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Gianroberto Casaleggio tra mito e realtà

La prematura scomparsa di Gianroberto Casaleggio fornisce una serie di occasioni di analisi sul M5S alla vigilia delle elezioni romane.

Casaleggio è stato uno dei due fondatori, assieme a Beppe Grillo, del movimento ma anche, tra i due, quello che è riuscito a collocare il messaggio di Grillo all’interno delle dinamiche della comunicazione così come sono emerse dalla seconda metà del decennio scorso.

Le parole d’ordine di Casaleggio, espresse nel suo lavoro politico (perché di tale si è trattato) sono state due: tecnologia ed organizzazione. Entrambe passavano dall’uso positivo delle tecnologie della comunicazione, dai desktop a tutta l’evoluzione del mondo mobile. E’ questa mentalità che ha permesso ad un comico, che negli anni ‘80 faceva spettacoli tv per 20 milioni di persone, ma che negli anni ‘90 era un semiclandestino che vendeva i suoi show in cassette VHS, di far schizzare i propri contenuti direttamente a contatto con la politica e la dimensione elettorale. Lo stesso Grillo, in diverse occasioni ha scherzato ricordando il periodo tecnofobo (malattia invece mai scomparsa a sinistra) quando distruggeva i pc con il martello. Ancora oggi, per quanto le primarie online del movimento 5 stelle siano molto poco frequentate, l’ideologia ufficiale del M5S è quella del primato politico, in quanto opinione pubblica, rete di pc o di smartphone. Visto che, come documentato, ci sono state espulsioni a causa della formazione di catene Whatsapp “non riconosciute” di esponenti M5S, c’è da dire che il passo dalla distruzione dei Pc, alla definizione di ciò che è lecito nell’evoluzione della rete, è enorme. Forse troppo grande, visto che la discussione vera, nel movimento 5 stelle, si effettua più in reti dedicate che in quelle pubbliche.

Casaleggio ha inferto diverse sconfitte alla sinistra e, allo stesso tempo, ha subito diverse sconfitte dalla realtà. Prima di tutto ha capito benissimo che l’organizzazione dell’impresa 2.0 (un nucleo neotribalizzato di decisori fortemente professionale, più una cerchia di precari, più una di lavoro gratuito che cerca esperienza), così come usciva dai primi anni del secolo e si addentrava negli anni Lehman Brothers, si adattava comodamente alla politica. La seconda è che ogni evoluzione tecnologica, e il web 2.0 lo era, porta con se un messaggio messianico che può essere adattato alla politica. Infatti Casaleggio ha cominciato con qualche messaggio sull’evoluzione della rete in spirito piuttosto comico ma utile come prova d’orchestra. Quando comunicare politicamente in rete ha trovato un elemento unificante (la lotta contro la casta, l’eguaglianza formale dei partecipanti a questa lotta “uno vale uno”), la popolarità del messaggio web è andata molto oltre il web. La terza è stata quella di saper reiterare lo stesso messaggio da molti punti della rete dando al pubblico l’impressione positiva di un governo spontaneo del messaggio e non quella di una rigida regia (influencer e qualche ditta di produzione di clip, in questo senso, hanno lavorato benissimo). Infine, il modello di costruzione del consenso elettorale. Casaleggio ha lavorato attorno ad un modello consolidato, è negli studi di comunicazione politica dagli anni ’90: il catch-all-party, il cartello elettorale che aggiunge il malcontento di destra a quello di sinistra ottenendo un risultato maggiore della somma delle parti. Miracolo, in questo caso, ottenuto grazie a qualcosa di nuovo: l’irrruzione da protagonista del web 2.0 nella politica. Modello, in qualche modo, ripreso da Matteo Renzi con forme però di comunicazione, dall’alto verso l’altro, che mobilitano più l’elettorato che sta fuori dalla rete che in rete. Diciamo che, in Renzi, il 2.0 serve più ai giornalisti che all’elettorato mentre, in Casaleggio, si parla qui di qualcosa di differente. Insomma, dopo Berlusconi, e Bossi, un’altra severa lezione di politica impartita alle sinistre di ogni tipo (ancora oggi ferme a parlare di alienazione, spersonalizzazione della comunicazione via web, come se la critica fosse un sostituto utile della comprensione del funzionamento reale di un modello di comunicazione politica efficace). Casaleggio ha quindi saccheggiato nell’immaginario di sinistra -da quello del reddito di cittadinanza, a quello ecologista fino a quello social-liberista dell’impresa che innova, amato, da tante sinistre, ma in silenzio- per un modello catch-all-party che dalla destra ha importato il cospirazionismo, riflesso all’ordine e la passione per le sentenze di tribunale (amate ormai anche a sinistra ma la cui origine di destra è inequivocabile). Come tutti coloro che perdono senza sapere perchè, ciò che è rimasto a sinistra ha cominciato ad odiare Casaleggio senza riserve. Fino ad attribuirgli doti di influenza e di cospirazione in ogni angolo di Italia magari, invece, trascurando proprio i luoghi più imporanti dove il lavoro del cofondatore del movimento 5 stelle era maggiormente da monitorare: articoli sul M5S del Financial Times, del Guardian, dell’Economist, una intervista di Grillo alla tv tedesca, l’intervista della Raggi all’intera stampa estera.

