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Senza Soste: cronaca e commento sulla giornata del 15 ottobre

Non è facile raccontare la giornata del 15 ottobre a Roma, per due motivi: il primo perché c’era tantissima gente ed ognuno ha visto e vissuto il corteo in base alla parte in cui era posizionato. Il secondo perché la manifestazione di sabato era già complessa di suo, per organizzazione, per composizione politica e sociale, per gli obiettivi che aveva, e gli eventi la hanno complicata ancora di più.

Ma andiamo con ordine.

I numeri

Impressionanti. Non sbaglia chi ha detto che potevamo essere 300.000. E non è un numero scontato anche se alla vigilia la speranza di una partecipazione di massa c’era. Numeri impressionanti se si tiene di conto che in passato questi numeri sono stati raggiunti con la partecipazione attiva ed economica di partiti e sindacati (Cgil o Fiom) che hanno messo a disposizione pullman a prezzi politici o gratuiti. Questa volta invece il grosso del corteo è giunto a Roma molto più spontaneamente. I pullman organizzati erano una parte che pesava molto meno sui numeri del corteo rispetto al passato e molta gente si è autorganizzata con treni, mezzi propri o pullman organizzati da movimento o intergruppi e collettivi vari.

Da Livorno

Che i numeri potessero essere imponenti si è visto fin dalla mattina a Livorno dove si sono ritrovate oltre 300 persone a cui poi se ne sono aggiunte altre a Rosignano e Cecina. Il tutto su un appuntamento lanciato dal Comitato “Dobbiamo Fermarli” e rilanciato solo dal nostro sito e da tanti ragazzi su Facebook, ma completamente ignorato dai media “mainstream” (Il Tirreno ad esempio nonostante i numerosi invii dell’appello per l’appuntamento alla stazione ha completamente ignorato la cosa). Numeri grossi se si considera che da Livorno sono partite anche auto private e due pullman organizzati da Rifondazione Comunista.

Alla stazione c’erano tanti giovani, un’età media molto bassa di poco più di 20 anni e molti “non militanti” che tuttavia sentivano il grande evento secondo il refrain: “Se non si fa qualcosa ora quando c’è da farla? Cosa ci devono fare per farci svegliare?”. Parole semplici che tuttavia indicano che nell’immaginario popolare e giovanile la misura è colma. Non sarà certo un corteo che cambia la storia ma questa voglia e questa presenza deve essere di stimolo per tutti coloro che sui territori si impegnano quotidianamente e devono rendersi conto che per molti, specialmente giovanissimi, la misura è colma e la sensazione è che tanto ormai il futuro non si intravede nemmeno e c’è veramente poco da perdere. Basta leggere i dati della disoccupazione giovanile nella nostra città.

A Roma

Scesi a Stazione Termini, appena i giornalisti che attendevano ai binari i treni hanno appreso che il grosso delle persone scese dal treno erano di Livorno è partito subito il tam tam sui livornesi e la curva nord presenti a Roma tanto che sia Repubblica che il Corriere della Sera hanno subito riportato la notizia a mezzogiorno. Questo aneddoto per far capire come il giornalismo vada avanti a colpi di luoghi comuni, di frasi fatte, di conoscenze e interpretazioni vecchie di 10 anni, di messaggi reimpostati da dare in pasto ai lettori sprovveduti. Questa impostazione, iniziata già da parecchi giorni, non è stata abbandonata per tutta la giornata del 15 e ci rincorrerà anche per i giorni prossimi. Leggete questo articolo ridicolo di quello pseudoquotidiano chiamato La Nazione sugli ultras del Livorno negli scontri e fatevi un’idea (uno degli indizi della presenza dei livornesi starebbe nella scritta ACAB sui muri della città, sigla, in inglese, utilizzata in tutto il mondo per offendere i poliziotti).

La prima sensazione in piazza è stata subito che eravamo in un corteo non controllato o controllabile perché nessun soggetto organizzato voleva o poteva controllare la piazza. La manifestazione d’altronde era nata come un appello europeo dal basso e al massimo qualcuno poteva provare a metterci un cappello politico senza però essere in grado di portare forze e organizzazione in piazza per determinare il corteo.

Subito in via Cavour questa cosa è stata palese visto che ogni spezzone aveva preparato azioni (simboliche o concrete) in modo indipendente e vari gruppi più o meno grandi sceglievano i propri obiettivi in modo del tutto autonomo. E a metà via Cavour infatti sono state dati alle fiamme due Suv e un paio di banche oltre che sfondate le vetrine a una catena di supermercati ad opera di un altro spezzone.

