InfoAut
Immagine di copertina per il post

Rompere il silenzio: il racconto di due ex soldatesse dell’IDF

Il racconto di due ex soldatesse dell’IDF di stanza ad Hebron: dalla propaganda in famiglia e nella società alla scoperta della realtà dell’occupazione.

«È la norma. Mantenere un comportamento aggressivo e violento nei confronti della popolazione palestinese è la norma. Questo valeva per la mia compagnia e per tutte le altre. Ti spiegano sin dal primo giorno in cui prendi servizio che più aggressivo ti mostri e più rispetto otterrai dagli arabi».

Gil Hillel, ex soldatessa della polizia militare israeliana, desidera raccontare i giorni che da militare delle forze di occupazione ha trascorso a Hebron. Per la precisione nella zona H2 di Hebron, la parte della città palestinese rimasta sotto il controllo di Israele dopo gli accordi siglati negli anni Novanta da Benyamin Netanyahu (al suo primo incarico da premier) e lo scomparso presidente palestinese Yasser Arafat. In quella zona poche centinaia di coloni, giunti dopo l’occupazione nel 1967, dettano legge su oltre 20mila palestinesi, all’ombra della protezione garantita dall’Esercito. Gil Hillel arriva all’incontro con il manifesto con un’altra ex soldatessa, Adi Mazor, e con Yuli Novak di Breaking the Silence, l’associazione che da qualche anno offre ai soldati israeliani la possibilità di «rompere il silenzio» pubblicamente e di raccontare le vessazioni, gli abusi, le violenze che subiscono i palestinesi sotto occupazione.

Dalla parte degli occupati Gil e Adi sono due giovani sulla trentina. Prima del nostro incontro sono state a Hebron per un giro di conoscenza con Breaking the Silence, questa volta per stare dalla parte dei palestinesi e non degli occupanti. Entrambe hanno prestato servizio in Cisgiordania, entrambe hanno fatto parte di unità di combattimento.

In Israele le donne sono soggette alla leva obbligatoria ma solo le volontarie, le più motivate, vengono inviate nelle «aree operative», così come sono definiti i Territori palestinesi occupati. «La mia è una famiglia semplice e nazionalista, fondata su solidi principi sionisti – racconta Gil – Quando ho detto ai miei genitori che intendevo far parte di una unità di combattimento e servire in Cisgiordania hanno reagito con sentimenti contrastanti. Erano preoccupati ma anche orgogliosi della mia scelta». A Hebron, prosegue l’ex soldatessa, «arrivai con l’intenzione di svolgere i miei compiti con zelo e senza esitazioni. Indossai la divisa con l’idea che in quella città avrei protetto il mio Paese dal terrorismo, dalla minaccia araba. Quelle cose che ti dicono sin da piccolo, ovunque, in tante occasioni».

Gil dice di ricordare ancora l’emozione che provò quando il suo comandante annunciò a tutti che quel giorno lei, la giovane soldatessa appena arrivata, avrebbe partecipato al giro di pattugliamento nella casbah di Hebron. «Non riuscivo a crederci, era un tale onore per una donna soldato ancora inesperta». Quel giorno però accade qualcosa che avrebbe aperto a Gil gli occhi su quella realtà. «Procedevamo nella casbah – dice – i negozi palestinesi in gran parte erano chiusi e in giro si incontravano poche persone con lo sguardo basso, che sembravano temerci. Non mi sembravano dei terroristi ma ricordavo l’ammonimento che in modo esplicito o con mezze parole ci avevano ripetuto durante l’addestramento: gli arabi sono potenziali terroristi».

A un certo punto, prosegue Gil, «due dei miei compagni di pattuglia fermarono un giovane. Gli chiesero i documenti, lui tirò fuori la carta di identità. Dopo un po’ lo incalzarono con tante domande, lui rispondeva alzando la voce. Fu in quel momento che lo spinsero dentro un vicolo e cominciarono a pestarlo, calci e schiaffoni per un paio di minuti. Poi lo lasciarono andare e noi proseguimmo il nostro giro come se nulla fosse accaduto».