Sono però altrettanto importanti le lezioni inferte a Casaleggio dalla realtà. Già, perchè la Casaleggio e associati in politica ha mostrato i difetti di crescita tipici del modello di impresa da cui proviene che, tra la lettura di un libro di Gengis Kahn e l’altro da parte del cofondatore del M5S, sono usciti tutti nel momento della sua implementazione nel politico. In poco tempo, rispetto al nucleo forte tribalizzato e fidelizzato della Casaleggio e associati, sono cresciute esponenzialmente, e in termini di partecipazione al budget, le cerchie della collaborazione precaria e occasionale (dagli amministratori agli eletti) e quelle delle collaborazioni gratuite (in termini puramente miltanti). Era evidente che queste cerchie volessero contare. Come evidente che si sarebbero scontrate con chi vuol mantenere il timone del comando. Tra una scomunica ed un’espulsione ne è uscito un movimento timoroso del capo, per nulla autonomo e, dopo un po’, per nulla originale. Cosa che in Italia significa ripetere il mantra dell’onestà e della legalità. Ma anche perdere il senso della complessità sociale. Perchè con l’immagine della legalità si prendono i voti e nulla più. Per non dire dell’assenza di intellettuali nel movimento 5 stelle, salvo il povero Becchi un giorno trattato come Kelsen, e l’altro, come peto nello spazio, che ha privato il M5S di quei brainstorming di sapere essenziali nel mondo contemporaneo. E che dire dell’Europa e del governo del territorio? Un eventuale governo del movimento 5 stelle richiederebbe sforzi simili, magari con successi maggiori, di quello Tsipras. Il governo dei territori richiede conferenze di indirizzo visibili a tutti, non chat sui social media. In tutto questo i limiti di Casaleggio, dell’impostazione da startup che non riesce ad evolvere, si sono visti tutti.

Paradossalmente Casaleggio lascia davvero tanti orfani a sinistra. Come elemento luciferino che legittimava una visione oscura del movimento a 5 stelle, mai letto come è, pregi e difetti alla mano: come un cartello elettorale che ha cercato di esprimere un’alternativa alle due aree elettorali. Aree elettorali che, dalla fine della prima repubblica, hanno fatto gli interessi dell’un per cento dell’elettorato, interessi garantiti da centrosinistra e centrodestra. La vicenda del movimento 5 stelle, luci ed ombre, andrebbe analizzata con uno sguardo molto meno grossolano di quelli fino ad oggi adottati a sinistra. Vedremo se le evoluzioni del M5S, che siano quelle di una soluzione “dinastica” nella Casaleggio associati o quella di una ristrutturazione dell’organizzazione politica ne forniranno l’occasione.

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