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Gli affari delle prime 100 aziende d’armi al mondo nel 2022

Lo scorso anno il fatturato delle prime cento aziende produttrici di armi ha sfiorato i 600 miliardi di dollari, in lieve calo rispetto al 2021. Ma questa contrazione non deve illudere: il Sipri fa osservare infatti che la corsa al riarmo farà vedere i suoi effetti -in termini di ordini e contratti per nuove commesse- già a partire dai prossimi anni.

di Ilaria Sesana, da Altreconomia

Le prime cento aziende produttrici di armi a livello globale hanno fatto registrare nel 2022 un fatturato complessivo pari a 597 miliardi di dollari, in lieve calo rispetto all’anno precedente. La diminuzione più significativa è quella delle aziende statunitensi (-7,9% in media, con un picco del 19% per Boeing e dell’8,9% per Lockheed Martin) seguite da quelle russe (12%), francesi (3,9%) e italiane (5,6%). I nuovi dati diffusi il 4 dicembre dal Sipri, l’Istituto indipendente di cerca sulla pace di Stoccolma, che si occupa di conflitti, armamenti, controllo delle armi e disarmo, non devono però trarre in inganno.

Non solo perché, nonostante la leggera contrazione, le entrate di questo settore restano più alte del 14% rispetto al 2015 (primo anno in cui Sipri ha inserito anche le società cinesi) ma soprattutto perché l’istituto ritiene che i molti ordini in sospeso e l’aumento dei nuovi contrati registrati nel 2022 si tradurranno presto in un aumento significativo dei ricavi per il comparto.

Le prime 20 industrie di armi della classifica delle “Top 100” a cura del Sipri

L’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia e le tensioni geopolitiche in tutto il mondo hanno infatti alimentato un fortissime incremento della domanda di armi e attrezzature militari nel 2022. A fronte di queste crescenti commesse, tuttavia, molte aziende statunitensi ed europee non sono riuscite ad aumentare in modo significativo la capacità produttiva a causa della carenza di manodopera, dell’impennata dei costi e delle interruzioni della catena di approvvigionamento, esacerbate dalla guerra in Ucraina. Inoltre, i Paesi committenti hanno piazzato i nuovi ordini tardivamente nel corso dell’anno e lo scarto temporale tra questi e l’avvio della produzione ha fatto sì che l’impennata della domanda non si riflettesse sui ricavi già nel corso del 2022.

“Molte aziende produttrici di armi hanno incontrato ostacoli nell’adattarsi alla produzione per la guerra ad alta intensità -ha spiegato Lucie Béraud-Sudreau, direttrice del programma del Sipri sulla spesa militare e la produzione di armi-. Tuttavia, sono stati firmati nuovi contratti, in particolare per le munizioni, che potrebbero tradursi in maggiori entrate nel 2023 e oltre”.

Andando a osservare più da vicino la classifica stilata dall’istituto di Stoccolma, si conferma il predominio delle aziende statunitensi nelle “Top 100”: nel 2022 le 42 società con quartier generale negli Usa -tra cui Lockeheed Martin, Raytheon technologies, Northrop Grumman corp, Boeing, General Dynamics corp che occupano saldamente le prime cinque posizioni- hanno fatto registrare un fatturato complessivo pari a 302 miliardi di dollari che nonostante il calo rispetto all’anno precedente (-7,9%) rappresenta ancora il 51% del totale dei ricavi.

Secondo i ricercatori, il trend negativo potrebbe appunto invertirsi in pochi anni. “Stiamo iniziando a osservare un afflusso di nuovi ordini legati alla guerra in Ucraina e alcune grandi aziende statunitensi, tra cui Lockheed Martin e Raytheon technologies, hanno ricevuto nuovi ordini di conseguenza -ha aggiunto Nan Tian, ricercatore senior del Sipri-. Tuttavia, a causa degli ordini arretrati di queste aziende e delle difficoltà nell’aumentare la capacità produttiva, le entrate derivanti da questi ordini si rifletteranno probabilmente sui conti delle aziende solo tra due o tre anni”.

Con le sue otto società attive nel settore -per un fatturato complessivo di 108 miliardi di dollari- la Cina pesa per il 18% sul totale dei ricavi delle prime 100 aziende del comparto bellico, piazzandosi così alle spalle degli Stati Uniti. Seguono le sette società con sede nel Regno Unito (41,8 miliardi di dollari di ricavi), le cinque francesi (26 miliardi) e le uniche due russe inserite nella top 100 con un totale di 20 miliardi di dollari. La scarsa presenza del settore bellico di Mosca si spiega con la crescente mancanza di trasparenza del comparto.

A differenza di quelle statunitensi, le 26 aziende europee finite sotto la lente del Sipri hanno registrato un leggero aumento delle entrate (più 0,9%) che hanno raggiunto quota 121 miliardi di dollari. “La guerra in Ucraina ha creato una domanda di materiale adatto a una guerra di logoramento, come munizioni e veicoli blindati. Molti produttori europei di questi articoli hanno visto crescere le loro entrate -ha affermato Lorenzo Scarazzato, ricercatore del Sipri-. Tra questi ci sono aziende con sede in Germania, Norvegia e Polonia”. La società polacca Pgz, ad esempio, ha aumentato le sue entrate del 14% beneficiando del programma di modernizzazione militare promosso dal governo di Varsavia.

Anche il fatturato delle due principali aziende italiane ha registrato un calo (-5,6%) nel 2022 rispetto all’anno precedente, in particolare Leonardo ha fatto segnare -7%. Sebbene i ricavi del settore aeronautico militare si siano ridotti nel 2022, in parte a causa della diminuzione delle consegne di Eurofighter al Kuwait, “i ricavi complessivi del settore d’armi sono cresciuti in termini nominali, ma non abbastanza da compensare gli effetti dell’inflazione”, fanno notare dal Sipri.

A differenza dei principali fornitori statunitensi ed europei, invece, le aziende del comparto bellico con sede in Asia, in Oceania e in Medio Oriente hanno visto crescere in modo significativo i loro ricavi nel 2022, “dimostrando la loro capacità di rispondere all’aumento della domanda in tempi più brevi”, sottolinea il Sipri. Ciò è stato particolarmente vero nei Paesi in cui le aziende mantengono capacità produttive “sempre calde”, come Israele e la Corea del Sud, e in quelli in cui le aziende tendono a fare affidamento su catene di fornitura corte.

Proprio le sette aziende con sede nei Paesi del Medio Oriente hanno fatto registrare nel 2022 l’aumento del fatturato più significativo a livello globale rispetto all’anno precedente (+11%) raggiungendo un totale di 17,9 miliardi di dollari- Nella regione “guidano” il novero le tre aziende israeliane Elbit Systems, Israel Aerospace
Industries e Rafael, con un fatturato di 12,4 miliardi di dollari, e le quattro turche (5,5 miliardi di dollari): due società con sede ad Ankara nel 2022 sono entrate per la prima volta nella Top 100 di Sipri: si tratta di Roketsan (al centesimo posto) e di Baykar (alla casella 76) i cui ricavi sono aumentati del 94% tra il 2021 e il 2022 grazie alla crescita delle vendite dei droni UAV Bayraktar TB-2 ampiamente utilizzati dall’Ucraina durante la guerra.

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