La soldatessa rimase in silenzio. Una volta tornata alla base si rivolse al comandante. «Gli chiesi i motivi di quel pestaggio. Quel palestinese era pericoloso, era stato segnalato? E se era un terrorista perché lo avevano lasciato andare senza arrestarlo. Mi rispose perentorio di far silenzio e di eseguire gli ordini. Qualche giorno dopo mi disse che “chi fa troppe domande non torna a casa in licenza e resta di guardia nella base”. Rimasi in silenzio, mi mancavano i miei fratelli, i miei genitori, volevo rivederli».

Quel silenzio sarebbe durato alcuni anni. Gil Hillel lo ha rotto solo di recente. Non per motivazioni politiche. Perché, ci spiega, è giusto raccontare la realtà dell’occupazione e ciò che subiscono i palestinesi. «Amo Israele ma quello che ho visto quel giorno e nel periodo successivo a Hebron mi ha aperto gli occhi. I palestinesi non sono un popolo di terroristi ma persone come noi, che vogliono vivere in libertà. Noi li stiamo opprimendo, in ogni modo, e io ho il dovere di dirlo alla mia gente, alla mia società. A Hebron il nostro compito non è mantenere la sicurezza ma comportarci come guardie del corpo dei coloni che non esitano a commettere abusi e violenze contro la popolazione araba». Breaking the Silence, conclude l’ex soldatessa, «mi ha dato la possibilità di rivelare tutto questo agli israeliani e al resto del mondo. Non si può più tacere».

Non ho mai parlato con loro

Anche Adi Mazor, di Lod, credeva di «andare a combattere il terrorismo» quando nel 2003 fece domanda per unirsi a un’unità di combattimento. «Non mi bastava di indossare la divisa – ricorda – volevo contribuire in modo concreto alla difesa del Paese. I palestinesi mi apparivano come degli esseri malvagi che non facevano altro che pianificare la nostra distruzione». Adi dopo l’addestramento fu inviata a vari posti di blocco intorno a Qalqilya, città palestinese sulla “linea verde”, la linea di armistizio che fino al 1967 divideva Israele da Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est. Tra i suoi compiti c’era anche quello di pattugliare il Muro di separazione costruito da Israele in Cisgiordania.

«Pensate – dice l’ex soldatessa – ho passato un periodo molto lungo da quelle parti a controllare documenti, a ordinare, spesso urlando, a persone che andavano al lavoro, dal medico o a scuola, di mostrare in fretta documenti e permessi. Ho perquisito non so quante donne, madri con i figli, studentesse della mia età. Eppure non ho mai davvero parlato con loro, anche solo una volta. Voglio dire una chiacchierata normale, tra persone. Per me erano solo uomini e donne potenzialmente pericolosi per i coloni che vivono lì intorno e per la sicurezza di Israele».

Adi Mazor comprese il suo ruolo di occupante un giorno di primavera, quando presa dalla noia decise con un altro soldato di «divertirsi un po’» alle spalle di qualche palestinese. «Eravamo di pattuglia lungo il Muro – racconta – e attraverso un varco notammo dall’altra parte della barriera due contadini palestinesi, un uomo e una donna. Decidemmo di spaventarli. Così lanciammo due granate assordanti a pochi metri da quei malcapitati. Le esplosioni improvvise li fecero saltare dalla paura. Si abbracciarono in preda al panico. Noi dall’altra parte del Muro osservavamo quella reazione e ridevano, ridevamo tanto e imitavamo i loro gesti. Risalimmo sulla jeep felici per la nostra “impresa”. Lungo la strada notai che stringevo in una mano le linguette delle due granate. Le osservai per qualche secondo, poi in silenzio mi domandai perché avevo goduto nel gettare nel panico quei due contadini».

Come Gil Hiller anche Adi Mazor ha taciuto per lungo tempo. Poi ha deciso di raccontare la parte che ha svolto nell’oppressione di un altro popolo. Gil e Adi sanno che è difficile persino immaginarlo, però lo sperano: tutti i soldati, tutti gli israeliani dovranno «rompere il silenzio».

Michele Giorgio

per Il Manifesto

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

esercito israelianopalestina

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Israele viola il cessate il fuoco: sei palestinesi uccisi a Gaza. OMS: 15.000 persone hanno perso gli arti nella guerra

Martedì mattina, sei cittadini palestinesi sono stati uccisi e altri sono rimasti feriti in attacchi israeliani contro le città di Gaza e Khan Yunis.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Livorno: pratiche di lotta, agibilità politica e repressione

Riflessioni a margine della doppia visita di Salvini a Livorno.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Milano: non passa la mozione per interrompere il gemellaggio con Tel Aviv. Proteste dentro il consiglio comunale, cariche fuori

A Milano proteste dentro e fuori il consiglio comunale: a Palazzo Marino passa il voto con la maggioranza di 22 a 9 (3 gli astenuti) contro la mozione che chiedeva l’interruzione del gemellaggio con Tel Aviv.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Show Israel the red card! Corteo nazionale a Udine

Domani, 14 ottobre, alle 20:45, si giocherà a Udine Italia–Israele, match di qualificazione ai Mondiali 2026. 

