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Agroindustria, politiche europee e greenwashing: quale futuro per l’agricoltura?

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Abbiamo intervistato Fabrizio Garbaino allevatore e contadino della Langa astigiana e presidente nazionale dell’Associazione Rurale Italiana – via Campesina Italia per discutere della nuova PAC (Politica Agricola Comune) di 387 miliardi di euro, che dietro proclami e slogan sulla difesa dell’ambiente, del lavoro e del territorio, promuove l’ennesima concentrazione di risorse nelle mani dell’agroindustria. Buona lettura!

La Politica Agricola Comune (PAC) da sessant’anni amministra e determina l’organizzazione dell’agricoltura nel territorio europeo. Come è nata e quali sono state le  sue principali mutazioni fino ad oggi?

– La PAC rappresenta il secondo budget dell’UE, attualmente 390 miliardi di euro in 7 anni per finanziare l’agricoltura e alimentazione in Europa. La PAC esiste da 60 anni, fu inaugurata nel 1956 con il Trattato di Roma e da allora ha visto molte fasi, modificata secondo ideologie diverse. Il contesto storico era quello del post-2a Guerra Mondiale. La PAC è nata con l’obiettivo di sfamare la popolazione europea e di permettere ai contadini di rimanere nelle campagne. Tuttavia, negli ultimi anni, la PAC è finalizzata al finanziamento dell’agroindustria e a sostenere il commercio internazionale mirato all’export.

– La PAC è di fatto l’unica politica comune europea: su altre questioni, gli Stati Membri hanno molta più autonomia e giocano la loro partita.

– La PAC si compone di due “pilastri”: il primo riguarda gli aiuti finanziari diretti, mentre il secondo supporta il ruolo delle aziende nello sviluppo rurale e nella gestione del territorio.

– Oggi c’è bisogno che i cittadini si riappropriano del tema “PAC”. Da una parte, vista la sua complessità, la PAC non è stata facilmente digerita dal dibattito pubblico; dall’altra la società civile è stata intenzionalmente tenuta al di fuori per volontà politiche. E’ tuttavia bene capire il ruolo della PAC quando vogliamo decidere su questioni fondamentali, per esempio: cosa mangiamo, chi vogliamo che produca il nostro cibo e come, quanti pesticidi vogliamo utilizzare, come vogliamo che venga gestito il territorio soprattutto nelle zone rurali, come vogliamo rapportarci con i Paesi a Sud del mondo, quale rapporto tra agricoltura e nuove tecnologie.

Come viene costruita e modificata la PAC? Quali sono le principali forze politiche ed economiche in campo?

– Il processo burocratico e la governance dietro l’approvazione formale della PAC sono complessi: la PAC viene rivista ogni 7 anni, ma come nel caso attuale possono esserci ritardi. La PAC viene inizialmente proposta dalla Commissione Europea per poi passare al Parlamento Europeo e al trilogo finale con il Consiglio d’Europa (cioè l’insieme dei ministri all’agricoltura dei Paesi Membri). Attualmente il trilogo è in corso.

– Potere di “Copa Cogeca” all’interno del Parlamento Europeo: lobby dell’agroindustria potentissima di cui fanno parte gran parte delle organizzazioni agricole europee maggioritarie. Copa Cogeca è riuscito a fare pressione all’interno di quasi tutti i partiti.

Una volta pianificata come viene governata l’agricoltura nei paesi europei? Nello specifico l’Italia come recepisce queste politiche e quali sono gli organi che ne governano la vita?

– Una volta concluso il trilogo, la responsabilità passa ai governi nazionali che devono definire i propri Piani Strategici Nazionali in linea con la PAC europea. Nel caso dell’Italia c’è un passaggio ulteriore alle Regioni, ciascuna delle quali è responsabile di sviluppare il proprio Piano Strategico Regionale (soprattutto per quanto riguarda le questione del Pilastro 2).Le regioni hanno sovranità assoluta sulla politica agricola– In Italia, in queste settimane i contenuti del Piano Strategico stanno venendo discussi a livello nazionale tra il Ministero, le maggiori organizzazioni di categoria e le amministrazioni locali, anche se in modo poco trasparente e inclusivo.

– L’Italia nel 2018 è stata beneficiaria del 9,5% di tutti gli aiuti PAC a livello europeo, dei quali oltre 3,6 miliardi di euro in aiuti diretti.

Quali sono le novità e mancanze dell’ultima proposta per la PAC? Chi ne esce vincitore e quali sono gli sconfitti?

– Il Parlamento Europeo, sotto pressione della lobby di Copa Cogeca, ha deciso ancora una volta di ignorare i piccoli e medi contadini europei (circa 10 milioni, 2/3 di essi possiedono meno di 5 ettari di terra) per finanziare pesantemente l’agroindustria.

– La nuova narrativa è rischiosa: mischia concetti come agricoltura sostenibile, “smart”, di precisione, tecnologica, innovativa e concetti di sovranità alimentare e agroecologia. Si tratta di “greenwashing”. Si parla molto di ridurre gli allevamenti industriali ma di fatto i finanziamenti non vengono diminuiti.

