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Media e Legittimazione Politica in Cina

A quelli in mandarino infatti si affiancano numerosi altri canali, in inglese, francese, spagnolo, destinati ad accrescere il soft power della Cina nella maggior parte del mondo. Interessante notare l’esistenza di un canale dedicato interamente all’Africa, CCTV News Africa. Il continente nero è infatti sempre più strategico per il Dragone, poiché sia a livello dei flussi delle materie prime, che delle evoluzioni politiche la relazioni con l’Africa sembrano essere destinate ad avere un ruolo geopolitico globale a cui si avvicina solamente, nel futuro prossimo, quanto attiene all’esplorazione dell’Artico. Anche il principale giornale in lingua inglese del paese, il China Daily, ha edizioni negli USA, in Europa, e ovviamente in Africa.

Ma la produzione di significato e di legittimazione politica è un processo continuo presente in tanti altri ambiti, non soltanto in quello televisivo. Uno di questi è la gestione dello spazio urbano. Piazza TianAnMen è celeberrimo luogo di tanti cruciali avvenimenti della storia politica cinese recente: dal Movimento del 4 maggio ’19, alle adunate delle guardie rosse nel periodo maoista, per finire con i fatti dell’89.

Oggi, vicino al Monumento agli Eroi del Popolo, è presente una coppia di maxischermi intenti a riprodurre le imprese dei lavoratori del Dragone e le conquiste politiche dei suoi governanti, parlando più ai turisti che affollano la piazza che ai locali già abituati alla martellante propaganda del partito.

I due maxischermi mirano a riprodurre continuamente la voce e la forza del potere, in piena continuità con quello che è stata la gestione urbanistica della piazza dall’inizio dell’era maoista. Il Grande Timoniere infatti, una volta annunciata la Rivoluzione dalla Porta della Pace Celeste, la ampliò enormemente rendendola un monumento all’onnipotenza del Partito. Oggi come oggi milioni di cinesi e di visitatori occidentali trovano qui la raffigurazione della potenza passata e attuale della futura più grande economia del mondo.

Una celebrazione di potenza che però rifugge le narrazioni ansiogene dei media occidentali, che dipingono la Cina come luogo di un opprimente, morboso, insindacabile controllo su ogni azione umana. Dimensioni come l’utilizzo a fini interni della situazione in Xinjiang sono certo davvero fastidiose; ma la produzione istituzionale di nemicità non è molto differente da quella attuata anche nelle nostre amate democrazie occidentali contro i nemici interni ed esterni che si oppongono al dominio incontrastato dell’accumulazione e dell’espropriazione economica e culturale neoliberista.

La sensazione complessiva, per lo meno nelle grandi città, è quella di un forte dinamismo a tutti i livelli, basato sull’unico dio costantemente idolatrato nella Cina contemporanea. Un dio ben diverso da quelli adorati da confucianesimo, buddismo e taoismo, le tre religioni che la fanno da padrone da queste parti. Il dio denaro è infatti ricercato ed esposto il più possibile da orde di giovani a cavallo tra l’hipster e lo yuppie che affollano i distretti più in, senza curarsi troppo della formalità di quale regime politico possa essere migliore o peggiore per le loro vite.

Scordatevi le narrazioni à la Sofia Coppola di Lost in Translation: la realtà nelle nuove metropoli globali cinesi è quella di un mix di etnie e culture che si sublima nel culto dell’arricchimento. Non a caso la lingua inglese, praticata ancora a fatica in ampie zone del paese, diventa invece ben manipolata in ognuno degli enormi centri commerciali che affollano le principali arterie di Pechino e Shanghai.

Il neoliberismo ha creato i suoi effetti anche qui, attraverso i canali della globalizzazione capitalistica: la polarizzazione sociale avanza sempre più, e come dalle nostre parti, c’è chi ha tante frecce al proprio arco riguardo alla propria libertà di vita, e c’è chi invece, oltre a non avere frecce, rischia di perdere anche l’arco. Con buona pace della democrazia rappresentantiva, del socialismo di stato, del totalitarismo..it’s all about the money, baby..

