Qualche considerazione personale su una “vittoria” #notav
Ieri c’è stata la grande manifestazione #notav di cui avrete credo sentito, se non l’avete vissuta in prima persona. Riporto qui qualche spunto a caldo e qualche pensiero scaturito durante il viaggio di ritorno insieme ad alcun* compagn* notav, su cui ho continuato a riflettere anche oggi. Sono inesperto della lotta #notav, che seguo purtroppo da molto poco. Di montagna so qualcosa ma non molto. Di politica e di lotte pochissimo. Prendete tutto cum grano salis e con molta clemenza.
– Tutto è andato (direi quasi incredibilmente) bene, in una giornata in cui molto poteva andar storto. Quindicimila persone (molti anziani e ragazzini, molti inesperti, sottoequipaggiati) si avventurano per sentieri scoscesi, guadano torrenti di montagna, costeggiano dirupi, saltano sulle rocce, e nessuno si fa male. Il nostro spezzone (composto da diverse migliaia – quello che ha preso il primo sentiero che aggirava il primo blocco) arrivato quasi a ridosso della destinazione (la baita notav) ha dovuto superare un passaggio che consisteva in un salto di un metro e mezzo tra le rocce, a ridosso di un torrente in piena: nessuno (!) si è fatto male. In molti punti, poi, uno scontro con le forze dell’ordine sarebbe stato un massacro per tutti (la distruzione reciproca di cui parla Marx!): il merito nell’evitarlo, checché ne dica Il Giornale, va tutto ai #notav; la Digos, le altre FdO, La Stampa e praticamente tutti gli altri grandi media hanno passato la settimana precedente e la giornata stessa a gufare, provocare, alzare la tensione, lanciare “ultimatum”, obbligare i manifestanti a prendersi dei seri rischi. La brama del sangue era palpabilissima: sangue uguale soldi a palate per i grandi media e criminalizzazione del movimento per la politica (come al solito, uniti dal peggio). Tant’è che appena è stato chiaro che il sangue non ci sarebbe stato quasi tutti i media hanno interrotto le loro dirette (poveri sciacalli). Io poi penso che se a una semplice “passeggiata” in montagna su sentieri, torrenti e boschi come questi, senza sbirri né lotte da fare, avessero partecipato le stesse persone di ieri, molti si sarebbero fatti male, anche seriamente. Penso che l’impegno, la soglia di attenzione richiesta dalla lotta e la volontà di *tutti* i partecipanti a che tutto andasse bene abbiano prevenuto seri danni. Lottare ci migliora.
– Che dire di questo? L’analisi psicologica sociologica politica del processo collettivo di queste decisioni la lascio a chi è più esperto di me. Quello che noto è che in quest’occasione, per questa modalità di lotta, per questa lotta pluridecennale, che ha strutture consolidate per quanto orizzontali, ha funzionato l’adesione a una linea unica per tutti, che è stata certamente a momenti troppo dura per qualcuno e a momenti troppo blanda per altri, ma che ha appunto *funzionato* bene per tutti. Vuol forse dire che si debba sempre far così? Che questa è l’unica strada? Processo decisionale orizzontale, e linea unica decisa dalla maggioranza? Io non lo credo. Credo anzi che se questo ha funzionato ieri, ciò è dovuto appunto al fatto che dietro c’è un modello ben diverso: un insieme di pratiche differenti, portate avanti da soggetti differenti, che non si è fatto polarizzare, in cui ogni soggetto agisce raccogliendo la solidarietà anche di chi agisce diversamente, e sempre rispettando l’interesse comune. Quando poi la partecipazione a un singolo evento è di massa, come ieri, è stato giusto, secondo me, decidersi per *una* modalità a cui tutti potessero aderire, massimizzando il risultato e annullando i rischi.
– La lotta No Tav quindi possiede la chiave per tutte le lotte? Questo non lo credo; in molti nell’entusiasmo di ieri lo hanno affermato, ma per me resta pericoloso e fuorviante pensarla così. “Negli anni, da una lotta contro qualcosa (la TAV) si è evoluto un movimento *pro* molte cose (beni comuni, solidarietà, ambiente)” fanno giustamente notare i Wu Ming. Gli stessi ieri mettevano altrettanto giustamente in guardia: “Forse è presto per “cantare vittoria” (vittoria tattica, of course)”. La lotta No Tav ha molte criticità da affrontare ancora; se poi anche “vincesse” definitivamente, resterebbe uno splendido esempio, da cui già si può imparare moltissimo, ma che sarebbe sbagliato voler applicare come “regola”. Non solo, io credo, perché ogni lotta presenta situazioni diverse che esigono soluzioni differenti. Anche ciò che c’è già di “generalizzabile” dalla lotta No Tav (partecipazione di massa, strutture orizzontali e molteplici, solidarietà tra pratiche differenti e rispetto reciproco, responsabilizzazione di tutti – tema dei beni comuni, partecipazione democratica di un’intera comunità, allargamento e apertura verso le altre lotte in Italia e all’estero) per quanto bellissimo, non può, temo, essere applicato ovunque.
– Soprattutto, non costituisce una possibile “linea politica del movimento”. Le criticità, a questo livello, restano moltissime, tanto che appunto un movimento vero e proprio, in Italia, di fatto non esiste. La lotta No Tav ha dimostrato che è possibile l’azione politica efficace al di fuori della cosiddetta democrazia delegativa; ha anche dimostrato, secondo me, che il capitalismo non è invincibile, anche quando ha sussunto in sé tutto il discorso politico ed economico. Ha dimostrato che c’è un’irriducibilità possibile, che i cittadini possono rispondere a situazioni tragiche e senza apparente via d’uscita costruendosi spazi e tempi più umani del sistema disumano che li opprime, e possono metterli in conflitto efficacemente contro questo sistema, rifiutando di scendere a quel livello di disumanità. Non sto parlando di (non)-violenza. Ci può essere una disumanità per nulla “violenta”, o perlomeno che non ci appare come tale: la disumanità di chi accetta tutto, di chi si lascia comprare dal sistema, per esempio, di chi accetta le sue false equivalenze come cemento=benessere, sviluppo mafioso e insostenibile=”progresso”, pace=indifferenza.
– La stessa irriducibilità può trovare forme più distruttive come può trovarne di ancora più efficaci, e non c’è una forma che vada bene per tutto. Quello che mi sembra in ogni caso necessario è una fatica collettiva, uno sforzo, per imparare a praticare il conflitto in maniera efficace, distruttiva per il sistema ma creativa per la società. Ancora: non sto parlando di (non)-violenza. La non-violenza è una modalità nobilissima, da non confondersi ovviamente con la rinuncia al conflitto, ma è solo un “contenitore” di pratiche (non sempre) possibili. Questo forse c’è di generalizzabile nella lotta No Tav: un certo grado di impegno collettivo e molto prolungato nel tempo.
– In generale, sono molto contento per com’è andata ieri, ma spero che non si traggano false lezioni, da analisi superficiali. Le “analisi” dei soliti sciacalli sono mistificazioni di infimo livello, ma non è semplicemente rovesciandole che si arriva a una qualche “verità”: molto di buono può essere imparato ma bisogna prima di tutto rifiutare il livello che viene proposto dal mainstream, prima ancora di rifiutare le balle che vengono raccontate.
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