– Ma la situazione è paradossale: il Parlamento Europeo si è opposto alla strategia che avrebbe dovuto affiancare la nuova PAC, ovvero la strategia “dal Campo alla Tavola” (“Farm to Fork”) che dal punto di vista soprattutto ambientale era ambiziosa.

– Si continua a supportare il modello di gestione territoriale basato sul latifondo (con tutte le gerarchie e i rapporti di forza che esso prevede), anche se questo da un punto di vista agrario non ha alcun senso ed è controproducente. Questo perché appunto l’obiettivo non è sostenere i contadini e sfamare i cittadini ma fare profitto a vantaggio dei colossi dell’agroindustria. Anche se l’Italia è ancora un Paese di piccoli contadini, le politiche sono fatte secondo un modello completamente diverso.

– Attualmente la maggior parte dei piccoli e medi contadini italiani riceve soldi dalla UE per produrre a basso costo per la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e l’agroindustria. Questo riduce l’agricoltura ad un puro passaggio di soldi in cui poco o niente resta ai produttori.

– In Italia abbiamo multinazionali dell’agroindustria che sono tra le più importanti al mondo.

Con un emendamento è stata introdotta la “Condizionalità sociale”, una clausola per cui “i beneficiari che ricevono pagamenti diretti sono soggetti a una sanzione amministrativa se non rispettano le condizioni di lavoro e di impiego applicabili e/o gli obblighi del datore di lavoro derivanti dai contratti collettivi pertinenti e dal diritto sociale e del lavoro a livello nazionale, dell’Unione e internazionale”. Cosa significa nella realtà questa aggiunta in un settore dove lo sfruttamento del lavoro non accenna a diminuire, ma al contrario si fa forte della grande quantità di manodopera a basso costo disponibile in quantità e facilmente ricattabile?

– Cosa significa nella realtà dipenderà soprattutto da come ora il principio della condizionalità sociale verrà inserito nel contesto italiano. La prima cosa da fare è assicurarsi che, come previsto dalla normativa, il Governo italiano inserisca questo principio all’interno del Piano Strategico Nazionale della nuova PAC, implementando efficacemente un apparato di controllo e sanzionatorio appropriato nel più breve tempo possibile.

– Il problema dello sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli è altamente presente in Italia. La produzione agricola italiana dipende dai lavoratori stranieristagionali, arrivati a rappresentare circa un terzo di quelli regolarmente assunti. I gruppi più rappresentati sono i rumeni, seguiti da indiani, marocchini e albanesi. Nel 2020 l’Italia ha autorizzato l’ingresso di una quota di 20.000 lavoratrici e lavoratori stagionali extracomunitari, di cui 6.000 per l’agricoltura, ai quali vanno aggiunte le persone provenienti da Paesi dell’Unione Europea. Il 50% di essi vengono formalmente assunti in Puglia, Sicilia e Calabria.

– Il principio della condizionalità sociale mira a contenere una situazione di sfruttamento e violazione dei diritti umani da tempo disastrosa. La crisi portata da Covid-19 ha esasperato questa situazione: invece di regolarizzare e tutelare chi assicura l’approvvigionamento alimentare anche durante la pandemia, il governo ha violato ulteriormente i loro diritti. Il lavoro nero è aumentato e la mancanza del rispetto delle misure igienico-sanitarie ha favorito i contagi negli spazi di lavoro e in quelli abitativi.

Lavoratrici e lavoratori agricoli sono rimasti in condizioni di povertà e illegalità, con un carico di lavoro maggiore (perchè molta forza lavoro non è riuscita a raggiungere l’Italia), in ghetti sovraffollati e privi di qualunque servizio di base.

– Come parte del decreto “Rilancio”, l’Italia ha adottato una sanatoria per i lavoratori stranieri nel settore agricolo e domestico. Questa è stata un totale fallimento e non ha minimamente migliorato la situazione per lavoratrici e lavoratori agricoli.

Alle porte di questa nuova accelerazione verso l’agricoltura industriale ad alto sfruttamento, qual è la fotografia del comparto agricolo italiano?

– L’agricoltura italiana è un’agricoltura contadina: su 1,5 milioni di aziende agricole, 2/3 sono ancora a gestione famigliare e contano meno di 10 ettari.

– Anche se esse sono distribuite su tutto il territorio, le situazioni sono diverse da zona a zona. Sicuramente abbiamo principalmente un’agricoltura “di pianura” (vedi Pianura Padana, Agro-pontino, Tavoliera della Puglie) dove molte aziende agricole sono più grandi e quindi ricorrono al lavoro “esterno”.

– E’ un agricoltura con un valore aggiunto molto importante. Sono presenti una grandissima quantità di prodotti di denominazione di origine.

– Dati in crescita sul biologico, anche se si tratta sempre più di biologico industriale prodotto in grandi aziende che hanno colonizzato un settore nato ed affermatosi grazie alla visione lungimirante dei piccoli produttori

 

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pubblicato il in Crisi Climaticadi redazioneTag correlati:

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