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Congresso costitutivo di Potere Operaio

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Dopo la fine della vertenza contrattuale, che aveva accompagnato le lotte autunnali e che aveva visto una sostanziale vittoria del sindacato, si aprì all’interno del gruppo di Potere Operaio una discussione interna su come proseguire il percorso di lotte, visto il venir meno del terreno su cui il gruppo era cresciuto.

Già da qualche mese si era aperto un dibattito interno sulla necessità di dotarsi di un’organizzazione e di una struttura più rigide, in grado di permettere il superamento delle fasi di stanca delle lotte, quale quella che si stava attraversando.

Proprio questa questione sarà alla base e il sostanziale motivo della convocazione del primo congresso nazionale di organizzazione di Potere operaio, che ne rappresenta sostanzialmente la creazione.

Dal 9 all’11 gennaio 1970 si tenne a Firenze, nei locali del circolo Faliero Pucci in via Marconi, il convegno costitutivo di Potere Operaio.

Ad introdurre fu Sergio Bologna con la sua relazione “Classe e capitale dopo l’autunno” in cui sosteneva, tra le altre cose, che il capitale avrebbe in tutti modi cercato di sfaldare la ricomposizione di classe che si era creata dopo l’autunno, innanzitutto tentando di porre un freno all’immigrazione verso le vecchie aree di industrializzazione.

Dopo di lui parlò Toni Negri che iniziò il suo intervento dall’idea che “l’autonomia ha raggiunto il tetto” e che la classe operaia, di per sé stessa, non avesse la forza per compiere il passo decisivo verso la rivoluzione. Egli poneva così il problema dell’organizzazione, che, diceva Negri, “non abbiamo mai visto in termini di avanguardia esterna; lo poniamo invece tutto dentro i livelli di classe, lo poniamo tutto dentro quelle che sono una possibilità e una capacità soggettive di rappresentare di volta in volta coscientemente le varie fasi dello scontro e della massificazione”

Negri sosteneva che il capitale si trovava in una situazione di difficoltà e che per recuperare la sua stabilità avrebbe da un lato aumentato la produttività, dando un duro colpo alle condizioni dei lavoratori, dall’altro lato aumentato l’inflazione come conseguenza ad un aumento dei prezzi, riprendendosi così quello che aveva dovuto concedere a seguito delle lotte.

Negri concluse il suo intervento ponendo l’attenzione sulla proposizione “rifiuto del lavoro”, spiegando in particolare i tre significati che questi termini assumevano: il rifiuto operaio ad accettare il lavoro come sistema di fabbrica, il rifiuto del sistema capitalistico in quanto tale e quindi dello sviluppo, il rifiuto della fatica che abbruttisce le vite, e si soffermò quindi sulla conseguente volontà di aspirare ad una società nuova.

Durante il convegno Franco Piperno esplicitò questa questione interna, dicendo che lo scontro era tra i favorevoli e i contrari alla struttura del partito: a Toni Negri e agli autonomisti che sostenevano che il partito fosse ormai una cosa vecchia, Piperno rispose che esso era effettivamente vecchio, ma lo era come una forchetta, di cui però non si può fare a meno.

La risposta a Bifo e a quelli che la pensavano come lui, in particolare i militanti delle sedi di Porto Marghera, Padova, Ferrara, Bologna e Torino, arrivò in un articolo, intitolato “Lotta di massa e lavoro del partito” nel numero successivo del giornale in cui si sosteneva che davanti all’attacco di capitale e Stato, la lotta autonoma della classe non era più sufficiente.

Il dibattito quindi non si concluse certo qui, ma continuò sulle pagine del giornale e non solo, tra alti e bassi e cambiando spesso sfumature, ma accompagnando il gruppo fino al suo scioglimento.

La decisione di costituirsi in organizzazione non era totalmente condivisa, e il dibattito continuò a lungo anche sulle pagine del giornale. Sfavorevole era in particolare l’area veneto-bolognese.

A schierarsi in contrasto fu in particolare Franco Berardi che, nel suo intervento al congresso, sostenne che l’organizzazione andava vista dentro la tattica e la classe sotto la strategia. Secondo Bifo l’organizzazione era quindi la tattica e la classe la strategia.

“C’è una proposizione che ha circolato molto nel nostro discorso: l’organizzazione come tattica, la lotta operaia come strategia. Bene oggi non più. Oggi veramente l’organizzazione è diventata un elemento strategico.” E continuava: “Questo vuol dire conquistare il leninismo, conquistare la pratica della disciplina rivoluzionaria, conquistare la pratica dell’uso coordinato, continuo, sistematico della strategia e della tattica; avere la capacità di cogliere in tutti i momenti dello sviluppo capitalistico la possibilità di inserire la rottura operaia, il cuneo dell’organizzazione rivoluzionaria…”

Lo stesso congresso si concluse con il proposito di tenere successivamente convegni in altre città per approfondire i problemi che erano stati posti e superare le situazioni di contrasto che si erano delineate.

Guarda “Inno di Potere Operaio”:

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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