lavoro. Diciamo: Sì alla violenza operaia.

Perché siamo noi proletari del sud noi operai massa questa enorme massa di operai noi centocinquantamila operai della Fiat che abbiamo costruito lo sviluppo del capitale e di questo suo Stato. Siamo noi che abbiamo creato tutta la ricchezza che c’è e di cui non ci lasciano che le briciole. Abbiamo creato tutta questa ricchezza crepando di lavoro alla Fiat o crepando di fame nel sud. E adesso noi che siamo la grande maggioranza del proletariato non ne abbiamo più voglia di lavorare e di crepare per lo sviluppo del capitale e di questo suo Stato. Non ne possiamo più di mantenere tutti sti porci.

E allora diciamo che è ora di finirla con questi porci che tutta questa enorme ricchezza che noi produciamo qua e nel mondo poi oltre tutto non sanno che sprecarla e distruggerla. La sprecano per costruire migliaia di bombe atomiche o per andare sulla luna. Distruggono perfino la frutta tonnellate di pesche e di pere perché ce ne sono troppe e allora hanno poco valore. Perché tutto deve avere un prezzo per loro tutto deve avere un valore che è l’unica cosa che a loro interessa non i prodotti che senza valore per loro non possono esistere. Per loro non possono servire alla gente che non ne ha da mangiare. Con tutta questa ricchezza che c’è la gente invece potrebbe non più morire di fame potrebbe non più lavorare. Allora prendiamoci noi tutta questa ricchezza allora prendiamoci tutto.

Ma stiamo impazzendo? I padroni ci fanno lavorare come bestie e poi distruggono la ricchezza che noi abbiamo prodotto. Ma è ora di farla finita con questa gente qua. E’ ora che gli facciamo il culo a tutti questi porci finalmente che li facciamo fuori tutti e ce ne liberiamo per sempre. Stato e padroni fate attenzione è la guerra è la lotta finale. Andiamo avanti compagni andiamo avanti come a Battipaglia bruciamo tutto spazziamo via queste canaglie spazziamo via questa repubblica. Lunghissimi applausi. [..]

 

 

 

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