Il corteo poi è proseguito per i fori imperiali e il colosseo, come previsto, mentre dalla parte di piazza Venezia (la zona dei palazzi del potere), blindati e centinaia di poliziotti impedivano eventuali deviazioni.

I problemi veri sono iniziati a poche centinaia di metri da Piazza San Giovanni dove la polizia ha caricato il corteo rompendolo in tre tronconi dopo un’altra serie di incendi a auto e cassonetti e l’attacco a una casermetta della Guardia di Finanza. E da qui la polizia ha iniziato uno show conclusosi a piazza San Giovanni con i blindati montati fino in cima alla piazza a disperdere con gli idranti e a folle velocità la folla di manifestanti (molti dei quali nemmeno si rendevano conto cosa stava succedendo nella via parallela alla piazza) (video)

Da qui è partita una reazione di massa, che non c’entra niente con le azioni del corteo, e scontri di due ore per impedire alla polizia di entrare in piazza San Giovanni. Due ore di caroselli coi blindati gettati a folle velocità e dall’altra parte centinaia e centinaia di giovani che tenevano la piazza con sassi e bombe carta(video)

L’apice è avvenuto quando i blindati hanno cercato di entrare nella piazza al lato di San Giovanni dove stava confluendo il corteo. Per fare ciò i blindati hanno speronato il camion dei Cobas spingendolo di forza nella piazza dei manifestanti con gravi rischi per l’incolumità delle persone. Poi c’è stato l’incendio della camionetta dei carabinieri che si è fermata in panne dopo che aveva cercato di rincorrere le persone fino sulle scalinate della chiesa rimanendo incastrata.  Gli scontri poi sono continuati per altre 2 ore in altre zone della città.

Commento

La giornata del 15 ottobre era nata male. Per molti è finita peggio mentre per altri è andata come era pienamente preventivabile che andasse.

Era nata male perché è stato scelto un “format”, quello della grande manifestazione autunnale con passeggiata e comizio finale che oltre ad essere desueta, non rispondeva certo alle esigenze di chi ha partecipato in massa sull’onda degli eventi nelle altre città europee dove, anche se con diverse forme e contenuti, la parola d’ordine era l’assedio ai palazzi del potere.

L’Italia però non è la Spagna, ha altre tradizioni di movimento, altri numeri (più grossi) e altra organizzazione. Era improbabile riproporre il modello della “acampada”, anche perché in Italia le tende vengono caricate dalla polizia appena fa buio. Ma era sicuramente più legittimante cercare forme e forzature per andare verso i palazzi del potere e cercare di rimanere lì. In piazza era tangibile questo desiderio. Sia chiaro, per andare laggiù c’era da fare forzature e scontri perché la questura era stata irremovibile vietando quella zona. Quindi deve essere altrettanto chiaro a chi si straccia le vesti al primo scontro, che per come è oggi la situazione, senza forzature e rischi non vai da nessuna parte e l’unica alternativa è quella della passeggiata autunnale sotto il sole romano che pare parecchio inappropriata per la situazione che c’è in Italia. Passeggiata che naturalmente fa comodo a chi ha velleità elettorali o a chi vuole riniziare una stagione sull’onda dei social forum 2001.

Detto questo, non ci nascondiamo certo per dire che certe scene viste nel corteo non ci sono piaciute perché certi atti sono poco comprensibili dalla massa delle persone in corteo oltre che pericolosi (in primis il dare fuoco alle macchine mentre sta passando un corteo di centinaia di migliaia di persone). Fino a scadere nel qualunquismo che non è certo dote rivoluzionaria. Le banche buttate giù vengono comprese dai più, atti vandalici generici no. Era una manifestazione senza obiettivi precisi e ciò ha dato spazio a qualunque cosa.

Di questa manifestazione, tuttavia, non è tutto da buttare, anzi. I numeri sono giganteschi e l’età media dei partecipanti molto bassa. Due ingredienti che danno linfa, a partire dai territori, per lavorare affinchè ci sia una reazione politica quotidiana a una situazione di scippo permanente alla gente per foraggiare un sistema economico e finanziario che negli ultimi 20 anni nel mondo “occidentale” ha visto concentrare tutte le ricchezze in mano ad un numero sempre più esiguo di persone e ha visto peggiorare le condizioni concrete di vita delle fasce più povere e deboli della popolazione.

