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“NON VOGLIAMO TORNARE ALLA NORMALITA’ IN CUI I PROFITTI SONO PIU’ IMPORTANTI DELLA SALUTE DELLE PERSONE!” COMUNICATO CONGIUNTO DELLE REALTA’ DI MOVIMENTO DI BRESCIA, BERGAMO, CREMONA, PAVIA E PIACENZA

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Cosa è stato fatto per fermare il contagio? Cosa va fatto ora? Se lo chiedono le realtà di movimento di Brescia, Bergamo, Cremona, Piacenza e Pavia, che, a partire da questi interrogativi, hanno prodotto un comunicato intitolato “Non vogliamo tornare alla normalità in cui i profitti sono più importanti della salute delle persone!”.

Nella nota, firmata a più mani – Magazzino 47, Diritti per Tutti e CGA dal Bresciano, Barrio Campagnola da Bergamo, Controtendenza Piacenza, cs Dordoni di Cremona e Movimento Pavia, si ripercorrono cronologicamente i fatti più importanti degli ultimi 3 mesi e che hanno interessato alcune zone di Lombardia ed Emilia, quelle maggiormente colpite dal contagio.

Fatti che hanno messo a nudo l’inadeguatezza del sistema sanitario nell’affrontare l’emergenza, sopratutto a causa della gestione e preparazione da parte delle istituzioni, sia Locali, come Comuni e Regioni, fino a quelle centrali, come il Governo. E che di fronte all’imminente quanto confusionaria annunciata Fase2 fanno temere un possibile deja-vu.

Ne abbiamo parlato con Emanuele, compagno del Cs Dordoni di Cremona Ascolta o scarica

“NON VOGLIAMO TORNARE ALLA NORMALITA’ IN CUI I PROFITTI SONO PIU’ IMPORTANTI DELLA SALUTE DELLE PERSONE!

Ripercorriamo cronologicamente alcuni degli avvenimenti che hanno interessato le nostre zone, in particolare #Bergamo, #Lodi, #Brescia, #Piacenza, nel periodo compreso tra febbraio e aprile, durante il dilagare della pandemia. Si tratta di avvenimenti che rappresentano drammaticamente una gestione del tutto inadeguata dell’emergenza sanitaria da parte delle istituzioni di tutto il nord Italia e che mettono in mostra i rischi che tuttora corriamo:

20 febbraio l’ospedale di Codogno (Lodi) è stato chiuso al pubblico dopo che a un trentottenne è stato diagnosticato il Coronavirus.

21 febbraio: Codogno diventa immediatamente zona rossa e lo resterà fino all’8 marzo, il sindaco ha chiuso scuole ed esercizi commerciali.

22 febbraio: all’ospedale di Alzano Lombardo (Bergamo) vengono fatti i primi due tamponi, ma più pazienti con polmoniti interstiziali erano nei reparti già dal 10 febbraio segnalano fonti interne. Le vittime e i parenti sono a contatto senza che venga presa alcuna precauzione. A nessuno dei parenti dei contagiati viene suggerito di mettersi in quarantena. Il contagio dilagherà inarrestabile nei giorni successivi.

23 febbraio: il Pronto soccorso di Alzano Lombardo chiude per poche ore nel pomeriggio, poi viene sorprendentemente riaperto, si continua a lavorare senza percorsi differenziati e la sanificazione del Pronto Soccorso viene descritta come inadeguata dagli stessi lavoratori dell’ospedale, i quali devono anche fare turni massacranti nella totale scarsità di dispositivi di protezione individuale. Moltissimi tra medici, infermieri e personale degli ospedali contraggono il virus.
Il 24 febbraio una paziente minorenne ricoverata in Psichiatria a Alzano risulta positiva al tampone.

Il 25 febbraio il Direttore sanitario Marzulli scrive “in queste condizioni il Pronto soccorso di Alzano Lombardo non può restare aperto” , ma questo non servirà a far cambiare idea all’Assessorato al Welfare della Regione Lombardia.
La sottovalutazione di ciò che sta succedendo nella bergamasca fa sì che nessuno ancora valuti l’istituzione della zona rossa che invece è già entrata in vigore a Codogno e nei Comuni limitrofi e a Vò Euganeo in Veneto.
In Consiglio regionale il Presidente Fontana invita a non drammatizzare: “il virus è poco più di una normale influenza”. Le voci istituzionali si uniscono al coro delle leghe padronali che portano avanti il più ottuso negazionismo, mentre le vittime e i contagi aumentano di giorno in giorno.

28 febbraio: Confindustria diffonde il video #Bergamoisrunning e in contemporanea Confcommercio produce un altro video #BergamoNonSiFerma, accolto dal plauso del sindaco di Bergamo Gori, che offre, al prezzo di una sola corsa, trasporti gratuiti per affollare il centro città. Lo stesso atteggiamento è condiviso da altri personaggi in vista, come il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Anche in altre città, come per esempio Piacenza, le istituzioni girano il video #PiacenzaNonSiFerma. Diventa sempre più chiara la responsabilità di enti locali e imprese nella diffusione incontrollata del virus.
Salvini grida che bisogna riaprire tutto e Zingaretti va a farsi un aperitivo a Milano (risulterà in seguito positivo al Coronavirus… Per lui il tampone era a disposizione).

