
Sganciati nella notte 59 missili sulla Siria, cambio di passo per Trump?
L’azione, con l’obiettivo dichiarato di dissuadere il regime di Assad dal futuro utilizzo di armi chimiche, è stata decisa nella giornata di ieri tra una rosa di opzioni sottoposte dal segretario alla difesa Mattis al presidente. Nell’assenza peraltro di risultati di investigazioni internazionali che forniscano il quadro delle responsabilità e di legittimità all’operazione. In barba a tutte le promesse della campagna elettorale ed alle dichiarazioni più recenti sul tema durante i primi mesi di presidenza, Trump si riallinea così alle posizioni guerrafondaie ed anti-Assad di Obama ed Hillary Clinton; portandone anzi l’operatività ad un livello superiore, dato che si tratta del primo intervento diretto statunitense in sei anni di guerra civile.
Resta da vedere se il bombardamento rimarrà un episodio isolato oppure il preludio di una campagna militare più sistematica. Negli equilibri dell’amministrazione, silurato nelle scorse settimane il generale filo-russo Flynn da un’inchiesta giudiziaria ed allontanato dal potere il consigliere Bannon, anch’egli benevolo verso Mosca e Damasco, sembra farsi largo il partito della guerra e dello stato profondo americano. Negli scorsi giorni sono ripartiti i rifornimenti a stelle e strisce di armi alle formazioni dell’opposizione teocratica, con la benedizione di un’Israele preoccupata dall’andamento del conflitto siriano e del protagonismo di Hezbollah; delle monarchie del Golfo, desiderose di rifarsi delle sconfitte patite negli ultimi mesi dai loro agenti sul campo; e di una Turchia che fino a soli tre mesi fa sedeva tronfia al tavolo dei negoziati di Astana con Russia, Iran e regime, nell’assenza degli Stati Uniti.
Sviluppi che possono rivelarsi però invisi alla base sociale islamofoba ed isolazionista del presidente. Minandone ulteriormente, ed anche dal basso, il turbolento andamento al timone del potere fin qui datosi.
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