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Le BR assaltano la sede Msi di Padova

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La settimana prima del 17 giugno 1974, Roberto Ognibene, uno dei fondatori del nucleo storico delle Brigate Rosse insieme a Gallinari, Franceschini e Curcio, si introduce nella sede del Movimento Sociale Italiano di Padova fornendo generalità false e dichiarandosi simpatizzante del partito. Il sopraluogo ha la funzione di pianificare l’azione che compiranno le BR con lo scopo di prelevare documenti informativi sull’estrema destra veneta e padovana e segnare simbolicamente una “violazione di territorio” nei confronti dei fascisti.

Intorno alle 9,30 di mattina del 17 giugno cinque militanti della colonna veneta delle Brigate Rosse assaltano la sede del MSI di via Zabarella 24. La ricostruzione dei fatti avviene sulla base della confessione di Susanna Ronconi, anch’ella presente durante l’azione con funzione di retroguardia e recupero del bottino; all’esterno della sede si trovano Giorgio Semeria, col ruolo di autista e Martino Serafini, con funzioni di sentinella in caso di arrivo di forze dell’ordine, mentre Roberto Ognibene e Fabrizio Pelli si occupano dell’esecuzione materiale dell’incursione.

All’interno della sede i brigatisti trovano Graziano Giralucci, militante missino di Padova, e Giuseppe Mazzola, ex carabiniere bergamasco e contabile del partito. I due vengono subito perquisiti e portati in una stanza attigua; Mazzola tenta però di disarmare Pelli, mentre Giralucci aggredisce Ognibene afferrandolo per il collo. La colluttazione si conclude con l’esplosione di alcuni colpi di pistola che dapprima colpiscono e poi uccidono i due missini.

L’omicidio, il primo effettuato dalle Brigate Rosse, viene rivendicato il giorno successivo, nonostante le perplessità della colonna veneta e dei vertici dell’organizzazione, tramite una telefonata alla sede di Padova de Il Gazzettino e due volantini lasciati in altrettante cabine telefoniche di Milano e Padova. Il volantino comunque, specifica che, pur essendo responsabili degli omicidi, le BR seguivano un’altra linea e che i delitti non erano stati pianificati dall’organizzazione. Lo stesso Curcio definì l’episodio “un errore molto grave e un disastro politico”, dal momento che all’epoca l’organizzazione escludeva del tutto l’idea di uccidere consapevolmente per scopi politici, considerandola un’idea altamente dannosa e controproducente per il rapporto delle Brigate Rosse con i suoi sostenitori.

Nonostante le diverse testimonianze, in special modo quella di Susanna Ronconi, abbiano sempre sostenuto la tesi dell’omicidio “per reazione” in risposta al tentativo di Giralucci e Mazzola di disarmare i due brigatisti, la Corte d’Assise ha confermato la condanna a tutti gli imputati (escluso Pelli, deceduto l’8 agosto 1979) per omicidio volontario e concorso in omicidio volontario. Anche Curcio, Franceschini e Moretti sono stati condannati per l’episodio in quanto mandanti morali dell’omicidio dopo che, il 9 dicembre 1991, il tribunale ha confermato la tesi secondo cui le Brigate Rosse nel 1974 erano già costituite con un nucleo centrale pienamente coinvolto nella vicenda, di cui Curcio e Moretti erano i capi.

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