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Dati sanitari alle multinazionali, si comincia tra una settimana

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Già qualche mese fa l’accordo aveva fatto polemica. In cambio della scelta di IBM di aprire un lucroso centro di ricerca (mica un lazzaretto!) a Milano, il governo Renzi aveva promesso alla multinazionale americana 60 milioni di euro di finanziamenti e anche un regalino in più, un pacco di big data senza precedenti: l’autorizzazione all’uso dei dati sanitari di decine di milioni di pazienti degli ospedali italiani.

I dati sanitari (studi clinici attivi, prescrizioni ambulatoriali, trattamenti farmacologici con relativi costi, schede di dimissioni ospedaliere (sdo), etc.) saranno inseriti nel Watson Health Cloud, un’intelligenza artificiale lanciata da IBM nell’aprile di due anni fa per la ricerca medica industriale, la profilazione delle assicurazioni sanitarie e l’invenzione di nuovi farmaci. 

Un accordo che s’inseriva nel tentativo di fare della capitale meneghina un centro di ricerca sanitaria a cui si doveva aggiungere l’arrivo della sede dell’agenzia europea del farmaco (poi assegnata ad Amsterdam). A quel tempo persino il sonnecchiante garante della privacy aveva battuto un colpo, dicendosi preoccupato dell’affido a privati dei preziosissimi dati dei pazienti italiani, ricordando che “i trattamenti di dati sanitari per fini di ricerca medica, biomedica ed epidemiologica possono prescindere dal consenso dell’interessato solo quando la ricerca sia prevista da un’espressa disposizione di legge”. Detto fatto, la settimana scorsa viene pubblicata la Legge europea 2017, con la quale l’Italia traduce nel nostre ordinamento le regole europee. Pubblicato il 27 novembre scorso, il provvedimento entrerà in vigore martedì prossimo, il 12 dicembre. Nel testo due articoli che autorizzano direttamente la cessione dei dati, purché ci sia una non meglio precisata “anonimizzazione” degli stessi. Una tutela ridicola, che mette in luce la totale inadeguatezza di un approccio legislativo in termini di riservatezza alla questione, il solo che interessa il “garante della privacy”.

Nell’economia dei dati ovviamente il nominativo o la singola identità sono del tutto ininfluenti, è il loro carattere cumulativo e multiscalare, la possibilità di combinare le variabili per analisi di mercato e per anticipazioni delle tendenze che costituiscono le basi dei profitti e di un potere propriamente biopolitico pronto ormai a mettere a valore senza mediazioni i corpi sani come i corpi malati. Un tema che dovrebbe far riflettere sul fatto che le nuove possibilità di ricerca, in particolare quelle aperte dell’accumulazione dei dati, dovrebbero essere usati per il bene di tutti e non per gli interessi di pochi. Da chi, come i nostri governi, ha fatto del corteggiamento delle multinazionali un valore in nome della crescita della loro economia c’è tutto il male possibile da aspettarsi.

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