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Un Filorosso con l’università calabra spezzato in modo violento

Claudio Dionesalvi per Il Manifesto

 Alle prime luci dell’alba, in esecuzione di un’ordinanza firmata dal procuratore di Cosenza Giuseppe Cozzolino, approfittando dello svuotamento estivo del campus, decine di poliziotti e carabinieri hanno occupato l’area di Arcavacata per spianare la strada alle ruspe che hanno proceduto all’abbattimento dei capannoni occupati.

Agli attivisti è stata notificata la rituale denuncia per occupazione di suolo pubblico, furto di energia elettrica, somministrazione di bevande e interruzione di attività didattiche. Proprio quest’ultima appare la più bizzarra delle accuse. È parere condiviso dentro e fuori l’Unical che se non ci fossero state esperienze sociali, politiche e culturali come quelle abbattute ieri dalle ruspe, negli ultimi 15 anni Arcavacata sarebbe stata molto meno «università». Non solo: l’ex area polifunzionale è rimasta in vita grazie al Filorosso e alle compagnie teatrali di ricerca. Il campus, ridotto a un gigantesco dormitorio in orari extradidattici, sarebbe stato ancor più vuoto, tetro, privo d’anima.

È evidente che il progetto di Latorre va in tutt’altra direzione. «Da sempre l’idea del Rettore – spiega il professore Franco Piperno – è quella che l’università vada governata quasi fosse un’azienda, dove gli aspetti contabili-renumerativi prevalgono sui fini formativi, e la gerarchia accademica si modella su quella aziendale». Fedelissimo attuatore del modello Gelmini, il «magnifico» si è sempre distinto per operazioni di facciata che nessun miglioramento sostanziale hanno apportato alla qualità e al funzionamento della macchina organizzativa nell’università della Calabria.

«Il centro sociale viveva sotto minaccia di sgombero ormai dall’agosto del 2005 – si legge in una nota di Filorosso -, quando lo stesso rettore, dopo aver fatto approvare una delibera a maggioranza in piena estate dal Consiglio d’Amministrazione, provò ad eseguire la demolizione dello spazio, ritenuto inagibiinagibile e privo dei requisiti di sicurezza. Da sottolineare che quegli spazi erano frequentati dagli studenti dell’Unical già prima del centro sociale, quando ospitavano aule e laboratori. Gli occupanti respinsero quel tentativo: da allora, in questi sei anni, è stato un susseguirsi di diffide, visite dei carabinieri,multe e procedimenti aperti a carico dei suoi storici fondatori. Fino all’agosto scorso, con il taglio di acqua e luce». «Nonostante l’inasprimento dei rapporti con l’amministrazione universitaria – prosegue la nota – il Filorosso non ha smesso di dimostrare la consueta disponibilità alla trattativa e all’eventuale trasloco in altri locali, al fine di salvaguardare l’attività di aggregazione giovanile in un territorio disgregato come la Calabria. Con Filorosso il rettore normalizzatore demolisce un’anomalia positiva per l’Unical, l’unico luogo che ha sempre praticato oltre che predicato la socialità, l’autoformazione, la qualità della vita in un Campus agonizzante, deturpato dalle gru e dal cemento, dove gli studenti possono studiare, mangiare e dormire,ma nonincontrarsi e coltivare sogni di libertà».

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