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Sei notav? Allora sei colpevole a priori e ti viene negato il diritto a lavorare

Bussoleno, 6 maggio 2015 – E’ di ieri la notizia del rigetto dell’istanza di Emilio da parte dei tristemente noti PM Padalino e Rinaudo.

Se in un primo momento viene stabilito che Costanza, Emilio e Stella non  sono liber* di andare dove vogliono, ieri il giudice Paola Boemio ha confermato che Emilio non può nemmeno permettersi il “lusso” di andare a lavorare. “Misure cautelari”: “cautelari di che?”, vien da chiedersi.

Secondo il parere di Emilio “la presunzione di innocenza viene applicata solo ai politicanti che detengono il potere (fino al terzo grado di giudizio e spesso fino alla prescrizione del reato, seppur commesso e provato!), mentre a chi il potere lo combatte, di fatto si applica la “presunzione di colpevolezza” . E così, Costanza, Emilio e Stella si ritrovano privat* della libertà prima di essere giudicati. Magistrati deboli coi forti e forti coi deboli”.

Nel caso di Emilio il controsenso è evidente perché in lui si possono identificare tanti, pur non essendo attivisti, ma semplicemente sentendosi delle “persone normali” colpite in quei diritti che credevano scontati: in un paese che si proclama democratico e il cui Presidente ribadisce che per superare la crisi bisogna assolutamente sostenere il “diritto costituzionale al lavoro”, a lui viene negato questo diritto perché, grazie alla propria genuinità e concretezza, ha la potenzialità di scuotere anche le coscienze più sopite, di instillare il dubbio in quanti ancora sorbiscono un’informazione ribaltata da giornalisti al soldo di dell’ingordigia dei politici, che pensano solo a riempirsi le tasche con opere mastodontiche e inutili, dannose per l’economia, l’ambiente, la salute.

E così succede che il giornalista Tommaso Cerno, che si è recato in Valle per l’Espresso intervistando anche Emilio e proponendosi come una figura imparziale, volta la gabbana e tre giorni di fa dichiara, all’”Arena” di Giletti, che ha parlato con “pescivendoli che volevano tagliare la testa ai poliziotti” (e di pescivendoli in Valsusa ce ne sono tre, di cui Emilio è l’unico attivista NOTAV). “Attenzione a non mistificare la mia persona -dichiara Emilio-: queste non sono le mie parole e sfido chiunque mi ascolti a interpretare il mio pensiero in questo modo”.

“Io rivendico a testa alta – dice ancora – tutte le forme di protesta che ho messo in atto e, se questa privazione della libertà mi ha fiaccato, sento di dovermi scusare con i ragazzi che stanno pagando conti ben più salati in carcere. E ora vedo coi miei occhi che il motto ‘si parte e si torna insieme’ è un fatto reale, so che nessuno di noi lascerà indietro nessuno e questo mi dà più forza di prima”.

“..E a chi si permette di giudicare questi ragazzi comodamente seduto sulla propria poltrona di casa, telecomando alla mano, rispondo che gli unici che personalmente mi sento di giudicare sono proprio loro, gli inermi e gli indifferenti”. D’altronde nell’avviso di chiusura indagini Emilio è indicato come “attivista infaticabile”, come se ciò  fosse un aggravante!

Ufficialmente il motivo per cui il giudice ha negato a Emilio, che di mestiere fa il pescivendolo nei mercati della Valle, il permesso di lavorare, è che la licenza di lavoro è intestata sia a lui che a sua moglie, e che quindi il lavoro possa essere portato avanti da lei sola. Ma se la licenza è intestata a entrambi, è proprio perché sono due le persone necessarie a portare avanti l’attività, e oltretutto in parte anche con ruoli diversi: è Emilio che da sempre si approvvigiona al mercato del pesce; è sua moglie che cura il lato tecnico; mentre sono entrambi che, con due banchi e anche in mercati diversi contemporaneamente si occupano della vendita. Così facendo dimostrano l’incapacità di capire cos’è in concreto il lavoro della gente.

Di fatto, tutto questo teatrino non è altro che l’ennesimo tentativo di reprimere il dissenso.

Lo scoprono di giorno in giorno coloro che sempre più numerosi si ritrovano ad alzare la testa per i diritti che il baraccone statale smantella pezzo dopo pezzo – dai movimenti per il diritto alla casa, ai lavoratori in sciopero: due esempi di lotte popolari che si estendono a macchia d’olio e che hanno avuto dei picchi in questi ultimi anni.

Lo sanno molto bene tutti quelli che da sempre lottano contro una legalità che non fa rima con giustizia, e che combattono i principi su cui si regge la società a partire dalla scelta di non farne parte, di non replicarne i meccanismi, ma anzi di smascherarli e distruggerli e, laddove possibile, costruire un’alternativa.

Lo sa molto bene anche il variegato movimento NO TAV, che ha capito che per costruirla, questa alternativa, bisogna essere in tanti, e che per questo si impegna a raccontare a quanta più gente possibile la verità, nonostante la sleale concorrenza di un apparato mediatico mastodontico buono solo a fornir disinformazione e a preparare il terreno per la differenziazione tra buoni e cattivi.

Lo stato “invita” – col manganello, il magistrato e la stampa prezzolata- i buoni ad esprimere il dissenso “senza disturbare” (giusto quel tanto che basta per dare l’illusione di essere in un paese democratico in cui il popolo può pesare sulle scelte che lo riguardano, per chi ancora ci crede); al contempo , addita  i cattivi che la rabbia vogliono incanalarla in fatti concreti. Questo per evitare che tra gli uni e gli altri avvenga un libero scambio di pensieri e pratiche.

L’unica differenza tra buoni e cattivi che si possa fare, o come giustamente dice Emilio tra onesti e disonesti, è tra chi sta al di là del cancello, a difesa di un’opera inutile e dannosa, e chi sta al di qua, dalla parte libera di un movimento multiforme, e che non lascia nessuno indietro

 

da notav.info

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