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Matthias Sindelar e La partita dell’addio

Da futbologia

La partita dell’addio è un libro di Nello Governato (Mondadori, 2007),  ex calciatore e dirigente sportivo che ci racconta, sotto forma di romanzo, la vicenda di Matthias Sindelar, calciatore austriaco che si oppose a Hitler. Un top player – diremmo oggi – forse IL top player [1] del tempo, insieme a Meazza e all’ungherese Sarosi.

Essenziale nella descrizione della vita del protagonista (e con lui della moglie), è un romanzo di ampio respiro, che parla di calcio, ma anche della storia dell’Europa a ridosso della Seconda guerra mondiale. Dei mondiali di calcio del 1938, del fascismo, delle leggi razziali e della prepotenza, dell’arroganza del potere; della privazione di libertà subita da un personaggio famoso, amato da tutti, un “simbolo”, che rappresenta una nazione.

Matthias Sindelar era figlio di operai, nato in Moravia (oggi regione della Repubblica Ceca, NdR) nel 1903, trasferito da bambino a Vienna, perse il padre nella prima guerra mondiale. Diventò un grande giocatore, soprannominato Cartavelina, per il suo fisico in apparenza leggero e per una grande eleganza unita a una certa fragilità.

Durante il mondiale in Italia, nel 1934, durante la semifinale che l’Italia vinse grazie, si dice, all’aiuto dell’arbitro, Sindelar fu vittima del “boia” Luisito Monti, che lo marcò inseguendolo a tutto campo. Venne ricoverato in una clinica per essere rimesso in sesto e lì conobbe Camilla Castagnola, studentessa di tedesco, italiana, fascista, ebrea. Diventerà sua moglie.

Dopo l’Anschluss (annessione dell’Austria al terzo Reich, aprile 1938), la nazionale austriaca giocò il suo ultimo incontro proprio contro la Germania: gli unici due calciatori che non fecero il saluto nazista davanti ai gerarchi, alla fine della partita, vinta con gol di Sindelar, furono lo stesso Matthias e Karl Sesta ‘Schasti’, suo grande amico. Sindelar era già mito in patria e famosissimo anche all’estero. Quasi istintivamente si schierò contro Hitler e il nazismo, per ragioni politiche, per orgoglio nazionale e forse anche per amore.

Il Reich voleva che Matthias giocasse con la maglia tedesca ai mondiali di Francia del 1938. L’allenatore della Germania, Herberger (che vincerà poi il mondiale nel 1954), uomo onesto e professionale, non strettamente legato al nazismo, provò, subito dopo la partita, a convincerlo a far parte della nazionale tedesca. Ma lui rifiutò adducendo come scusa il ginocchio malandato e l’età ormai avanzata. Questi due fatti, apparentemente piccoli, segneranno la sua vita [2].

Goebbels, dopo la partita in questione, dichiarò: “I viennesi hanno un loro idolo, il grande calciatore Sindelar. Vogliamo credere, anzi siamo sicuri, che Sindelar sarà sempre degno di questa stima anche negli impegni futuri”. Col senno di poi è facile leggere queste parole come un avvertimento, una minaccia. Come dire: prima o poi la pagherà, anche se per ora è troppo famoso.

Infatti, mentre Sesta venne arrestato e interrogato dalla Gestapo, Matthias fu trattato con un occhio di riguardo. Troppo famoso e poi, forse, si sperava ancora che decidesse, magari perché spaventato, di partecipare ai mondiali. Venne convocato dalla Gestapo per un colloquio durante il quale fu velatamente minacciato, cosa che successe anche a Camilla, ma nulla più. Fu comunque, a sua insaputa messo sotto controllo.

Mentre si stringeva sempre più la morsa attorno a ebrei e avversari politici, Sindelar, nel quotidiano, aiutò finanziariamente un gruppo di operai del quartiere dove era cresciuto, che si riunivano segretamente in funzione antinazista. In questo fu appoggiato da Sesta, figlio di un socialista ucciso dai nazisti.

Dopo la sconfitta della Germania nella semifinale dei mondiali contro la Svizzera, Matthias fu nuovamente convocato dalla Gestapo e, d’accordo con Camilla decise di assistere alla finale a Parigi, in ogni caso.

