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Dal Brasile del miracolo economico a quello della lotta alle diseguaglianze. Intervista a Talita Tibola (pt.3)

 

7-Veniamo alla questione studentesca. Sicuramente centrali all’interno delle mobilitazioni di giugno, l’ondata di lotta nel mondo della formazione ha avuto un nuovo sussulto nella forte coesione intorno allo sciopero dei professori di Rio de Janeiro. Si può parlare di un mondo della formazione in agitazione permanente?

 

Si, nelle manifestazioni una grande percentuale è di giovani, da studenti medi fino a universitari e ricercatori. Molti frequentano scuole pubbliche, alcuni vanno alle proteste con le uniformi scolastiche.. si vedono poveri, neri, giovani delle favelas e delle comunitá. Nella fase “calda” dello sciopero, con la repressione, i professori e altri professionisti dell’educazione hanno organizzato marce che hanno riaggruppato i manifestanti di giugno. In questo momento hanno reincontrato giovani dell’etá dei loro allievi, o gli allievi stessi. Gli attori dell’educazione si sono riuniti in un altro scenario, in un luogo dove pure si impara e si insegna, a proposito della città e della politica. Il mondo della formazione è stato riconquistato, cambiando le coordinate, e ciò ha portato all’apparizione di elementi di autoformazione nella strada stessa. Un esempio di questo è stato la formazione del “Black Prof”, un ibrido risultato dell’incontro tra professori in opposizione alle pratiche del sindacato e la tattica del “black bloc”.

Qualche settimana fa, un professore della rete municipale mi raccontava che dopo lo sciopero, quando ha ripreso le lezioni, i suoi allievi gli chiedevano se lui fosse un black bloc. I giovani stessi introducevano il tema nella discussione, interessati a pensare la città in agitazione e loro stessi in quanto soggetti di questa cittá. Le proteste di ottobre, ovvero le proteste intorno alla questione dell’educazione, sono state importanti perché sono riuscite a collegare l’agenda di giugno – il rifiuto dell’aumento del prezzo dei biglietti, l’esigenza di una mobilità migliore per vivere nella città con dignitá-  – con un’agenda specifica dell’educazione, ma che ha pure a che vedere con questioni urbane più ampie. La OcupaCamara a Rio de Janeiro, per esempio, era una acampada davanti alla camera dei deputati che ha creato una commissione per fare pressione sulla Commissione di investigazione sulla monopolizzazione del settore dei trasporti. Allo stesso tempo é stata centrale nello sciopero dei professori, che hanno fatto dell’acampada il centro territoriale delle loro proteste.

Possiamo parlare di un mondo della formazione in permanente agitazione quando esso stesso non accetta le frontiere di quello che é chiamato mondo della formazione, quando questo mondo trasforma le sue frontiere. A spinta? Io credo che sia sempre a spinta, anche se “a spinta” può essere in tante maniere. Le quote razziali nelle università in Brasile, per esempio, sono state conquistate a spinta, anche se é stato un piano di governo, e allora per questo molti dicono che sia un piano assistenzialista. Ma sono state conquistate dopo tante lotte di movimenti durate tanti anni, e che hanno permesso che questo potesse succedere; è una conquista di movimento, che continua ad operare trasformazioni nelle università brasiliane, in una società ancora molto imperniata su una disuguaglianza di classe, razziale e di genere. Queste lotte e questa nuova composizione sociale si fanno vedere nelle proteste, le manifestazioni sono frutto di questo, ma i giovani che sono nelle proteste e che sono già nati dentro a queste politiche affermano che non basta e che vogliono di più! Stanno creando loro stessi il loro proprio movimento. Questo non vuol dire negare una storia politica, ma affermare la continuità di lotte che si sono sviluppate contro queste politiche della formazione.

