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Curcio evade da Casale Monferrato

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Nel pomeriggio del 18 febbraio 1975 Renato Curcio viene fatto evadere dal carcere di Casale Monferrato, dove era detenuto da circa tre mesi.

Franceschini era stato poi portato al carcere di Cuneo, da dove aveva cercato di fuggire due mesi dopo, aiutato dai compagni all’esterno; Curcio, invece, era stato trasferito prima a Novara e poi a Casale Monferrato, struttura con pochi reclusi dove si pensava sarebbe stato più facile tenerlo d’occhio.
Per più di due mesi i brigatisti avevano studiato il piano per l’evasione: l’esterno e l’interno del carcere, la posizione dei fili del telefono e soprattutto vie e stradine per fuggire dopo l’azione, e raggiungere, evitando i posti di blocco, la Liguria.
Alcuni giorni prima della liberazione di Curcio avevano inoltre rubato una decina di macchine poiché nella strada in cui avevano deciso di fuggire era presente un passaggio a livello che sarebbe stato chiuso al momento dell’evasione, ed era quindi necessario attraversare i binari a piedi e salire su altre macchine.

Nella riunione preliminare all’azione alcuni brigatisti, tra cui Mario Moretti, si erano dichiarati contrari, sostenendo che l’attacco avrebbe avviato una guerra tra apparati, tra Stato e BR, guerra che non aveva un referente sociale. La maggioranza, che alla fine avrebbe prevalso, affermava invece che il riferimento era la classe operaia, poiché la vera funzione del carcere è di dissuadere chi i reati non li ha ancora commessi, e l’obiettivo, con un’azione del genere, era di smontare questa deterrenza.

L’azione avviene nel pomeriggio di martedì, giorno di visita all’interno del carcere; il giorno prima i brigatisti avevano avvertito Curcio del loro arrivo con un telegramma che diceva “sta arrivando il pacco”.
Alle 16,15 circa, due auto, secondo le testimonianze riportate il giorno dopo su “La Stampa”, si fermano vicino al carcere, in via Leardi. Scendono un uomo e una donna, poi identificata in Margherita Cagol.
La donna suona al campanello annunciando di dover consegnare un pacco; quando l’agente di custodia apre la porta si trova un mitra puntato allo stomaco. Subito dopo arrivano altri tre uomini, con una scala, che tagliano i fili del telefono a tre metri di altezza.
La guardia viene costretta a chiamare il maresciallo dal quale si fanno aprire tutte le porte fino alla cella di Curcio. Direttore e agenti di custodia vengono poi chiusi a chiave in una cella, le chiavi vengono buttate sul marciapiede di fronte al carcere. I brigatisti se ne vanno, lasciando il pacco all’interno del penitenziario. I poliziotti aspetteranno poi gli artificieri per aprirlo e lo troveranno pieno di carta straccia.
Il Ministero dell’Interno aprirà un’indagine per accertare le responsabilità. La risposta dello Stato sarà l’istituzione di carceri speciali e di massima sicurezza per i detenuti politici e la promulgazione della cosiddetta Legge Reale.

Per i brigatisti invece si porrà il problema del rifinanziamento. Il 4 giugno verrà rapito, per questo motivo, l’industriale Gancia a Canelli, in provincia di Asti. Il giorno successivo una pattuglia di Carabinieri tenterà di entrare nella cascina, apparentemente abbandonata, in cui si trovava l’ostaggio. Nel conflitto a fuoco che ne seguirà verrà prima ferita poi uccisa Margherita Cagol.

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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