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La giudice federale impedisce a Trump di inviare truppe della Guardia Nazionale a Chicago

Il pendolo tra guerra civile e guerra esterna negli Stati Uniti di Trump oscilla sempre più vorticosamente.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Afghanistan e Pakistan, combattimenti alla frontiera con decine di morti

Lungo il confine settentrionale tra Afghanistan e Pakistan si è registrata un’escalation significativa nelle ultime ore, con scontri armati che hanno coinvolto artiglieria pesante e aviazione.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Attivisti della Flotilla rinchiusi nella prigione di Ketziot

Israele trasferisce i volontari sequestrati della Freedom Flotilla alla prigione di Ketziot: cresce l’indignazione internazionale

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Francia: il circo macronista continua

Non si cambia una squadra che perde.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Revolutionary block e The Hague for Palestine: esperienze di lotta al fianco della resistenza palestinese in Olanda

Il 5 ottobre 300.000 persone sono scese in piazza ad Amsterdam alle parole d’ordine di “fermare il genocidio”.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

E’ ufficiale il “cessate il fuoco” a Gaza

Il governo israeliano ha ratificato a tarda notte la prima parte del piano Trump con la dura opposizione dei ministri dell’ultra-destra Ben Gvir e Smotrich.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Desenzano del Garda (BS): assemblea per la Palestina interrotta dalla polizia, “grave intimidazione”

Il Collettivo Gardesano Autonomo di Desenzano, in provincia di Brescia, denuncia una “grave intimidazione” da parte di agenti di Polizia, intervenuti nella giornata di domenica durante una partecipata assemblea per la Palestina presso la Casa dei Popoli Thomas Sankara.

Immagine di copertina per il post
Traduzioni

El trabajador inexistente

Para las derechas, los trabajadores y las trabajadores son “inexistentes” sino como agentes de la producción capitalista. Están privados de una subjetividad propia: no pueden y no deben tener opiniones, pensar, cabrearse o, dios no lo quiera, ocupar las calles.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Ecocidio, imperialismo e liberazione della Palestina/1

La devastazione di Gaza non è solo genocidio, ma anche ecocidio: la distruzione deliberata di un intero tessuto sociale ed ecologico.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Comunicato sull’operazione di polizia a Torino: tutt* liber* , Palestina libera!

Pubblichiamo il comunicato congiunto scritto da Torino per Gaza, Non Una di Meno Torino, Progetto Palestina e Giovani Palestinesi d’Italia in merito all’operazione di polizia di questa mattina a Torino. Sabato 11 ottobre si torna in piazza per una manifestazione cittadina alle ore 15 con partenza da piazza Castello.

Immagine di copertina per il post
Formazione

Occupare per la Palestina: Se la scuola sta in silenzio, gli e le studentesse alzano la voce!

Ripubblichiamo questo contributo scritto e pubblicato da “Riscatto – Cronache dalla Pisa che non si rassegna!” in merito all’ondata di occupazioni nelle scuole in solidarietà alla Palestina che si sta verificando in queste settimane a Pisa e non solo.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Aggiornamento Adalah riguardo ai membri della Flottiglia detenuti illegalmente da Israele

Numerosi partecipanti della flottiglia hanno denunciato maltrattamenti fisici, umiliazioni e trattamenti disumani durante e dopo l’intercettazione

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Continuano le piazze per la Palestina e nella notte nuovo abbordaggio della Flottilla

Ieri, 7 ottobre, in particolare in due città italiane, Torino e Bologna, si sono tenuti appuntamenti per continuare la mobilitazione in solidarietà alla Palestina. Entrambe le piazze sono state vietate dalle rispettive questure in quanto considerate “inopportune”.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

DDL Gasparri, per imbavagliare la solidarietà alla Palestina

Il Decreto prevede pesanti ricadute su scuola e università.