Allora, per riprendere la questione: si può parlare di un mondo della formazione in agitazione permanente, agitazione che é fatta da collettivi, da gruppi studenteschi e professionisti dell’educazione organizzati; ma credo sia importante pensare che in Brasile  il mondo della fomazione in sè vive una trasformazione, l’universita si trasforma con le quote per neri e indigeni, perché si vede obbligata ad affrontare certi temi sui quali molte volte calava il silenzio. Credo che, pensando all’Italia, si può ragionare su come l’università può trasformarsi nel rapporto con i migranti, in quanto soggetto politico.Credo sia una questione fondamentale.

 

8-Che dire invece dello sviluppo di controistituzioni nell’ambito della comunicazione? Nuovi media indipendenti sono nati, così come è stato sviluppato un ottimo contro-utilizzo di strutture come Facebook (basti pensare alla campagna ironica sui “Black Prof”, contro la descrizione di black bloc disegnata su chi manifestava in maniera determinata contro le politiche dell’istruzione).

Nella stessa maniera in cui, con il crescere della repressione, i manifestanti hanno cominciato ad organizzare linee autonome di difesa delle proteste, é stato necessario organizzare un’autodifesa mediatica. I media hanno utilizzato basicamente due strategie. Da una parte, forgiare una dicotomia tra il manifestante buono, composto e pacifico, e il vandalo criminale. Le loro narrative erano sempre costruite da fuori e dall’alto (a volte letteralmente, con gli elicotteri), come se le proteste fossero cominciate pacifiche e legittime ed a un certo punto fossero stravolte dall’azione di  teppisti mascherati. L’altra strategia, parallela a questa, è stata cercare di detournare l’ordine del giorno delle proteste, cercando di dare loro una direzione in funzione delle necessità dei grandi media, che rappresentano le élites industriali agrarie e finanziarie del paese.

In gran parte, la seconda strategia non ha funzionato, o almeno si é fatto abbastanza rumore nella prima strategia, dovuto alla grande produzione di media indipendenti che hanno cominciato a coprire con streaming, blogs, siti, profili collettivi su facebook e twitter. Questi  media sono responsabili dell’aver reso più dense le narrative alternative, dal punto di vista delle proteste. Da questo punto di vista, Facebook ha avuto un ruolo  più importante di Twitter dovuto al fatto che più persone lo utilizzano in Brasile. Questa é una cosa da migliorare, anche per l’immediatezza dell’informazione. L’utilizzo di Facebook, come avete fato notare anche voi, é stato molto potente: l’esempio dei Black Prof infatti é stata una bella tattica, se pensiamo che delle pagine di contronarrazione é stato  uno dei pochi che non ha avuto la pagina chiusa. Questo probabilmente perché  non aveva tanta forza come gli altri – 70.000 likers il BlackBlock-RJ,  220.000 la pagina di Anonymous Brasile.

L’utilizzo di FB in Brasile dimostra che si é saputo approfittare della plasticità di questi strumenti, variando la maniera in cui possono essere utilizzati, sia per organizzazione, diffusione, discussione, campagne. L’impatto di questo é stato non solo in termini di contenuto, ma anche nella maniera di fare reportage, veicolare l’informazione. Il problema é che tutto questo contenuto, se resta solo nella piattaforma di FB viene perduto da noi che utilizziamo FB, e non da chi ci controlla.

Tutto questo apparire di nuovi mediattivisti é stato accompagnato da un intenso schema di monitoraggio e spionaggio – assunto apertamente dalle autorità – con l’idea di perseguitare opinioni e narrative nelle reti sociali. L’insegnamento immediato per noi, in Brasile, é che le contradizioni delle reti proprietarie devono essere prese in considerazione in qualsiasi tattica di comunicazione. Questa repressione online probabilmente crescerá con la federalizzazione del controllo ordinato dal governo Dilma, che riguarda non solo reparti digitali della polizia federale, ma anche l’agenzia brasiliana di inteligence (ABIN) stessa, per spiare i movimenti e gli spazi dell’organizzazione e della mobilitazione.

Esiste una grande produzione di media indipendenti, ma credo che in questo momento esista la necessità di rendere più forti i collegamenti tra i nodi di questa rete.

