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Israele bombarda l’Anp a Hebron

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Nella notte del 29 giugno 2002 l’esercito israeliano fece saltare in aria la Imara, sede dell’Autorità Nazionale Palestinese nella città di Hebron, costruita negli anni ’30 dal Mandato britannico. Il quartier generale di Hebron era l’edificio pubblico palestinese più grande della città più popolosa (600.000 abitanti) della Cisgiordania.

Il complesso, dove avevano sede gli uffici dell’Autorità Nazionale Palestinese e della polizia, era sotto assedio ormai da giorni. Dopo l’ingresso dell’esercito israeliano in città 120 persone, che lavoravano nell’edificio, si erano consegnate. All’interno rimanevano solo più 15 uomini. Durante l’assedio i militari avevano tagliato la corrente elettrica, lasciando l’edificio di più di dodicimila metri quadrati nella totale oscurità.

Per costringere i quinidici asserragliati alla resa gli uomini del colonnello Dron Weinberg avevano provato di tutto: dal alncio di razzi dagli elicotteri Apache ai colpi di cannone, dalle ruspe che avevano aperto una breccia nel muro esterno alla lotta psicologica (alcuni padri dei ricercati erano stati fatti entrare nell’edificio per cercare di convincere i figli ad arrendersi).

Nel pomeriggio del 29 giugno un ex ministro palestinese, Talal Sadr, aveva ottenuto il permesso di accedere alla sede dell’Anp, era entrato nel complesso per tentare di convincere i 15 a consegnarsi ma era uscito poco dopo dicendo che dentro non aveva trovato nessuno.

Dopo questo tentativo i vertici israeliani cominciarono ad essere impazienti, temendo di ripetere l’ennesimo assedio interminabile come quelli del Muqta di Ramallah e della chiesa della natività di Betlemme. L’ultima opzione, suggerita dal colonnello Weinberg, era quella di far saltare in aria l’intero edificio: in serata il capo di stato maggiore Shaul Mofez diede il via libera all’operazione.

La prima detonazione fu udita alle 23 di sera, la seconda, ancora più forte, 4 ore dopo. Ingenti cariche di tritolo fecero saltare in aria l’edificio. Dopodichè entrarono i bulldozer a spianare la strada ai soldati: i militari poterono così avanzare tra le macerie sparando. Un portavoce militare israeliano dichiarò che avevano invitato i “terroristi” ad arrendersi ma non erano stati ascoltati, da lì la decisione di chiamare i genieri con le cariche.

Quando, alle prime luci dell’alba, i soldati israeliani andarono a scavare tra le macerie, coadiuvati anche da cani specializzati nel rilevare presenze umane, non trovarono alcuna traccia dei quindici ribelli.

Nulla si saprà delle 15 persone che si trovavano all’interno. Drigenti palestinesi dichiareranno che la loro sensazione era che i militari israeliani avessero assediato un edificio vuoto e che i 15 palestinesi erano riusciti a fuggire da un cunicolo, prima delle esplosioni.

Nei giorni precedenti il ministro della difesa israeliano Benyamin Ben Elizier, l’uomo che ordinò la distruzione del quartier generale, aveva pubblicato un articolo in cui esprimeva il suo sostegno all’iniziativa di pace saudita e alla costruzione di uno stato palestinese.

Guarda “La Seconda Intifada – OVO“:

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