
Leonardo ammette l’export di armi in Israele e fa cadere la maschera del governo
Riprendiamo questo articolo di Duccio Facchini, direttore di Altraeconomia apparso originariamente sulla rivista medesima e poi ripreso da osservatoriorepressione.
Roberto Cingolani, amministratore delegato del colosso, ha provato a “rispondere alle accuse di ‘complicità nel genocidio’” con un’intervista al Corriere della Sera zeppa di contraddizioni e tesi fantasiose. Ma nel maldestro tentativo di alleggerire la propria posizione ha clamorosamente smentito due anni di falsità raccontate dall’esecutivo. Ecco, punto per punto, perché
L’intervista rilasciata il 30 settembre 2025 dall’amministratore delegato di Leonardo Spa, Roberto Cingolani, al Corriere della Sera al dichiarato scopo di “rispondere alle accuse di ‘complicità nel genocidio’” segna una tappa cruciale nella vicenda delle armi italiane a Israele.
La principale azienda bellica del nostro Paese ammette anche sulla stampa più vicina quanto già evidenziato dalle inchieste di Altreconomia: e cioè che l’Italia ha continuato a esportare materiale d’armamento verso Tel Aviv dopo il 7 ottobre 2023, nella complice inerzia del Governo Meloni.
Leonardo, il cui azionista di maggioranza è quello stesso governo che per mesi ha negato l’innegabile, lo ha fatto in forza di autorizzazioni rilasciate dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (Uama), in seno alla Farnesina, prima del 7 ottobre 2023 che non sono mai state sospese o revocate dall’esecutivo, che pure avrebbe potuto e dovuto farlo in forza della legge 185/1990, che già prevede esplicitamente la circostanza della sospensione o revoca (all’articolo 15) di licenze già rilasciate financo per armi sportive, da caccia, gli “artifizi luminosi e fumogeni”, le “armi e munizioni comuni da sparo”. Figurarsi per i materiali e i ricambi che Leonardo ha esportato a beneficio dei velivoli M-346 prodotti dalla Alenia Aermacchi di Varese e che i piloti dell’aeronautica israeliana utilizzano per formarsi e poi, perché è quello che fanno, bombardare, con altri caccia, la Striscia di Gaza.
Cingolani sostiene che Leonardo sia stata quasi “costretta” a proseguire quelle esportazioni per onorare due contratti in essere relativi alla “manutenzione per elicotteri e aeroplani da addestramento non armati”. Se non lo avesse fatto, è la tesi propinata oggi come se nulla fosse accaduto nel frattempo, avrebbe commesso “un illecito” che avrebbe poi portato a un “contenzioso legale”.
Nel maldestro tentativo di alleggerire la propria posizione e sorvolando sull’obbligo cogente in capo all’azienda di sospendere i contratti indipendentemente da un passo governativo (si veda, ad esempio, la Convenzione di Vienna), Cingolani -che si è ben guardato dal citare il programma dei dodici elicotteri AW119Kx d’addestramento della Agusta-Westland prodotti a Philadelphia dopo un accordo del febbraio 2019, i cannoni Oto Melara sulle corvette dello Stato ebraico, o la vicenda delle bombe GBU-39 co-prodotte da Mbda, di cui Leonardo detiene il 25%- si è spinto a invocare “una copertura istituzionale”, facendo così cadere la maschera del governo. “Per fortuna adesso il ministero degli Esteri e la Uama stanno guardando se sia possibile trovare un provvedimento che ci consenta di sospendere le vecchie licenze sulla falsariga della legge 185”.
È una farsa. La legge 185/1990 prevede esplicitamente la possibilità di sospendere e revocare le licenze, e le palesi e gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani a Gaza sono sotto gli occhi del mondo da quasi due anni, denunciate prima e accertate poi da numerosi organismi internazionali, anche in seno alle Nazioni Unite. Perché il governo italiano non ha fatto nulla e si ritrova “adesso” a “guardare” se sia possibile firmare un “provvedimento” di sospensione?