Rispetto alla prima strategia (la criminalizzazione) dei mass media, i media alternativi si sono sforzati al massimo per attuare (insieme ad avvocati, attivisti e gruppi per i diritti umani) un’azione mirata a decostruire le false accuse a manifestanti. Hanno anche esercitato un ruolo importante nelle denunce, incluso in ambito internazionale, nonostante tutta la precarietà della situazione. Anche a livello internazionale, l’obiettivo é rinforzare questa rete e queste connessioni, l’organizzazione delle diffusioni, non solo per denunciare con più forza le aggressioni e violenze del sistema penale, ma anche per permettere un contagio più fluido e globale dell’animo di lotta.

9 – Un altro tema davvero interessante è quello della questione religiosa. Papa Francesco, sudamericano, pare voler anch’esso sfruttare la china discendente del processo bolivariano per ripristinare una forte presa della Chiesa sulle fasce povere della popolazione. Eppure, nonostante i bagni di folla in occasione della GMG, non sono mancate le contestazioni da parte dei movimenti e in particolare di quelli attivi sulle tematiche di genere. Hai qualche riflessione a riguardo?

É difficile parlare di politica in Brasile, il più grande paese cattolico al mondo e pieno di sincretismi, senza parlare di religione.  Qui c’è stata un’espressione molto forte della Teologia della Liberazione (TL), con le comunitá ecclesiali di base e anche il movimento pastorale cattolico. Questi gruppi legati alla concezione cristiana di amore e povertà sono stati fondamentali per la sinistra degli anni ’70 e ’80, insieme alle leghe contadine e alla lotta per la terra, e sono state presenti in maniera significativa nella composizione del PT e dei movimenti sociali, come lo stesso MST (Sem Terra). L’espressione maggioritaria, istituzionale della Chiesa, che ha agito con forza contro questi movimenti e lotte, é molto conservatrice, ma non si può negare uma potenza trasformatrice che si muove dentro le reti religiose e comunità di credenti.
Se Papa Francesco si dimostra simpatico alla Teoria della Liberazione, come si può immaginare dal suo incontro con uno dei suoi leader, il peruviano Gustavo Gutierrez, e dal suo attegiamento empatico con i poveri..è anche vero che rispetto alle tematiche della TL non lo si è sentito prendere posizione. Ovvero, la TL è stata espulsa dalla Chiesa per le critiche che le faceva, per aver denunciato la centralizzazione del Vaticano e  i rapporti della Chiesa con le dittature. E su questo non abbiamo sentito parole da parte del papa.

Quello che sta succedendo in questo “ritorno al povero” del Papa sud-americano non è un ripresa delle tradizioni di lotta del cattolicesimo in Brasile, dove i poveri sono soggetti della propria emancipazione, ma, come dice Hugo Albuquerque “la cattura della potenza produttiva dei poveri” (http://descurvo.blogspot.com.br/2013/03/o-papa-francisco-e-ofensiva-contra.html). É in questo senso che credo sia interessante pensare questa visita del Papa al Brasile, a partire anche da un altro elemento che pone tensione su questa disputa di “territorio”: il Papa vuole riscattare i poveri delle chiese evangeliche, che si sono molto sviluppate negli ultimi anni. Oltre alle alleanze delle elites protestanti con il governo Lula-Dilma, il neopentecostalismo si costruisce “dal basso”, offrendo strutture di solidarietà, appartenenza e motivazione che per molte persone possono accompagnare le esigenze capitalistiche di un “nuovo Brasile”. Operando con priorità su una composizione sociale composta dai nuovi attori del mercato di lavoro e consumo (e con un’invidiábile infrastruttura di televisioni, radio e giornali) il neopentecostalismo é cresciuto dal 15 al 22%, tra il 2000 e il 2010 (dati del censo), mentre il cattolicesimo é sceso dal 74% al 65% della preferenza nazionale. É da qui che si dà una grande disputa, in termini religiosi, in Brasile: la GMG è anche parte di questa strategia.

