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Ambasciate USA ancora sotto attacco nei paesi arabi

Aggiornamento 16 set: Washington ordina di evacuare le ambasciate di Tunisi e Khartoum. Il grosso delle proteste continua in Afghanistan , dove molto conta anche un conflitto che perdura da oltre un decennio (oggi le bombe sganiciate da uno dei droni cari a obama hanno colpito un gruppo di donne e ragazzine che stavano raccogliendo legna: 8 di loro sono morte!).


Le rivolte contro le ambasciate americane e occidentali nei paesi arabi continuano a moltiplicarsi. A Khartoum in Sudan sono state attaccate le sedi diplomatiche tedesche ed inglesi e dopo gli scontri dei giorni scorsi continuano le tensioni in Tunisia dove i manifestanti sono riusciti ad ammainare la bandiera dell’ambasciata statunitense, in Libano gli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine hanno portato ad un morto, in Egitto e Yemen ancora oggi cortei di diverse migliaia di persone puntano verso gli edifici diplomatici.

Molte sono le note a margine di queste esplosioni di rabbia anti-americana che bisogna sollevare.

Dando per chiaro ed evidente che sicuramente le posizioni di integralismo religioso non possono interessarci, non ci si può esimere dall’analizzare la situazione che in questi ultimi giorni si sta dando sullo scacchiere mediorientale.

Innanzitutto pare chiaro ed evidente come i tentativi di gestione politica delle primavere arabe da parte del governo USA e di quelli occidentali in generale non abbia sortito in alcun modo gli effetti sperati, e proprio in quella Libia laboratorio di sperimentazione l’epicentro del fallimento è evidente. Lì dove giornali e media ricoloravano le rivolte e le insurrezioni di tinte occidentaliste tradivano fortemente la realtà. Non a caso i giornali nostrani e occidentali titolano di “tradimenti” e “ingratitudine” da parte dei paesi dove si sono date forti tensioni. Certo il sentimento anti-americano che scorre nelle piazze arabe è da riferire agli aspetti religiosi, ma senza dubbio sono anche altri i fattori che giocano la loro parte, in primis la questione palestinese unita a delle forme di rigidità forte al tentativo di governance statunitense nei confronti della “primavera araba”.

In questo contesto il muoversi dei governi occidentali, dopo un primo momento di spiazzamento, è stato subito indirizzato nel trovare in Al Quaeda il referente degli attacchi alle ambasciate.

Una mossa doppia, da un lato fatta per tentare di tenere ancora aperti i canali di gestione dei contesti rivoluzionari senza caratterizzarli subito negativamente e dall’altra, ai tempi della crisi totalizzante, per tentare di distrarre le popolazioni da una minaccia realmente pericolosa per i governi su un campo esterno e polarizzatore, capace forse di ricomporre quei cittadini americani e europei sempre più delusi dalle risposte date dall’alto sotto l’egida della difesa della propria civiltà e della propria cultura. Proprio allo scoccare delle elezioni, Obama si trova in casa una bella gatta da pelare che per certi versi è però anche occasione ghiotta e imperdibile.

Anche sul piano italiano la strategia è simile, con una Stampa schizofrenica che il giorno prima dell’attacco all’ambasciata in Libia titolava “Addio Al Qaeda la nuova paura è la grande crisi” su un articolo in prima pagina e il giorno dopo stimolava psicosi utilitaristiche coronate da un corsivo di Gramellini sulla medietà e le sue qualità.
Gli assalti di questi giorni mettono dunque in luce come i tentativi di ammansire le istanze della ‘primavera araba’ da parte dei governi occidentali, intimoriti dalla prospettiva di perdere il controllo della situazione mediorientale, abbiano lasciato dietro di sé una situazione tutt’altro che pacificata e che le contraddizioni e le tensioni irrisolte sono pronte a riesplodere, con maggiore forza laddove le aspirazioni egemoniche statunitensi si sono date con maggiore violenza.

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