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Guardando Malta da un call center

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“La posizione esistenziale chiave è: io sono OK e tu sei OK”. Reportage dalla nuova frontiera dello sfruttamento dove giovani italiani vengono spremuti nei call-center maltesi

Esiste una piccola isola, grande un quarto di Roma, dove la disoccupazione ha raggiunto i minimi storici (1,1% a novembre del 2017). In questo paese gli affitti sono alle stelle e si costruisce ovunque sia possibile. La bassa tassazione sul lavoro e gli incentivi alle aziende permettono a molte realtà di fare importanti investimenti. Un luogo dove recentemente un’autobomba ha ucciso una giornalista, Caruana Galizia, impegnata ad indagare sul traffico di droga, il riciclaggio bancario e il coinvolgimento della moglie del premier Muscat (Partito Laburista) nei Panama Papers.

A Malta sono arrivato dopo essermi candidato per la posizione di sales specialist, per un’azienda di costumer service che recluta personale tramite il sito AlmaLaurea. Ho effettuato il colloquio via skype con la rappresentante della sede di Roma che mi ha presentato la proposta di lavoro: contratto full time a tempo determinato per un anno a circa 1165€ netti, con la possibilità di rinnovo a tempo indeterminato, a circa 1365€ netti. 

L’arrivo sull’isola

Il call center si trova a Ta’ Xbiexin una via frequentata abitualmente da prostitute e tossicodipendenti. Le prime note dolenti sono legate all’orario di lavoro: i turni sono programmati settimanalmente e si può lavorare fino a tarda notte, percependo lo stesso compenso, in deroga al diritto maltese. Hai un solo giorno libero a settimana. Nei primi 6 mesi di contratto puoi essere licenziato in qualsiasi momento.

Dopo la formazione, inizio la prima settimana di lavoro e scopro che le ore lavorate sono 40 e le pause sono escluse dalla retribuzione. Sostanzialmente passo in ufficio 48 ore. Successivamente scopro di dover partecipare ad un workshop di “comunicazione relazionale” tenuto dal fondatore dell’azienda. Sono 16 ore di formazione non retribuita e obbligatoria. Nel corso dell’anno mi aspetta un secondo modulo obbligatorio e successivamente ulteriori moduli “facoltativi”. I colleghi più anziani mi spiegano che vieni licenziato se non partecipi. Il primo mese di lavoro mi sono ritrovato in azienda per due settimane senza un giorno libero. La settimana di formazione ho passato in azienda circa 64 ore.

La filosofia “OKness”

Il workshop di “comunicazione relazionale” è stato incentrato sull’analisi transazionale, il sorriso telefonico e l’empatia. La posizione esistenziale chiave è: “io sono OK e tu sei OK”. All’interno di un call center viene tradotto con una richiesta di non giudicare l’esigenza del cliente ma di gestirla, accompagnandolo verso l’acquisto dei prodotti, facendolo sentire OK in qualsiasi caso. Non importa se il cliente sia un compratore compulsivo o che sia convinto che degli integratori alimentari possano guarirlo da un tumore. L’importante è finalizzare l’acquisto.

L’essere OK nei confronti del cliente non è rivolto anche ai dipendenti. Ogni volta che ritardi, anche di un solo secondo, ricevi una mail che ti segnala il ritardo e, a determinate condizioni, ricevi anche una decurtazione dallo stipendio. Il caso opposto, cioè quando ricevi una chiamata che ti trattiene più del tempo previsto, non ti viene riconosciuta come straordinario. Per andare al bagno devi chiedere il permesso e solo dopo l’assenso, ti è concesso di alzarti dalla postazione. Vietato l’utilizzo dello smartphone e l’accesso tramite computer a qualsiasi sito internet. Oscurati alcuni siti. Vietato mangiare in postazione e l’azienda non fornisce acqua al personale. Vietata una postura scomposta in quanto rea di inficiare il “sorriso telefonico”. Ferie forzate a discrezione dell’azienda e inserite all’interno della programmazione come un normale giorno di riposo. Questi sono solo alcuni esempi. 

La struttura autoritaria e patriarcale dell’azienda

Il fondatore dell’azienda ha dato un’impronta autoritaria e patriarcale alla struttura. A capo della divisione maltese ha messo una ragazza molto più giovane di lui con cui ha avuto una relazione. Lei a sua volta ora è fidanzata con uno dei coach. In generale le mie colleghe hanno lamentato degli atteggiamenti “viscidi” nei loro confronti da parte del fondatore durante la formazione non retribuita. 

Il “cerchio magico” è saldato dalla condivisione della filosofia aziendale. I coach tramite il riascolto e l’affiancamento, tendono a farti sentire non ok per farti essere più produttivo. Nella loro struttura prevedono un nucleo di lavoratori stabili e di lavoratori di “passaggio”. Sono tantissimi i neolaureati che fuggono da questa azienda o vengono licenziati dopo pochi mesi. Alcuni scappano dopo la formazione e non passano neanche un giorno in cuffia. Se non ti pieghi alla filosofia aziendale e non accetti l’autoritarismo sottile con cui provano a manipolarti, vieni licenziato senza problemi da un momento all’altro. La performance conta tanto quanto l’accettazione dello schema aziendale.

Malta vista dalla finestra di un call center, restituisce la misura di quanto la flessibilità dei lavoratori e la loro disponibilità alla mobilità, sia la base sostanziale della precarizzazione della generazione Erasmus. Delocalizzare a Malta, attirare giovani laureati non “sindacalizzati”, spremerli e gettarli via all’occorrenza, danno atto di quanto sia arretrata l’attuale condizione del lavoro all’interno dell’Unione Europea. Si prendono il nostro tempo e realizzano profitto, restituendoci un futuro di sfruttamento lontano dal nostro paese. Solo a partire dal ribaltamento di questa condizione si può sperare in un futuro diverso, in Italia come in un qualsiasi paese dell’Unione Europea.

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