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Profumo di privati

Rettore dall’ottobre del 2005 fino alla recente nomina a ministro, in questi anni di governo Profumo ha trasformato il Politecnico in un’università-azienda, anticipando in gran parte gli effetti della tanto contestata (non da lui) riforma Gelmini, favorendo l’ingresso dei privati nel CdA e rincorrendo collaborazioni ed accordi con aziende di mezzo mondo: dalla FIAT a GM, da Eni a Google, da Motorola a Pirelli. La scelta di indirizzare in questo senso le politiche di ateneo è sempre stata motivata dalla garanzia di reperire nuove risorse per il Politecnico e dalla maggior facilità di inserimento degli studenti nel mondo del lavoro. In realtà conosciamo bene le storie di molti studenti appena laureati al Politecnico ed inseriti in queste grandi aziende, storie basate sulla solita dinamica di sfruttamento e precarietà senza alcun tipo di garanzie per il futuro. D’altra parte l’ingerenza dei privati nella gestione dell’ateneo non ha fatto altro che rendere tanto la ricerca quanto la didattica, degli strumenti utili all’acquisire conoscenze dirette ad incrementare il profitto privato, perdendo completamente di vista quello che, secondo noi, dovrebbe essere il ruolo di un’università: garantire una conoscenza libera finalizzata alla formazione individuale degli studenti ed una ricerca al servizio della società.

L’ateneo del neo-ministro è stato, insomma, il laboratorio d’avanguardia per l’attuazione della legge Gelmini, il modello a cui la riforma si è ispirata. A chi ha giovato tutto questo? Potremmo chiederlo al Dott. Marco Tomasi che, uomo di fiducia di Profumo e direttore tecnico dell’ateneo, è stato velocemente promosso a direttore generale del MIUR, o a Profumo stesso che ha recentemente ricevuto l’incarico di direttore del CNR. Di certo il ministro Gelmini che ha voluto premiare le loro “grandi capacità” del tutto affini al suo modello universitario. Già nel 2007, sotto la loro guida, l’Ateneo si impegnava ad investire nella ricerca applicata, attirando finanziamenti privati che attualmente superano per entità quelli pubblici, aprendo il CdA a membri esterni, chiudendo sedi decentrate, sopprimendo interi corsi di laurea ed imponendo una gestione aziendalistica che rappresenta il vero succo della Legge Gelmini. Questo processo è stato portato avanti ignorando la fortissima contestazione da parte di studenti, ricercatori e personale tecnico-amministrativo che si è ulteriormente inasprita l’anno scorso durante la mobilitazione nazionale contro la legge Gelmini. Proprio in questa occasione si è palesata tutta l’ipocrisia di un Profumo che, in difficoltà per l’inaspettata reazione soprattutto da parte della componente studentesca, non ha mai preso posizione in maniera chiara sulla riforma, sostenendola però nei fatti, negandosi al confronto con le altre componenti dell’ateneo, ostacolando noi studenti nel fare informazione in un momento così critico per l’università pubblica ed infine implementando la legge a tempo di record attraverso una commissione statuto costituita ad hoc, eliminando rappresentanti “scomodi”, benché democraticamente eletti, mantenendo i lavori nella più completa segretezza e approvando il nuovo statuto che non sarebbe mai passato se non grazie ad un infame pesatura dei voti (servivano 7 tecnici per pareggiare un ordinario).

L’idea di università di Profumo ha sempre ricalcato quella di Confindustria e delle grandi multinazionali e, del resto, lo stesso ex-rettore durante il suo mandato sedeva contemporaneamente nei CdA di Unicredit, Fidia, Telecom, Sole24Ore, Pirelli. Al discorso di apertura all’Aspen Institute (un istituto fondato da Rockefeller che si pone come obiettivo “l’internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del Paese”, utilizzando un “metodo Aspen [che] privilegia il confronto ed il dibattito a porte chiuse e favorisce le relazioni interpersonali”) Profumo ha illustrato il suo modello di università: una rete di poche “university-research”, che offrono una formazione di eccellenza a costi impossibili per molti giovani, e una miriade di piccoli centri universitari, declassati ad istituti superiori, per la formazione di massa. Chi meglio di Profumo potrebbe essere ministro in questo governo tenico? Di certo un uomo di scienza che eviterà gaffe su neutrini che attraversano fantomatici tunnel, ma che sarà efficientemente in grado di attuare il modello gelmini-confindustria in tutti gli atenei italiani.

Ecco perché la sua nomina ci preoccupa molto per il futuro dell’università pubblica: perché il modello-Profumo mira a separare una formazione d’élite da una di massa, concentrando le scarse risorse su pochi centri di eccellenza, scelti secondo criteri di merito non ben definiti, rendendo sempre più pesanti i finanziamenti, e quindi le ingerenze, dei privati, aumentando le tasse universitarie (il Poli è uno degli atenei che illecitamente eccede il limite del 20% del FFO), trasformando le università pubbliche in “fabbriche della conoscenza” alla mercé della grande imprenditoria.

Nell’ultimo anno lo abbiamo ascoltato più volte affermare che “la crisi è una grande opportunità perché ci obbliga a cercare nuove soluzioni per il progresso”: già, ma il progresso di chi? Di Unicredit, Telecom, Fiat; di chi durante il G8 university summit del 2009, mentre noi studenti venivamo manganellati per il solo motivo di avere un’idea diversa di università, era blindato assieme a lui a progettare questo meraviglioso (per loro) e distruttivo (per noi) futuro che ora diventerà un presente sempre più concreto.

Profumo prima di dimettersi come rettore ha inviato a tutti gli studenti una lettera di saluto e ringranziamento che a nostro avviso non può che far incazzare tutti gli studenti che, durante le mobilitazioni dello scorso anno, hanno provato inutilmente ad avere un dialogo con lui. Ci ha scritto di avere la “consapevolezza che gli studenti debbano essere ascoltati per poter cogliere le loro aspirazione e difficoltà. Nel tempo trascorso alla guida dell’Ateneo spero di aver avuto questa capacita’ di confronto e di ascolto”, ma nei fatti è sempre andato nella direzione contraria, ignorando tutto quello che avevamo da dire e soprattutto senza aver mai considerato lo studente un individuo con il diritto (forse più di altri) di prendere parte ai processi decisionali dell’ateneo. Profumo continua ancora “[spero di essere riuscito a] rendere il campus un luogo stimolante e piacevole in cui si formano giovani preparati e pronti per accedere al mondo del lavoro ma soprattutto cittadini del mondo.”  In realtà il suo Politecnico, come tutte le aziende, alimenta una competizione sfrenata tra gli studenti che spesso imparano tra i banchi di questo ateneo a scavalcare ed ostacolare i proprio compagni per riuscire ad emergere: un modello che di certo non forma cittadini del mondo. Al contrario è durante i mesi di mobilitazione che abbiamo imparato tra di noi l’importanza della collaborazione, l’importanza del rendere il nostro ateneo un reale luogo di scambio di idee, un luogo dove la nostra conoscenza si è arricchita, discutendo non più soltanto dei nostri argomenti di studio ma della società intera. Solo così possiamo crescere come cittadini ed essere ingegneri e architetti migliori.

Col.Po – Collettivo Politecnico – Torino – www.colpo.org

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