Quel provvedimento è un decreto che la Farnesina non ha mai voluto firmare. Quando Altreconomia ne chiese conto tramite un accesso civico generalizzato nel lontano dicembre 2023 la risposta fu da commedia dell’assurdo: il ministero degli Esteri si rifiutò persino di dare la “informazione circa la sussistenza o meno di decreti di sospensione in sé, indipendentemente dalla circostanza che siffatte tipologie di provvedimenti siano o meno state adottate” perché la semplice notizia dell’esistenza del decreto avrebbe potuto “arrecare potenziale, concreto pregiudizio alle relazioni internazionali citate, in quanto consentirebbe l’immissione nella conoscenza di processi di analisi e decisioni che toccano livelli di riservatezza nella gestione delle relazioni internazionali per come sopra qualificate”. Oggi Cingolani svela il bluff: non c’era nulla da ostendere se non la complice inerzia nel far proseguire esportazioni già autorizzate.
Eppure sono due anni che il vicepresidente del Consiglio e titolare degli Esteri Antonio Tajani dispensa rassicurazioni all’opinione pubblica dicendo che è “tutto bloccato”. È arrivato persino ad affermare, nella pasticciata confusione di chi forse prova a tutelare la propria posizione di fronte ai tribunali internazionali, che se qualcosa proprio fosse partito erano semplicemente “pezzi di radio”. L’Avvocatura dello Stato -nella causa promossa dall’avvocato gazawi Salahaldin M. A. Abdalaty- ha parlato addirittura di “documentazione tecnica e corsi di formazione”. Una medaglia spetta però alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in Senato il 15 ottobre 2024, in risposta alla nostra inchiesta, disse che l’export in capo a Leonardo altro non era se non “componentistica per aerei che vengono assemblati in Israele per essere esportati negli Stati Uniti” e che dunque non vi era alcun “rischio” che fossero “utilizzati”. Un’invenzione.
Passa un anno e Roberto Cingolani sul Corriere della Sera ne dice un’altra: l’export di Leonardo sarebbero in realtà “quattro tecnici che sono in Israele per la manutenzione ordinaria dei velivoli”. L’ennesima e triste capriola smentita dalla stessa società che amministra, dato che un anno fa Leonardo ha comunicato ad Altreconomia che le forniture nel 2024 furono “assistenza tecnica da remoto, senza presenza di personale nel Paese (sic), riparazione materiali e fornitura ricambi”, per un valore di sette milioni di euro. Cosa che è proseguita anche nel 2025 ma Leonardo si rifiuta di specificare pubblicamente l’ammontare.
Dire tutto e il contrario di tutto, scegliendo naturalmente da chi farsi porre le domande (Cingolani ha del resto rifiutato la nostra proposta di intervista) non è cabaret, è una scelta precisa, utile a tacciare l’opinione pubblica di esser incapace di cogliere la complessità e di cadere in semplicistiche derive di natura ideologica. Peccato però che poi ci siano i fatti a parlare.
Non è vero che nel rapporto della Relatrice speciale Onu Francesca Albanese “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” -che, va ricordato, ha il vincolo formale delle 9mila parole complessive- Leonardo Spa sia nominata “in quattro pagine in maniera abbastanza superficiale, con accuse strumentali e forzate”. Perché Leonardo Spa non divulga la dettagliata comunicazione ricevuta da Albanese prima della pubblicazione del report? Le circostanze relative al consorzio che produce gli F-35 che hanno raso al suolo larga parte della Striscia di Gaza sono incontestabili. Come incontestabile è l’ipocrisia dell’amministratore delegato del colosso quando arriva a dire che da socio di maggioranza non può “fare nulla” sulla società che invece dovrebbe controllare, come è il caso della statunitense Drs o della israeliana Rada in tema di radar, per via di giurisdizioni differenti che ne limitano l’intervento. Certi alibi quando si schiantano al suolo lasciano enormi crateri.
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