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Buycott: una app per il consumo critico e per contrastare Israele

Una bufala palese nonostante le vistose mistificazioni di governi e media mainstream, visto che l’occupazione del suolo palestinese dura da oramai 67 anni, mentre la presunta “autodifesa” ad oggi segna il più alto numero di vittime degli ultimi anni (quasi 2000 in un mese circa di raid aerei e terrestri, di cui almeno un quarto bambini) e la sistematica devastazione di infrastrutture civili, mentre i morti israeliani sono perlopiù soldati impegnati nelle operazioni militari sulla Striscia. La capillarità di hashtag come #GazaUnderAttack e #StopBombingGaza ha infatti mostrato al mondo le brutali conseguenze dell’attacco israeliano, trasformando i social network in un Vietnam virtuale per l’IDF, i suoi sostenitori e i media rei di proporre una narrazione distorta di Protective Edge, che si ritrovano subissati ad ogni post o tweet da migliaia di commenti negativi e testimonianze in grado di smentire la propaganda in tempo reale.

Ad ogni modo, dopo Facebook, Twitter e le diverse #OpIsrael sferrate da Anonymous contro i siti istituzionali e militari di Israele, nell’era dello smartphone, non poteva mancare una app ad hoc per facilitare il boicottaggio nel momento in cui si ha il carrello della spesa in mano, e non solo a colpi di hasthag e post condivisi. In questo caso si tratta di Buycott, app disponibile in free download sia per i market Android che per i supporters della mela mangiucchiata. Forte della nomination ad applicazione della settimana da parte della rivista Forbes, Buycott ha goduto di un nuovo rimbalzo di popolarità dopo il suo primo utilizzo diventato famoso a livello globale, ossia nel 2011 contro il SOPA-PIPA Act sulla “pirateria online”, tacciato di voler drasticamente restringere le libertà digitali. In quel caso, Buycott aiutò a tracciare le aziende che avessero fatto azioni di lobbying o finanziato i deputati firmatari della proposta di legge. Nel caso di Israele, aiuta l’utente ad evitare prodotti di compagnie inserite a vario titolo nella lista di boicottaggio come sostenitrici dello stato sionista, anche qualora non rechino il numero 729 (ossia il prefisso di Israele e dei suoi insediamenti) sul codice a barre.

Ovviamente, l’idea di fare pressione su Israele colpendo i suoi interessi economici dal basso è tutt’altro che nuova. La piattaforma BDS (ossia Boycott, Disinvestment and Sanctions) viene formalizzata a livello internazionale ormai nel 2007 da parte di vari gruppi a sostegno della Palestina, ma acquisisce maggiore popolarità in concomitanza della famigerata operazione Piombo Fuso nel 2008. L’intento è quello di sensibilizzare i consumatori a sanzionare nella vita quotidiana Israele e i suoi coloni, vista e considerata la palese indisponibilità di governi ed organismi sovranazionali ad applicare sanzioni o qualsivoglia tipo di embargo nei confronti del governo israeliano. (Esiste inoltre una branca della campagna BDS che sostiene il boicottaggio delle istituzioni accademiche e culturali sioniste, ad esempio spingendo a contestare sui propri territori la presenza di artisti e docenti universitari che abbiano espresso il proprio appoggio all’apartheid palestinese.)

Sono infatti decine le corporations che sono inserite nella black list di BDS per il fatto di detenere accordi commerciali o impianti industriali in Israele o nei territori occupati della Striscia e della Cisgiordania, se non per aver espresso esplicito supporto all’operato dei governi israeliani: dalla Garnier (salita ad esempio in questi giorni ai dubbi onori delle cronache per aver inviato migliaia di prodotti “per farsi belle anche in tempo di guerra” alle soldatesse dell’IDF) alla McDonald’s, passando per Coca Cola, Hogan, Intel e le catene di grande distribuzione Mark’s & Spencer’s e Sainsbury.

