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Turchia: Narin Capan a processo il 26 maggio

Narin, che è dipendente della municipalità di Silvan ed ha lavorato per l’emittente curda Diha nell’oriente turco anche noto come Kurdistan, o Kurdistan del nord (Bakur), aveva accompagnato due corrispondenti italiani per una camminata di circa un’ora nel piccolo centro abitato, a due giorni dalle elezioni nazionali del 30 novembre. I tre erano stato fermati dalla polizia e condotti in una caserma per accertamenti, dove avevano subito un surreale interrogatorio (che comprendeva domande non soltanto sulla situazione politica turca, ma anche sulla propria identità etnica e religiosa).

Rilasciati in serata, con una denuncia per “propaganda per un’organizzazione terroristica” (il Pkk, che la polizia di Silvan sosteneva fosse in quelle ore presente in città) e dopo esser stati forzati a rilasciare non soltanto foto segnaletiche e impronte digitali, ma anche un quantitativo del proprio sangue (estratto con la forza per non meglio specificati motivi), i tre hanno visto le accuse venire archiviate nei mesi successivi.

La polizia turca, tuttavia, non ha voluto lasciar perdere Narin, una delle tantissime persone che lo stato di Erdogan deve perseguire e silenziare per il solo fatto di essere curde, e di essere sospettate di possedere una visione critica riguardo la Turchia, in questi mesi travagliata da una guerra interna a causa della volontà del governo di non accettare il processo di autogoverno avviato da alcuni quartieri nelle città curde dell’est (tra cui Silvan).

Per questo il giudice ha riformulato l’accusa nei confronti di Narin, sostenendo che il fatto di aver accompagnato i due italiani in giro per Silvan avrebbe costituito una “offesa allo stato” (occorre sottolineare che la polizia non ha trovato sul materiale sequestrato ai giornalisti nessuna prova di loro contatti con la guerriglia). Non basta: una delle tante foto che Narin aveva sul cellulare che le è stato sequestrato a ottobre, sostiene il giudice istruttore, la ritrae in una località compatibile con la città di Kobane, nel Kurdistan occidentale (Rojava), il che ne farebbe automaticamente un “membro delle Ypj”.

Con queste accuse ridicole, ma non per questo meno gravi, la magistratura turca porta a processo Narin il 26 maggio (le forze armate curdo-siriane femminili Ypj, sono per la Turchia una “organizzazione terroristica”). La volontà di accanimento nei confronti di Narin, come nei confronti di migliaia di altre ragazze e ragazzi come lei a Silvan, e in altre città della Turchia orientale e occidentale, è esplicita. La sua unica colpa è essere curda, e in più aver accolto nella sua città, in qualità di dipendente comunale, due visitatori stranieri. Non è certo un caso che ben altri otto giornalisti dell’emittente per cui lavora, Diha, sono stati arrestati in Turchia negli ultimi due mesi.

Le condizioni di detenzioni di Narin sono difficili, sebbene le sue condizioni di salute siano buone. Soltanto tre mesi fa quattro detenuti sono riusciti ad evadere dal carcere di Diyarbakir, tristemente famoso per esser stato per decenni luogo di tortura dei militanti curdi, ciò che ha reso più stringenti le misure di sicurezza. È possibile scrivere a Narin (in inglese) a questo indirizzo:

Narin Capan

21600 Diyarbakir

E tipi kapali cezaevi

B blok 3 Kogus

Dopo le elezioni del 2 novembre un coprifuoco di 12 giorni è stato imposto alla città di Silvan, durante il quale morirono diversi abitanti della città, impegnati nella resistenza contro le forze speciali o vittime di colpi di arma da fuoco esplosi dalla polizia per le strade o nei bar. A causa della resistenza della popolazione le forze turche abbandonarono la città umiliate dalla folla. Nelle scorse settimane Silvan è stata nuovamente attaccata dall’esercito via terra e via aria, ma la sua resistenza non è stata spezzata.

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