2 marzo: Il numero dei contagiati nella Val Seriana (provincia di Bergamo) è talmente alto che, con enorme ritardo, una relazione dell’Istituto Superiore di sanità suggerisce di istituire una zona rossa. Nella stessa relazione dell’Iss è contenuta l’indicazione di istituire una zona rossa anche nel paese di Orzinuovi (provincia di Brescia), dove la diffusione dei contagi è altrettanto preoccupante.

4 marzo: arrivano militari e forze dell’ordine per gestire la chiusura dei comuni di Alzano e Nembro, la voce della zona rossa rimbomba ovunque. Ma la decisione ufficiale non arriva.

5 marzo: il sindaco di Alzano, Bertocchi (Lega), dichiara: “Creare una zona rossa sarebbe un enorme dramma per il nostro tessuto economico”. Forti pressioni vengono fatte dalle associazioni degli industriali più forti sul territorio, Confindustria e Assolombarda in testa.

7 marzo: Il Presidente del Consiglio Conte annuncia una zona arancione unica in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. In Val Seriana non viene adottata nessuna misura particolare. Nella notte, prima che entri in vigore il Decreto, dal nord partono in migliaia verso le altre Regioni d’Italia.

8 marzo: una circolare della Regione Lombardia stabilisce che pazienti Covid devono essere spostati nelle RSA, creando focolai con un altissimo tasso di mortalità. Il Sistema Sanitario Nazionale è già al limite: anni di tagli alla sanità pubblica si riversano ora sulle vite delle persone.

9 marzo: le misure applicate al nord Italia vengono estese all’intero Paese.

10 marzo: Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana annuncia il conferimento all’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso dell’incarico di sovrintendere all’allestimento, all’interno dei locali di Fiera Milano, di un polo ospedaliero completamente dedicato ai malati di Covid. I posti letto previsti sono 400, i tempi di realizzazione una settimana.

15 marzo: Bertocchi, Sindaco di Alzano Lombardo, dichiara: “Volevamo la zona rossa, nessuno ci ha ascoltato”, contraddicendo le sue stesse dichiarazioni della settimana precedente.

22 marzo: con un DPCM vengono sospese tutte le attività industriali e commerciali non essenziali nell’ambito dell’emergenza. Oltre al clamoroso ritardo dovuto alla continua mediazione con gli interessi di Confindustria, occorre sottolineare come i settori classificati come “non essenziali” sono stati meno di quelli che avrebbero dovuto essere: su 23 milioni di lavoratori solo 8 milioni hanno visto una breve sospensione dal lavoro. L’Italia, in realtà, non si è mai fermata. Sempre in questi giorni, l’Italia supera la Cina per il numero di vittime da Covid-19.

31 marzo: viene inaugurato, in pompa magna, con una conferenza stampa affollata e noncurante delle distanze di sicurezza, l’ospedale Covid di Milano Fiera. È costato 21 milioni di euro per ospitare appena 20 malati, contro le centinaia annunciate, per mancanza di personale medico specializzato.

6 aprile: la Procura di Bergamo apre un’indagine per epidemia colposa e sequestra cartelle e documenti all’interno dell’Ospedale Fenaroli di Alzano Lombardo. Nelle settimane successive, anche la procura di Milano inizierà a indagare sulla gestione dell’epidemia nelle RSA meneghine, a partire dal caso del Pio Albergo Trivulzio.

7 aprile: Gallera in merito alle mancate zone rosse in provincia di Bergamo e di Brescia dichiara:“Ho approfondito, effettivamente c’è una legge che lo consente”. La credibilità delle autorità locali nella gestione della crisi sanitaria crolla completamente.

Oggi sui giornali, in televisione e nei discorsi dei politici si parla solo di Fase 2 e ripartenza. Il presidente del Consiglio Conte ha anticipato i contenuti del DPCM che sarà attivo dal 4 maggio 2020.

Bisogna evitare che la discesa della curva si traduca in un tragico “dejà vu” della tragedia che i nostri territori hanno vissuto nella fase ascendente della pandemia. Perché, alle condizioni attuali, il riavvio totale della produzione che abbiamo letto per mesi sulla carta stampata e che ora è stato ufficializzato dal Governo suona come una minaccia intollerabile. La #Lombardia ha già pagato un prezzo altissimo, dovrà rivivere gli stessi errori una seconda volta? Continueremo a vedere la continuità produttiva anteposta alla salute pubblica? Il governo della Regione continuerà ad adottare questa disastrosa gestione dell’emergenza? Il Governo Conte continuerà a sacrificare la salute delle persone per garantire agli industriali e ai grandi imprenditori i loro profitti? Urgono misure diverse, prima ancora dei comportamenti individuali, il grande problema sono le masse di persone obbligate ad andare a lavorare, molto spesso senza il rispetto delle condizioni di sicurezza.”

CSA Magazzino47 – Associazione Diritti per tutti – Kollettivo Studenti In Lotta – Barrio Campagnola – CSA DORDONI – MovimentoPavia – ControTendenza Piacenza

da Radio Onda d’Urto

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