Il principio alla base del funzionamento di Buycott è semplice quanto efficace: aiutare l’utente a capire in tempo reale sul proprio smartphone collegato ad internet se i prodotti che ha in casa o si accinge a comprare supportano o contrastano le campagne che sta sostenendo. La lettura del codice a barre consente infatti di ricostruire la provenienza geografica del prodotto, nonché l’albero genealogico della casa madre, e di ottenere informazioni sulle azioni dell’azienda in merito alle campagne cui si è deciso di aderire tramite il tasto “Join”. L’app, inoltre, prevede altre due funzioni piuttosto semplici quanto importanti per incrementare l’attivismo degli utenti: la prima è consentire agli stessi di aggiornare il database con nuovi prodotti sulla scorta di informazioni inedite o di dati pre-esistenti sulla casa madre cui afferiscono. Ancora più importante, Buycott consente di creare in pochi clic le proprie campagne basate su diversi filoni tematici, che spaziano da “Animal Welfare” ad “Immigration”, passando per “Labour Rights” e “LGBTQ”, e di invitare nuovi amici a partecipare e a supportarle grazie all’integrazione con i principali social network (primo fra tutti, ovviamente, Facebook). Il tutto con un’interfaccia piuttosto semplice ma accattivante, che favorisce l’uso dall’applicazione anche da parte di utenti che abbiano una limitata o inesistente familiarità con QR Code, scansione dei bar code e più in generale con le campagne di boicottaggio sui social network.

Ovviamente, il funzionamento della app e la sua natura sostanzialmente open source per quanto riguarda i contenuti possono favorire usi piuttosto ambivalenti da parte di utenti non proprio cristallini, se non esplicite contro-campagne dal profilo tutt’altro che etico. Nelle ultime ore si è infatti assistito alla nascita di alcuni gruppi in supporto di Israele e contro le compagnie palestinesi o pro-Palestina, per quanto di grandezza nell’ordine di un centesimo rispetto al gruppo di boicottaggio più nutrito, “Long live Palestine Boycott Israel”, che nella sua descrizione invita a replicare l’azione di boicottaggio di lungo periodo sferrata contro i prodotti sudafricani ai tempi dell’apartheid. E questa richiesta sembra essere caduta tutt’altro che nel vuoto: il gruppo annovera ad oggi oltre 260,000 utenti ed una lista in continuo aggiornamento contenente decine di aziende, con un trend di crescita di circa 10,000 utenti a giornata dalla pubblicazione dell’articolo su Forbes. Uno dei neonati gruppi più nutriti a sostegno di Israele e delle sue colonie, invece, annovera circa 2,000 utenti, oltre ad un numero di prodotti piuttosto limitati e un favore altrettanto scarso degli utenti, a giudicare dai commenti sul wall pubblico.

Benché dunque le bacheche dei suddetti gruppi siano state finora bombardate di slogan e messaggi a favore di Gaza e contro la propaganda sionista, è facile prevedere che, in merito a questa ed altre campagne, i fautori dell’anti-boicottaggio, le corporations ed entità lobbiste potrebbero servirsi in un futuro prossimo della natura aperta e partecipativa della app per trasformarla in un ulteriore terreno di conquista per operazioni di pink, white e qualsivoglia colore washing delle proprie azioni più stigmatizzate a livello di audience e consumatori.

Ma per il momento, l’ampiezza globale del sostegno alla causa palestinese anzitutto nelle strade (e non solo dietro schermi e tastiere) rende uno strumento come Buycott un supporto potenzialmente virale e a portata di tasca per contribuire a colpire gli interessi economici di Israele, nonché una risorsa interessante per rafforzare campagne di boicottaggio e pressione più glocal, come ad esempio quelle contro lo sfruttamento nel mondo della logistica da parte di “mostri sacri” dell’industria come Ikea e Granarolo.

@PoliceOnMyBack

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