
Il candidato del Front national che faceva da intermediario con l’ISIS
Siamo nel pieno della guerra siriana (tra il 2013 e il 2014) poco prima dell’ondata di attentati in Europa, quando già arrivano sugli schermi occidentali le brutali immagini delle decapitazioni messe in atto da Daesch. Lafarge (13 miliardi di euro di giro di affari) ha acquistato nel 2007 una delle più grandi fabbriche di cemento del Medio Oriente nei dintorni di Jalabiya, cittadina che si trova a 90 chilometri da Raqqa e intende proseguire i suoi affari siriani nonostante ormai si svolgano nelle zone controllato dall’ISIS. I dirigenti della multinazionale decidono quindi di aprire un tavolo di trattativa con le autorità del califfato. Stato islamico o altro stato in fondo cosa importa? Business as usal. In cambio dell’autorizzazione a continuare le proprie attività commerciali, il gruppo acconsente a comunicare le identità dei suoi dipendenti per ottenere un lasciapassare dall’ISIS [nella foto] e pagare regolare imposta ad Al Bagdadi. L’accordo ha inoltre altre implicazioni finanziarie come scambio di petrolio e fornitura di attrezzatura ad uso e consumo del califfato.
L’intesa sarà poi rotta qualche mese più tardi, nel settembre del 2014, a seguito del precipitare del conflitto siriano, quando i miliziani jihadisti decidono infine di impadronirsi del sito industriale. Jean-Claude Veillard è in quel momento dirigente responsabile della sicurezza del gruppo dopo aver supervisionato ogni fase dell’accordo dal quale dipendeva la sicurezza dei dipendenti. Sicurezza poi rivelatasi del tutto effimera visto che gli operai (240 addetti al momento dell’attacco) devono essere evacuati in fretta e furia. Come ha finito per riconoscere lo stesso gruppo francese in un comunicato stampa, l’azienda ha preso in quel momento misure “inaccettabili” per permettere di proseguire il funzionamento della sua fabbrica siriana. Questi “significativi errori di giudizio” sono costati il posto al direttore generale di cui è stata annunciata la dipartita per il 15 luglio mentre il candidato frontista resta per ora al suo posto
La notizia ha del clamoroso ma in fondo non stupisce neanche troppo. Al di là della retorica sulle “élite mondialiste” e le banche, il partito di Marine Le Pen è un partito degli affari. E quando si tratta di fare affari gli affaristi si riconoscono tra loro, che abbiano la tunica e il turbante o la giacca e la cravatta. La guerra non è forse essa stessa un grande business?
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