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Cattura di Piero Pinetti

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PIERO PINETTI di anni 20.

Nato il 3 dicembre 1924 a Genova.

Di professione meccanico, assunto presso l’Ansaldo di Sampierdarena (GE).

Membro del partito comunista clandestino, dopo l’armistizio partecipa alla lotta di liberazione impegnandosi, almeno inizialmente, in diversi compiti organizzativi.

Entrato nelle fila della 175ª Brigata Garibaldi SAP (poi Brigata Guglielmetti, dislocata a Genova-Val Bisagno), nell’agosto del 1944 ne diventa il vice-comandante. Caduto in una trappola tesagli da alcuni elementi della X Mas, che gli danno un falso appuntamento per un rifornimento di armi, Pinetti viene arrestato in via Bobbio, a Genova, l’11 gennaio 1945.

Imprigionato nelle carceri cittadine di Marassi, il 29 gennaio viene processato e condannato a morte dal tribunale militare straordinario, riunitosi a Palazzo Ducale. All’alba del 1º febbraio 1945 viene prelevato dalla cella e condotto presso il Forte Castellaccio, un antico bastione situato nell’entroterra della provincia di Genova, dove viene fucilato dalle Brigate Nere assieme a Sabatino Di Nello (Pietro Silvesti), Alfredo Formenti (Brodo), Angelo Gazzo (Falco), Luigi Achille Riva (Foce) e Federico Vinelli (Ala-Seri), tutti partigiani condannati a morte e detenuti nel penitenziario di Marassi.

Il seguente racconto, tratto dal giornalino “Il Quartiere”, è stato narrato dalla signora Ida Folli:

“Quel mattino del 1^ febbraio 1945 una nebbia fitta e densa permetteva di vedere a pochi metri di distanza; erano circa le sei quando venni svegliata da alcuni colpi battuti alla porta di casa. Erano le Brigate Nere che volevano sapere dove fosse l’ingresso del Forte Castellaccio; mi portai sulla strada per indicarglielo e notai che vi erano alcuni automezzi fermi con il motore acceso che invertirono poi il senso di marcia e ridiscesero. Circa un’ora e mezza dopo, come di consueto, mi avviai per la strada che scende al Righi per recarmi al lavoro ma, giunta sull’ultima curva prima del ponte levatoio, venni fermata dalle Brigate Nere e invitata a tornare indietro.

Mentre discutevo con costoro per vedere di riuscire a passare e proseguire, le grida di un giovane che invocava la mamma mi fecero ammutolire e trasalire; subito dopo alcune raffiche di mitra soffocarono quelle invocazioni. I colpi isolati che seguirono furono più eloquenti e mi fecero capire cosa stava succedendo.

Non contai più il tempo e quando mi fecero proseguire, stavano caricando le casse funebri precedentemente allineate ai margini della strada sui terrapieni dopo il ponte.

I soldati del Comando dell’Artiglieria della Repubblica Sociale Italiana, alloggiati nel Convento delle Suore Crocifisse sfollate a Stazzano (AL) , avevano fornito loro le sedie prese in chiesa e servite per i condannati a morte, e adesso le riportavano indietro. La nebbia aveva impedito loro di trovare l’ingresso del Castellaccio e così, con il servizio ausiliario di becchini, i soldati fucilarono i Partigiani sotto il ponte levatoio. Se fossero entrati nel Forte, sedie e becchini li avrebbero forniti molto probabilmente i Risoluti o i Bersaglieri.”

LETTERA DI PIERO PINETTI ALLA MADRE

“Genova 29 gennaio 1945

Carissima mamma,

quando tu leggerai queste

mie ultime righe il mio sangue avrà forse da

un pezzo smesso di circolare nel mio corpo.

L’ultima volta che ti vidi mi dicesti di farmi coraggio e mantenendo fede alla parola data vado incontro alla morte senza paura e senza sgomento.

Ti riuscirà forse difficile comprenderlo, ma sappi che chi ha reclamato il frutto del tuo sangue e chi lo ha giudicato, sono stati gli uomini.

A parer mio tutti gli uomini sono soggetti

a fallire e non hanno perciò diritto di giudicare

poiché solo un ente superiore può giudicare tutti

noi che non siamo altro che vermi di passaggio su questa terra.

Ciò che ho fatto è dovuto al mio fermo carattere

di seguire un’idea e per questo pago con

la vita come già pagarono in modo ancora più

orrendo ed atroce migliaia di seguaci di Cristo

la loro fede.

Io ho creduto in questo, sia giusto o sbagliato,

ed ho combattuto per questo fino alla fine, non negandolo a nessuno. Con questo non posso far altro che dirti di combattere il dolore che ti ho causato e di perdonarmi se ti riesce nella possibilità di farlo.

Ti prego di rimanere calma e di non lasciarti battere e di non pensare a combinare sciocchezze

poiché allora implicheresti la tua stessa esistenza ed allora la sventura verrebbe duplicata.

Devi adattarti al pensiero che io avrei potuto mancare a te, in migliaia di casi, di malattia, al fronte, ecc. Come vedi il fato era diverso la sorte sempre la stessa. Tu sai che in vent’anni io ho avuto molto a che fare con la vita ed ho avuto pure dei profondi abbattimenti morali tanto che in questi momenti la vita mi pesava.

Con ciò non voglio dirti di perdonarmi del dolore e dell’ingratitudine che ho avuto per te.

Ricordati però che ciò nonostante non ho mai cessato di amarti e di ricordare ciò che hai fatto per me.

Con questo ti invio un aff.mo bacio come ultimo

ricordo del tuo carissimo figlio

Pinetti Pietro”

LETTERA DI PIERO A MARIA

“Genova 29 gennaio 1945

Pinetti Pietro

Signorina Cappellotto Maria

Via Ponte Carrega 7/6

Carissima Maria,

come immaginerai chi ti scrive per la

prima e l’ultima volta è Piero.

Come vedi, attendo di ora in ora la fucilazione per reati politici. Voglio che tu comprenda da queste mie

poche righe che un ultimo pensiero come lo rivolgo ai miei genitori ed alla zia lo rivolgo anche a te.

Credo capirai quanto ti ho rispettato e non abbia mai disperato sull’avvenire. Vorrei che dessi con questo un ultimo sguardo all’affezione che ho avuto per te per comprendere quanto abbia potuto amarti. Oggi non spero più, ho seguito una strada che mi ha condotto alla tomba e che non mi ha permesso neppure di rivederti, come non rivedo da 19 giorni i miei cari parenti. Ricordati che tu sei stata sempre e nonostante tutto la mia più cara e testarda amica, che ha fatto tanto fantasticare il mio povero cervello, e che perciò a te sola, di tanti scrivo.

Non so se tu proverai un sincero dolore per questa disgrazia che strazierà il cuore della mia povera mamma, ed è per questo che ti prego di cercarla, e cercare di farla dimenticare, di rincuorarla ed incoraggiarla. Chi ti parla in questo momento non è altro che un fantasma, un moribondo che spera ancora in una cosa:

che la sua povera mamma si dia pace; ed è per questo che t’invoco che tu voglia cercare di far qualcosa per lei. Ti ringrazio contento che tu non mi negherai questa mia ultima ed umana preghiera.

Ti prego volermi pure salutare la zia e tutti i tuoi parenti, soprattutto la piccola Elsa. Ti auguro per l’avvenire la più assoluta felicità e ti prego volermi ricordare come un fratello. Attendendo impazientemente la morte t’invio un carissimo e fraterno abbraccio.

Tuo aff.mo e sincero amico Piero”

Guarda “25 aprile 1945: Genova liberata dai partigiani“:

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