Riuscì a entrare nello stadio grazie a Pozzo e Monzeglio, e rinnovò la sua immagine di simbolo dell’opposizione al nazismo, al di là, forse, della propria volontà: quando il pubblico di Parigi, già fortemente schierato contro i tedeschi, lo riconobbe, intonò la Marsigliese. Sindelar si rese conto che quel suo rifiuto, mesi prima, di fare il saluto nazista aveva avuto un’eco notevole, anche oltre i confini del Reich e aveva ormai assunto un forte significato ‘politico’, che modificava la sua immagine e il suo ruolo, non più soltanto calcistico. Ruolo che Matthias non rifiutò, portandolo fino alle conseguenze estreme, decidendo di rientrare in Austria e poi di non scappare, quando ne ebbe la possibilità, sostenendo che la sua scelta sarebbe servita a tutti coloro che non avrebbero avuto la possibilità di farlo.

Vennero poi trovati dei documenti (probabilmente falsi) che dimostravano che Matthias aveva una nonna ebrea. Nella notte dei cristalli venne assaltata casa sua, ma la folla si fermò sulla porta: lui e Camilla non vennero toccati. Sindelar, però si rese definitivamente conto di essere sacrificabile. Riprese a giocare nella rinata Austria Vienna, presieduta da Rapp, nazista, ma leale, che dopo la morte di Sindelar rivide le proprie opinioni fino a essere deportato. Vinsero il campionato regionale austriaco, arrivando a giocarsi la finale nazionale a Berlino, contro l’Herta. Finale in cui Matthias segnò un gol e che finì in pareggio, sancendo così, da regolamento, la vittoria di tutte e due le squadre.

Rientrati a Vienna Matthias e Camilla vennero trovati morti in casa loro dalla Gestapo (che era la polizia politica e non si occupava certo di questo), a causa di un presunto guasto alla stufa a gas, tra mille sospetti, dubbi, reticenze e testimonianze contrarie. In ogni modo i corpi vennero quasi subito cremati e la faccenda si credette che fosse chiusa così.

Ma Sindelar, nonostante tutto, restava un mito: alla sede della sua squadra arrivarono circa quindicimila telegrammi di condoglianze e al suo funerale parteciparono più di quarantamila persone.

Fin qui il racconto di Governato. Senz’altro si possono trovare ricostruzioni della vita di Sindelar più fedeli alla realtà, più precise, per certi versi (al fondo alcuni link), ma io credo che l’intento di Governato sia anche di riflettere sul ruolo del calciatore e sulla sua scelta.

Al contrario di quanto sarebbe facile pensare, già negli anni ’30 i calciatori avevano un’immagine pubblica, alcuni di loro avevano già allora degli sponsor. Ricordo il racconto di una partigiana che mi diceva di avere tenuto in camera, da ragazzina, una foto di Meazza. Sindelar decise di utilizzare la sua immagine (all’inizio, forse, non del tutto consapevolmente) per giocare la sua partita contro Hitler.

Sindelar fa parte di quella schiera di calciatori (e di uomini, ovviamente) che si distinsero per le loro scelte coraggiose. Senza stare a fare elenchi penso a Bruno Neri, di cui si è parlato su Fútbologia e a Jorge Carrascosa, capitano dell’Argentina, che si ritirò piuttosto che giocare per i ‘Generali’, di cui scrisse, mi pare, Luca WM3 e quel pezzo, su Fútbologia, starebbe proprio bene.

 

Vedi anche:

Matthias Sindelar, FK Austria Wien: un calcio alla Gestapo
Sindelar: the ballad of the tragic hero
sul Guardian Sport Blog

______________________________________________________

[1] Nello Governato lamenta il fatto che, quando qualche anno fa fu assegnato il premio di miglior calciatore del mondo a Maradona e Pelè (uno votato dal pubblico, su internet, l’altro diciamo così, dall’establishment che rappresenta), Sindelar non fu nemmeno preso in considerazione. Naturalmente bisogna tener conto della prospettiva storica che favorisce gli ultimi venuti; altro motivo, presumo, è che raramente si sente parlare, tra i più famosi, di giocatori dell’era pre-televisiva (Leonidas, Schiaffino, i grandissimi ungheresi ecc…

[2] Due suoi compagni di squadra, Jerusalem e Zischek, ebrei austriaci, decisero di partecipare al mondiale con la maglia della Germania, rendendosi conto troppo tardi di essersi fatti strumentalizzare, decidendo poi, dopo aver parlato con Matthias, di scappare.

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