Riguardo alle manifestazioni, in varie marce e assemblee era presente l’agenda LGBT, a partire da gruppi organizzati oppure attivisti individuali con cartelli, striscioni e slogan.  Nella GMG a Rio de Janeiro, é scoppiata una manifestazione con più o meno 1.500 persone, organizzata dalla “Marcha das Vadias” (Slut Walk), che protestava contro l’omofobia istituzionalizzata. Un obiettivo di questa campagna é quello di protestare contro il presidente della commissione dei diritti umani della camera dei deputati, il Pastore evangélico Marco Feliciano, che é del partito alleato del governo e professa posizioni apertamente omofobiche, avendo creato persino la proposta della “guarigione gay”. In questa lotta, intanto, la Chiesa non é meno nemica delle chiese evangeliche.

Mi domando quanto affermare la china discendente del processo bolivariano però non sia già profetizzare questa discesa, nella stessa maniera (anche se diversa nel contesto) che dicevo prima riguardo a chi si domanda se é finito il periodo di “rivolta brasiliana” quando si é in 50 mila per strada. L’idea di una discesa del processo bolivariano data dalla morte di Chavez, non è forse una contraddizione della proposta politica stessa del processo bolivariano, nella quale era il popolo che sosteneva Chavez? Credo che sia una questione ancora aperta.

10- In un bell’articolo di giugno scorso del sociologo Sousa Santos si tematizzava la questione del forte movimento per la democrazia partecipativa in Brasile..” [..] la rivendicazione della democrazia partecipativa, che rimonta agli ultimi 25 anni e che ha avuto i suoi punti più alti nel processo costituente per la Carta magna del 1988, nei bilanci partecipati sulle politiche urbane in centinaia di municipi, nell’impeachment al presidente Collor de Mello nel 1992, nella creazione di consigli dei cittadini nelle principali aree delle politiche pubbliche, specialmente nel campo della salute e dell’istruzione, a diversi livelli dell’attività statale (municipale, regionale e federale) [..]” A seguito delle proteste di giugno c’è stato anche un processo, indignados-style, di costituzione di nuove assemblee nei barrios in cui le lotte prendevano nuova linfa. Che livello di decisionalità, di contro-potere queste sono riuscite a imporre nella vita di tutti i giorni? Che ci puoi dire di questa dinamica?

Un’altra volta, vale la pena ritornare a un momento costitutivo del periodo post-dittatura, che é stato il decennio degli anni ’80, quando i movimenti si sono organizzati attraverso quello che era l’appena fondato PT.  In quel decennio, è successo un primo passo avanti in termini di democrazia partecipativa, basata su un lavoro dei nuclei di base, gruppi di cooperazione, pastorali e varie associazioni di abitanti. Questo ha coinciso con l’arrivo al potere municipale del PT in alcuni comuni. Una delle politiche pensate in questo periodo, a partire dai laboratori costruiti con partecipazione popolare, è stato lo stesso “passe livre” (tariffa zero nei trasporti pubblici) durante la gestione di Luiza Erundina, nel periodo 1989-93, della cittá di São Paulo. Questa política, a causa della forte reazione dei settori conservatori del mercato degli autobus, é rimasta solo come progetto. Un’altra esperienza risultante di questo periodo é stata il budget partecipativo, iniziato nel 1989 nella missione di Olivio Dutra, sempre del PT,  come sindaco di Porto Alegre.
L’impeachment di Collor del 1992, diversamente, é piu legato a un movimento di marce, in consonanza con l’azione dei mass media, dove la principale agenda consisteva nella “lotta contro la corruzione”. Collor era un rappresentante delle antiche elites agrarie della regione povera del nordest; con l’impeachment è stata aperta la strada per il primo governo socialdemocratico e neoliberale di Fernando Henrique Cardoso, fortemente supportato dai settori conservatori più illuminati dell’industria, della finanza e dei grandi media. L’accento sull’anticorruzione del 1992 aveva come principale segno i colori verde e giallo con i quali i manifestanti si dipingevano. Li hanno chiamati “caras-pintadas” (facce dipinte) e sono stati invocati dai media all’inizio delle proteste di giugno. Questo tentativo di dare alle proteste un viso simile a quella degli anni di Collor è stata un’altra delle tattiche dei media per cercare di collegare le proteste di giugno all’agenda dell’anticorruzione, in modo da non toccare i punti della violenza di classe e di razza, agende concrete e strutturali nel paese, dato che la corruzione non é mai trattata come una questione strutturale dai media, ma sempre come una questione morale.
Questo per contestualizzare un pò come vedo alcune delle cose che vengono citate da Sousa Santos; vedo questo ciclo di assemblee che nascono a partire dalle manifestazioni – e che voi chiamate indgnados-style – in una maniera un pò diversa dal periodo a cui si riferiscono le sue parole.  Sono assemblee, tante volte, che si concentrano intorno a qualche occupazione di una piazza al fine di costruire percorsi di autonomia, e non mirati a produrre politiche e programmi rivolti a governi di sinistra, come negli anni 80.

