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Land Day 2013, in Palestina e in diaspora

Era il 30 marzo 1976 quando, in risposta alla confisca di migliaia di donum di terra, i palestinesi dei territori del ’48 (territori che ora fanno parte di “Israele”) avevano indetto uno sciopero generale contro le espropriazioni. Dal 1948 fu la prima protesta di massa ad essere coordinata in tutti i territori occupati, conclusasi nel sangue quando le forze di occupazione invasero villaggi, uccisero sei manifestanti, ne ferirono e arrestarono a decine.
Da quel momento il 30 marzo viene ricordato come la giornata di lotta contro le espropriazioni, di lotta per la terra, per la homeland palestinese. Ogni anno, in Palestina e in diaspora, si ricorda non solo una delle tante rivolte represse nel sangue, si scende in piazza per il diritto alla terra, per cui dopo decenni non si è smesso di lottare. Ovunque lo slogan è lo stesso: “One people, one cause, one Homeland” – un popolo, una causa, una terra.

Una ricorrenza di lotta che, come la Nakba e la Naksa, diventa giornata di scontro e di sangue.
Ed anche quest’anno, in Palestina e in diaspora, molti sono stati gli eventi per il Land Day, in un momento in cui continuano, accanto alle svariate violazioni dei diritti umani, confische della terra e costruzioni di insediamenti israeliani su terre palestinesi.

Quest’anno la Giornata della Terra è stata caratterizzata dalla solidarietà con i prigionieri. Uno sciopero della fame portato avanti da mesi da detenuti palestinesi pronti a perdere la vita per la libertà, per la libertà propria e per la libertà di tutta la Palestina.

Centinaia di palestinesi dei territori israeliani hanno manifestato di fronte alla prigione di Megiddo per chiedere libertà, per i prigionieri e per la terra palestinese. Nella Striscia di Gaza manifestazioni si sono svolte nella cosiddetta zona cuscinetto – area militarizzata della Striscia di Gaza al confine con i territori occupati al nord – in solidarietà con gli agricoltori palestinesi che non hanno più, ormai da anni, accesso alla loro terra. Anche a Gerusalemme e nei territori della West Bank numerose sono state le manifestazioni. In particolare scontri si sono registrati nei pressi del check point di Qalandiya, a Jayyus, a Nabi Saleh e ad Hebron (qui la cronaca della giornata).

Accanto alle più imponenti mobilitazioni che si sono svolte in Palestina, in tutto il Medio Oriente (ad oggi più di 5 milioni sono i rifugiati palestinesi) sono state molte le iniziative per il diritto alla propria terra, alla terra da cui i profughi sono stati ingiustamente scacciati e in cui vogliono tornare. Ovunque in diaspora una voce si è alzata, quella dei profughi palestinesi, quella del diritto al ritorno.

Come ha affermato Leila Khaled quest’oggi durante una conferenza tenutasi in Giordania: “Non accetteremo di vivere sempre come profughi in Giordania, in Siria, in Libano. Non c’è alternativa che la terra di Palestina. Noi torneremo!”.

Così, con i martiri del 30 marzo 1976 nei cuori e nelle menti, si è data un’altra giornata di lotta per la libertà della Palestina, per la libertà dei prigionieri, per il diritto al ritorno.
Un vecchio slogan recita “nessuna pace senza giustizia”…e la giustizia è quella del ritorno nella propria terra, nella Palestina libera.

La corrispondente di Infoaut dall’area mediorientale

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