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Venezuela. Complotto per uccidere Maduro

Il governo venezuelano ha denunciato l’esistenza di un piano per uccidere il presidente Nicolas Maduro e quello dell’Assemblea nazionale, Diosdado Cabello. Due giovani, Victor Johan Guache Mosquera e Erick Leonardo Huertas Rio, entrambi di nazionalità colombiana, sono stati arrestati. Erano armati di fucili di precisione e recavano una fotografia dei due bersagli da eliminare. Il ministro degli Interni, giustizia e pace, Miguel Rodriguez, ha detto ai giornalisti che i due avrebbero dovuto coprire le spalle a un killer professionista chiamato «David», a sua volta agli ordini di un altro colombiano, Oscar Alcantara Gonzalez. Quest’ultimo si trova in carcere da quasi un anno come mandante di alcuni omicidi, commissionati a minorenni. Gonzalez – ha affermato il ministro – è vicino all’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, noto per le complicità coi paramilitari e i narcotrafficanti, e «senz’altro al corrente di queste cose». I due colombiani sarebbero entrati dal Tachira, uno stato che confina con la Colombia. Erano in possesso di 10 uniformi dell’esercito venezuelano, e per questo vengono ricercati altri membri del commando. La cospirazione – ha denunciato il ministro – è stata ordita a Miami, dalle solite reti anticastriste dell’immarcescibile Luis Posada Carriles.

Cuba e Venezuela richiedono da anni l’estradizione di Posada. Per l’Avana deve rispondere dell’organizzazione di numerosi attentati come quello che nel ’76 fece saltare in aria un aereo civile cubano con 73 passeggeri. Accusato da alcuni complici di essere il mandante dell’attentato, l’ex ufficiale delle Forze armate Usa venne arrestato a Caracas, dove imperversava su mandato Cia come torturatore degli oppositori politici. Si faceva chiamare «commissario Basilio». Numerosi testimoni lo hanno riconosciuto e lo vorrebbero a processo, nell’ambito della Commissione contro l’oblìo che indaga sui crimini commessi durante i governi della IV Repubblica.

Posada è rimasto in carcere in Venezuela fino all’85. Poi la Cia ha organizzato la sua evasione… dal portone principale, durante un cambio di guardia. Secondo i documenti del Cablogate e del Datagate, Carriles è invecchiato, ma la sua rete rimane tutt’ora in attività: contro Cuba e contro i governi progressisti dell’America latina.

Gli arresti sono avvenuti il 13 agosto, ma la notizia è stata tenuta nascosta «data la delicatezza delle indagini e la gravità del fatto». Nell’inchiesta – ha aggiunto Rodriguez – sono coinvolte diverse persone appartenenti all’estrema destra venezuelana.

La destra Venezuelana ha reagito facendo spallucce e accusando il governo di voler sviare l’attenzione del paese dai problemi reali: anzi, di voler trovare un pretesto per sospendere le elezioni comunali, previste per il prossimo 8 dicembre.

Gli ultimi sondaggi danno il campo chavista in vantaggio e il governo Maduro gradito dalla maggioranza dei venezuelani. La destra, però, fa il suo gioco, alternando iniziative di piazza a richieste di riconoscimento internazionale.
Alle elezioni presidenziali del 14 aprile scorso, Henrique Capriles Radonski, candidato della Mesa de la Unidad democratica (Mud), ha perso di misura con Nicolas Maduro. Come governatore di Miranda, Capriles ha vinto per un pugno di voti sull’attuale ministro degli Esteri Elias Jaua alle regionali del 16 dicembre 2012. Ha accettato senza troppe storie di essere stato battuto alle presidenziali del 7 ottobre 2012 da Hugo Chávez, scomparso lo scorso 5 marzo. Con Maduro, però, ha gridato alla truffa, ha chiamato i suoi alla rivolta. Le violenze postelettorali hanno provocato devastazioni, morti e feriti nel campo chavista. Poi il leader Mud ha cercato di far invalidare i risultati con diversi ricorsi legali e ha richiesto l’intervento degli organismi internazionali. Quindi ha intrapreso una serie di viaggi all’estero, ricevuto dalle destre latinoamericane. In Colombia ha incontrato anche il presidente Manuel Santos, fautore del dialogo con Caracas già con Chávez in vita. Un episodio che ha rischiato di riportare indietro le relazioni fra i due paesi, interrotte ai tempi del governo di Alvaro Uribe (2002-2010).

Anche Chavez aveva denunciato diversi piani per eliminarlo, sempre respinti con sufficienza dai media internazionali. Uno degli ultimi – un’incursione di diversi paramilitari colombiani – venne sventato per pura casualità: una donna gelosa decise di rivolgersi a un amico commissario per vedere se fosse vero che il fidanzato taxista era al lavoro quella notte. Seguendolo, il commissario scoprì una colonna di paramilitari colombiani pronti a puntare su Miraflores e, fedele a Chávez, dette l’allarme.

Le rivelazioni di Wikileaks prima e quelle di Edward Snowden hanno poi peraltro confermato che Washington, dopo aver organizzato il golpe del 2002, teneva costantemente sotto controllo Chávez e il petrolio venezuelano, destinato al benessere degli strati popolari. Il Venezuela era al centro del cyberspionaggio messo in atto dalla Nsa in Sudamerica. Dal Brasile partiva la ragnatela di intercettazioni composta da16 basi Cia – almeno 5 operative a livello militare – insediate in diversi paesi del Latinoamerica.

da Il Manifesto

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pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

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