Tanto tempo è passato dalla forte mobilitazione studentesca e non solo dell’89, repressa a TienAnMen. Il paese, a dispetto del terrorismo mediatico delle nostre parti su questi temi, è molto più a conoscenza dei fatti di quei tempi rispetto agli allarmi dei professionisti dei diritti umani in casa d’altri.

Molti giovani accedono alle informazioni tramite le stesse VPN che, installate sui pc e sugli smartphone, permettono ai netizens occidentali di non sentire lo scarto con le proprie zone di provenienza. Social networks come Weibo e WeChat, sebbene strettamente monitorati dal partito che a volte si lancia in chiusure di massa di account “ostili”, riescono sempre di più ad essere luogo per esporre critiche al governo e alle sue politiche.

Ma le prospettive di arricchimento per la maggioranza di chi abita le nuove metropoli simbolo della potenza cinese forniscono una forte legittimazione al governo e al PCC, con buona pace dei cantori delle virtù dei sistemi occidentali che invece vivono sempre di più una crisi di legittimità dei loro rappresentanti istituzionali.

I problemi per la stabilità del sistema politico sembrano essere più forti piuttosto nelle centinaia di micro-conflitti che avvengono in campo lavorativo e contro le devastazioni ambientali. Conflitti principalmente localizzati nelle aree periferiche del paese, che stanno portando piano piano il governo a dover concedere qualcosa, a cercare di incanalare piuttosto che a reprimere con violenti esercizi di forza.

E’ questa la lezione imparata anche dal PCC nel mondo post-rivoluzioni tunisina ed egiziana, che ha visto qui vicino anche importanti recenti mobilitazioni a Taiwan: cercare di sussumere, grazie alle enormi possibilità redistributive ancora presenti, piuttosto che attaccare frontalmente rischiando smottamenti difficili da gestire.

Tanto tempo è passato anche dai fatti del 4 maggio 1919: in quel giorno di più di 90 anni fa un nuovo tipo di nazionalismo politico si manifestava, orientato al conflitto contro un governo ritenuto completamente prono alle potenze estere come il Giappone in rapida ascesa di quei tempi, e uscito travolto dal Trattato di Versailles post-Prima Guerra Mondiale.

Quel giorno, che per studiosi il sinologo come Jean-Philippe Bejà vide emergere il ruolo degli intellettuali e degli ideali di progresso scientifico e di democrazia sociale nella Cina appena diventata repubblicana, è oggi annuale occasione per il PCC di rinsaldare il suo potere.

Basti pensare all’intervento di Xi Jinping lo scorso 4 maggio all’Università di Pechino, che si è soffermato sulla necessità di aumentare la coesione studentesca nel nome degli ideali socialisti, nonchè nel mantenere quel patto che Liu Xiaobo, dissidente condannato ad 11 anni di prigione dal governo, chiama la “filosofia del maiale”. Se l’intellettuale non contesta apertamente il partito, il perseguimento di una carriera accademica, anche di prima fascia a livello globale, è ampiamente possibile.

Un neo-nazionalismo mirato al battere le forze che si oppongono al “Chinese Dream” di Xi. Un sogno scolpito ormai anche nella storia dell’ideologia del PCC, dato che è in arrivo addirittura un nuovo “libretto rosso” con le principali citazioni del neo-presidente. Un altro modo, dopo la campagna anti-corruzione che ricalca nel linguaggio e nelle modalità di applicazione il “Bombardare il quartier generale” maoista, di detournare a fini di legittimazione politica, l’ancora fortissima eredità del Grande Timoniere ai tempi della Cina neoliberale.

Vecchi nazionalismi sussunti nei nuovi, vecchi sogni di emancipazione dalle potenze neocoloniali dissoltisi nell’ultraliberismo e nell’adorazione del dio denaro, riutilizzo dell’ideologia politica di un tempo per la legittimazione politica di oggi. Questa la traiettoria ideologica di una Cina che sembra ancora troppo colpita dagli stravolgimenti degli ultimi 30 anni per risolvere tutte le contraddizioni che il suo sviluppo roboante gli pone giornalmente di fronte.

Chongtu

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