Credo che la rilevanza del ciclo Occupy e Indignados si può sentire, non solo dal fatto che c’é stata un’esperienza di occupazioni legate a questo ciclo in Brasile, ma anche da tutta una geografia socio-politica brasiliana. Quando il ciclo Occupy é arrivato qui, nell’ottobre del 2011, ha incontrato una forte tradizione di occupazioni popolari. Prima di qualsiasi cosa le favelas, che dall’inizio del XX secolo sono occupazioni permanenti, autonome e in costante produzione di resistenza. Un’altra tradizione importante é quella degli squats: solo nel centro della città di San Paolo esistono 30 palazzi occupati. Barbara Szaniecki, nel testo “Amar é a Maré Amarildo” (http://uninomade.net/tenda/amar-e-a-mare-amarildo-multidao-e-arte-rj-2013/) ci dà ad esempio un panorama di come le occupazioni e le favelas prefigurino già forme di convivenza e di cooperazione per la costruzione di un’altra cittá.

In questo contesto di intenso conflitto per il territorio urbano, il ciclo Occupy é arrivato in Brasile facendo proliferare le occupazioni in piazze e di altri posti centrali delle cittá, raggiungendo il suo punto massimo a San Paolo e Rio de Janeiro, dove sono rimaste per alcuni mesi acampade di 150 o 200 tende. É stato un fenomeno in scala molto minore rispetto ad altri paesi e cittá, peró ha avuto un’importanza qualitativa. Una cosa che hanno permesso le Ocupas é stato mischiare tante realtá diverse: dallo studente, al senza tetto, dal militante “duro” al mediattivista e cosi via; portando una realtà piu complessa e violenta al centro di collettivi e movimenti. In questo senso si può capire il fatto che siano nate ocupas organizzate a partire dalle favelas, come OcupaAlemão e OcupaBorel. Queste due erano e sono reti specifiche contro le azioni di pacificazione della polizia nella favela.

Quando sono scoppiate le manifestazioni di giugno, questa tradizione si é riattivata, già qualificata dalle reti create precedentemente, ma con ancora più forza grazie al radicamento nella società in generale. La OcupaCamara, della quale abbiamo già parlato precedentemente, é stata organizzata davanti alla Camera dei rappresentanti comunali (e per un periodo dentro all’edificio della Camera municipale), dove sono stati messi in discussione sistematicamente gli accordi del governo con imprese di autobus, treni, mercato immobiliare e grandi imprenditori. Un’altra occupazione importante e che ha uno “stile” un pò ereditato dal ciclo Occupy é il campeggio (OcupaCabral) davanti alla casa del governatore di Rio, da dove sono partite diverse campagne autonome di lotta. Queste occupazioni continuano a essere chiamate occupazioni anche se non in tutti i casi hanno le tende perchè sono state sgomberate, ma le assemblee sparse per la città persistono.
Sono servite infatti, e servono, come nodi importanti di un movimento di contropotere che non si arresta nei territori, ma che invece circola tra i vari punti del conflitto e contrasta con i poteri costituiti dello stato e mercato.

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