Riaprtire dai territori dunque. Perché è tangibile nell’aria che ci sia una necessità infinita di parlare di politica, di darsi modi e pratiche concrete per combattere concretamente questa crisi e lo scippo che ne consegue. E per fare ciò serve riprendere luoghi pubblici, dibattiti collettivi e confrontarsi. Sabato non è stato possibile, ma gestire una piazza di 300.000 persone non è certo facile. Specialmente in una situazione di tensione come si sta vivendo in Italia.

Basta con luoghi comuni o frasi prestampate ripetute da 10 anni

Sia piaciuta o no la giornata di sabato, non c’è cosa più degradante e politicamente diseducativa che ripetere le solite frasi fatte per descrivere una situazione o giustificare una cosa che non è andata come si vorrebbe. Facciamo un piccolo elenco.

“Solo in Italia ci sono state violenze, siamo proprio un paese impazzito”

Ma perché, la situazione che c’è in Italia dopo 17 anni o poco meno di berlusconismo è paragonabile agli altri paesi? Pensiamo che il popolo italiano abbia reagito fino ad oggi con dignità e decisione a questa banda al potere? E perché, nelle settimane e nei mesi passati, gli scontri di Atene, la violenza improvvisa scoppiata a Londra, le banlieue parigine, gli sgomberi e le cariche a Madrid e Barcellona non appena gli indignados hanno alzato un po’ il tiro, le centinaia di arresti a New York e altre città americane, non sono mai esistiti? In questi ultimi mesi eravamo noi gli addormentati.

“I soliti infiltrati Black Bloc pagati da qualcuno”

Cosa c’è di così strano nel fatto che in Italia ci sia qualche centinaia di persone che sanno fare determinate azioni in corteo e che si muovano con l’obiettivo di scontrarsi con la polizia? Ci sono sempre stati. Molti si chiedono perché la polizia non intervenga. Quando interviene lo fa a modo suo e iniziano scontri poi più grossi di quello per cui interviene. Che una questura in combutta con un governo possa strategicamente lasciare che qualcosa accada perché fa comodo, oppure che infiltri dei provocatori è sempre successo e risuccederà. Ma non è che a ogni vetrina rotta o ogni scontro si deve per forza inneggiare all’infiltrato. Anche perché alla lunga si diventa ridicoli. Che la gente impari a motivare perché non è d’accordo con certe pratiche e quali misure servirebbero per evitarle. Ma smettiamola con le dietrologie e i complottismi. Da quello che abbiamo potuto vedere noi, in piazza San Giovanni non c’erano i fantomatici black bloc ma migliaia di giovani che facevano gli scontri con la polizia. Ognuno dia il giudizio che ritiene su questo fatto, ma la realtà è questa.

“Pochi cattivi hanno impedito di manifestare a tanti buoni”

Posto il fatto che tanti gesti e tanti atteggiamenti dei “pochi” possano essere legittimamente bollati come idioti, la moltitudine dei buoni non s’è ancora rotta i coglioni di fare le passeggiate per Roma? Cosa propongono? Si ricordino che tutto ciò che potrebbe essere proposto in alternativa al pascolo di massa per le vie di Roma comporta forzature, rischi e sacrifici perché nessun apparato poliziesco te lo permetterà. La rivolta, il cambiamento, l’indignazione (sostantivo bruttissimo che implica un moto di pensiero ma non di azione concreta che porti un cambiamento), chiamatela come vi pare, non è un pranzo di gala. Servono soluzioni e pratiche più intelligenti? Troviamole. Ma basta con le sfilate. E le migliaia di ventenni che erano in piazza sono i primi a pensarlo.

Postilla finale: Draghi ha detto che i giovani hanno ragione e che le violenze sono state un peccato. E’ stato senz’altro il commento che più ha dato forza e legittimazione a chi è stato protagonista delle violenze e che ora potrà pensare: “Se Draghi pensa che sia sbagliato, allora è giusto”. Come dargli torto. Ricordiamoci che il facinoroso Draghi e le sue velleità di governo tecnico saranno quelle che ci devasteranno. Il governo tecnico è quella forma di governo che, non avendo da confrontarsi con l’elettorato nell’immediato futuro, ti apre il culo definitivamente. Auguri.

red. 16 ottobre 2011


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