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La Striscia è già occupata: le due parti di Gaza che Israele non può spezzare

MEMO. Di Ramzy Baroud. Le continue discussioni riguardanti gli obiettivi militari di Israele a Gaza sono in gran parte incentrate sul fatto che lo Stato coloniale stia pianificando una nuova occupazione militare della Striscia a lungo o a breve termine. Gli stessi israeliani stanno alimentando questo dibattito: il 41% di loro vuole lasciare Gaza dopo la guerra e il 44% vuole che la Striscia rimanga sotto il controllo israeliano.

da InfoPal

Queste percentuali sono state rivelate da un sondaggio condotto dall’Istituto Lazar e pubblicato da Maariv venerdì scorso. Riflettono però la reale confusione sullo status giuridico della Striscia di Gaza, anche nella mente degli stessi israeliani.

In verità, Israele era – e rimane – la potenza occupante a Gaza e nel resto della Palestina, nonostante il “disimpegno” dalla piccola e impoverita enclave avvenuto nel settembre 2005. Allora gli israeliani si convinsero di non essere più gli occupanti della Striscia e, quindi, di non esserne più responsabili. Le responsabilità di uno Stato occupante nei confronti della terra e della popolazione occupata sono chiare nel diritto internazionale, in particolare nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Ma gli israeliani avevano e hanno torto, anche se il 21 settembre 2005, ultimo giorno del dispiegamento, Tel Aviv aveva dichiarato Gaza come “territorio straniero”. Quasi esattamente due anni dopo, questo presunto “territorio straniero” è stato dichiarato “territorio ostile”, e quindi soggetto alle ire dell’esercito israeliano qualora non rispettasse la sovranità israeliana e rappresentasse una minaccia per il confine meridionale di Israele.

Il diritto internazionale, tuttavia, non è legato alle definizioni che vengono utilizzate da Israele. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente rilasciato dichiarazioni che insistono sul fatto che Gaza rimane un territorio occupato. Inoltre, le recinzioni e i muri che separano Gaza da Israele non sono confini definiti a livello internazionale, come stabilito dall’accordo di armistizio del 1949 tra Israele, Egitto e altri Paesi arabi dopo la pulizia etnica della Palestina nel 1948.

Quindi, le accese discussioni israeliane sull’occupazione o meno di Gaza dopo la guerra sono prive di senso; Gaza non è mai stata liberata dall’occupazione e quindi non può essere “nuovamente occupata”.

Che Israele accetti o meno questa chiara logica, poco importa, poiché sono le istituzioni giuridiche internazionali, ossia le Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia ed altri, ad avere l’autorità e la responsabilità di raggiungere e applicare tali conclusioni. Tuttavia, è necessario ricordare a Israele alcune questioni urgenti.

Per cominciare, la ripresa dell’assedio a Gaza non risolverà, come al solito, i problemi di Israele. Dopotutto, è stato l’assedio ermetico – con il quale i palestinesi sono stati “messi a dieta”, senza però permetter loro di morire di fame, secondo quanto affermato nel 2006 dall’alto consigliere del governo israeliano Dov Weisglass – a fornire la principale motivazione alla base della necessità di Gaza di resistere all’occupazione. Inoltre, è stata proprio questa resistenza a costringere Israele a ritirarsi dalle aree popolate di Gaza, portando all’assedio draconiano che dura da quasi 17 anni.

Questi fatti vengono solitamente trascurati dai media mainstream perché creano un inutile inconveniente alla narrazione israeliana della guerra. Nei media occidentali, ad esempio, è consuetudine sottolineare il settembre 2005 – anche se in questo caso il “ridispiegamento” viene percepito come “ritiro” – e il 7 ottobre 2023, l’attacco di Hamas nel sud di Israele, come le date e gli eventi più significativi che meritano attenzione quando si parla della situazione attuale a Gaza. Mentre la prima viene usata per scagionare Israele, la seconda viene usata per accusare i palestinesi.

Tuttavia, né i palestinesi né chiunque sia interessato al vero contesto di questa guerra dovrebbe restare vincolato a questa logica.

Inoltre, dovremmo ricordare che la maggior parte dei palestinesi di Gaza sono discendenti dei rifugiati che furono espulsi nel 1948 dalle loro case e dai loro villaggi da quello che oggi è Israele. Essi, giustamente, continuano a considerarsi rifugiati che hanno il Diritto al Ritorno, come sancito dalla Risoluzione 194 delle Nazioni Unite.

Un’altra data da ricordare è il giugno 1967, quando Israele occupò ciò che restava della Palestina storica: Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Questa data rimane una pietra miliare importantissima in quanto ha rappresentato un cambiamento storico sconvolgente nel rapporto tra Israele e i palestinesi, che sono diventati sia vittime del colonialismo dei coloni che dell’occupazione militare di Israele.

L’occupazione militare israeliana ha inaugurato una nuova forma di resistenza popolare in Palestina, dove i palestinesi comuni e oppressi si sono confrontati quotidianamente con i soldati israeliani. Gli strumenti di questa resistenza, dal 1967 al 2005, sono stati principalmente la disobbedienza civile, gli scioperi generali, le proteste di massa e il lancio di pietre. Tuttavia, ciò è stato sufficiente per cacciare l’esercito israeliano da Gaza, ponendo fine al controllo quotidiano della Striscia in cambio di una nuova fase di occupazione militare.

L’ultimo giorno del dispiegamento israeliano, decine di migliaia di palestinesi erano scesi in strada nel centro di Gaza poco dopo la mezzanotte per affrontare i soldati israeliani mentre evacuavano l’ultima base militare, a est dell’area di Bureij. Senza alcun coordinamento preventivo, i giovani di Gaza avevano voluto inviare un messaggio all’esercito israeliano: non erano i benvenuti all’interno di Gaza, nemmeno nelle ultime ore del dispiegamento.

Gli israeliani dovrebbero riflettere su questa storia. Dovrebbero anche ricordare che l’urgenza israeliana nel fuggire da Gaza – sotto la guida di un famigerato generale dell’esercito, l’allora primo ministro Ariel Sharon – è avvenuta nonostante i palestinesi non avessero nemmeno un esercito e poche armi. La loro resistenza armata consisteva per lo più in milizie mal organizzate, sostenute dalla furia di centinaia di migliaia di persone stanche, occupate e oppresse.

Se Israele tornerà a Gaza, la sfida da affrontare nel governo della Striscia ribelle sarà molto più difficile. La popolazione di Gaza è aumentata esponenzialmente dal 2005. Inoltre, il più debole dei gruppi combattenti di Gaza comanda migliaia di uomini, pronti a combattere e a morire per tenere lontani gli israeliani.

Ancora più importante è che Israele non è riuscito a governare una sola Gaza, nonostante abbia cercato di farlo per quasi quattro decenni. Se decidesse stupidamente di tornare, dovrebbe fare i conti con due Gaza, una popolazione ribelle e rafforzata sul terreno e decine di migliaia di combattenti nel sottosuolo.

La verità è che Israele non ha alcuna opzione militare a Gaza, e coloro che sostengono che Tel Aviv abbia una qualche strategia militare in mente, si illudono allo stesso modo. L’unica soluzione per Gaza è la stessa anche per il resto della Palestina occupata: una chiara comprensione del fatto che il vero problema non sono il “terrorismo palestinese” o la “militanza”, ma l’occupazione militare, l’apartheid e l’assedio implacabile di Israele.

Se Israele non pone fine alle sue azioni illegali in Palestina, portando alla libertà, all’uguaglianza e alla giustizia per il popolo palestinese, la resistenza legittima in tutte le sue forme continuerà senza sosta.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi

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