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La Camorra è una questione di classe, Gomorra soltanto una (buona) crime story.

Non si può non essere d’accordo con Saviano, e non capita spesso, quando, rispondendo alle critiche di chi lo accusa di promuovere un’immagine negativa di Napoli, dice che la bellezza di questa città sta proprio nella sua complessità. E che non possiamo quindi raccontarne soltanto il mare, il sole e la pizza più buona d’Italia. Lui ha scelto quindi di raccontare una parzialità. Una parzialità negativa, oscura. Ma non possiamo non notare, già dalle prime puntate, che quella raccontata è soltanto la superfice di questa parzialità, o meglio il suo lato più “spettacolare” e quindi più fruibile per il tritacarne televisivo.

Dicevemo che questa parzialità Saviano la rivendica. E infatti, sempre nel suo articolo, lo scrittore sostiene: “non volevamo raccontare la camorra al mondo, ma al contrario raccontare il mondo attraverso la camorra.” Una affermazione che prova a giustificare il perchè dell’assenza di chi, su quei territori,  si batte contro questo fenomeno. E nessuno dice che non sia legittimo. Eppure resta un grande rimosso.

Quello che l’autore di Gomorra prova a spiegare è che il suo vuole essere un racconto dall’interno. Un racconto che prova a far emergere il punto di vista della camorra, le sue regole (o meglio, non regole), la sua condotta, attraverso la camorra stessa, provando a metterla a nudo. E qui veniamo al grande rimosso. La camorra, e i camorristi, sono protagonisti di una serie di legami con la politica, i servizi segreti  e l’imprenditoria di questo paese e sanno che quella è la conditio sine qua non della loro esistenza. E qui ritorniamo alla domanda posta inizialmente. L’impossibilità di sconfiggere la camorra sta proprio in questi legami.  Legami di cui non troviamo traccia all’interno della serie, nemmeno dal punto di vista della camorra stessa, che è quello che il suo ideatore dice di voler raccontare.

Ed è qui, quindi, che crollano le giustificazioni  di Saviano.  E’ qui che viene meno la narrazione che voleva questa serie come un prodotto di impegno anti-camorra e  di denuncia sociale. Un prodotto che nel suo confezionamento ha visto tutta l’attenzione  sulla spettacolarizzazione cinematografica di questo fenomeno, forte anche di un brand come “Gomorra” che assicura vendite in tutto il mondo.

Bastava dire che si trattava di una serie televisiva che parla di una storia di crimine, e a quest’ora staremmo facendo i complimenti per il buon prodotto confezionato. Ottime recitazioni, alcune interpretazioni di livello molto alto, buone la regia e la sceneggiatura. Ma abbiamo imparato a conoscere la figura di Saviano, il suo personaggio, le sue ambiguità e soprattutto le sue auto-narrazioni agiografiche.

Un altro punto risulta importante nell’articolo di Saviano. Nel rispondere a chi solleva il pericolo dell’immedesimazione con personaggi negativi, lo scrittore risponde che “l’immedesimazione non avviene con la realtà, ma con una sua rappresentazione”.  E c’è tanto di vero in questa affermazione. Ma Saviano, nella sua solita narrazione agiografica, non si rende conto che anche la sua è una rappresentazione. Del resto, come già detto, ad essere privilegiata è la spettacolarizzazione cinematografica. Il piombo sparato durante tutta la serie è sicuramente una quantità estremamente elevata rispetto alla realtà dei fatti, tanto per fare un esempio.

Ma un nodo importante “Gomorra. La Serie.” lo coglie. Ed è il nodo della stratificazione sociale  che anche il mondo camorrista ha al suo interno. Non credo abbiamo problemi a dire che siamo contro quella gente. Che quella è “gent e’mmerd” lo grideremo sempre. Ma Danielino non è Genny Savastano. Danielino aveva sedici anni e di prospettive, se non quelle di ritirarsi tutte le sere sporco di grasso e con le mani rovinate alle prese con i motori di scooter e motociclette, non ne aveva molte. C’è da chiedersi in quanti a sedici anni sognano quella vita.

E allora qui arriviamo al nodo centrale. La camorra e la lotta ad essa resta una questione di classe. Nessuna lotta tra bene e male, tra corrotti e corruttori,  ma ancora una volta una guerra tra sfruttati e sfruttatori. Perchè se a sedici anni la scelta è tra una vita di stenti e sacrifici (o al massimo arruolato tra le fila dello stato) da un lato,  e quella di una pistola ai fianchi e i soldi in tasca dall’altro, in tanti continueranno a fare la scelta di Danielino.  Insomma, tra la Camorra e la società civile dei Saviano di turno, sempre meno capace di stare nella pancia del paese, che contrappone Stato e Camorra, l’unica soluzione resta riportare la guerra sul suo terreno reale. Quello tra sfruttati e sfruttatori.

@madeinsud

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