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Fra Dolcino verso il biellese

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Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi, tu che forse vedrà il sole in breve, s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, che altrimenti acquistar non saria leve». Anche Dante Alighieri volle ammonire Dolcino: l’inverno nelle Alpi è terribile, ricorda di armarti di cibo; sarai bloccato dalla neve. Dolcino ricordalo altrimenti raggiungerai tutti gli eretici che bruciano all’inferno. Gli apostolici vissero nelle balme e nelle grotte messe a disposizione dalla comunità montanara. L’inquisizione sembrò giocata, battuta. Arrivò l’inverno sulle montagne, e con esso il freddo e il gelo che tutto blocca e tutto distrugge. Devastò il morale degli uomini ancor prima che la loro resistenza fisica. Il cibo non bastò, troppe bocche da sfamare. Dolcino decise di scendere a valle con alcuni uomini. La parte finale dell’avventura apostolica ebbe così inizio. Il capo dei guerriglieri decise di scendere a Varallo per rastrellare risorse, soldi. Quale migliore occasione che catturare il Podestà del piccolo borgo ai piedi della Valsesia e chiedere denaro per il riscatto? L’inverno inesorabile avanzò ghiacciando i torrenti e distruggendo i ponti di collegamento tra le valli. Troppe persone erano giunte al Forte della Speranza e tra essi una moltitudine di donne e bambini. Il 9 marzo del 1306 il rifugio di Parete Calva fu abbandonato. Con esso i cadaveri di coloro che non avevano resistito al lungo inverno. La direzione del nuovo pellegrinaggio della speranza furono le montagne del Biellese. Un cronista del tempo definì impensabili le vie battute dai fuggitivi, tra ghiaccio e neve. Alla fine dell’inverno del 1306 la carità umana fu irrimediabilmente abbandonata.

Alcuni giorni dopo i fuggitivi s’insediarono a Monte Rubello. Dolcino ringhiava nella valle sottostante tutto il suo odio, il suo disprezzo per quelle gerarchie che, secondo lui, l’avevano portato in quella parte del mondo. Saccheggiarono dapprima Trivero e in seguito i paesi limitrofi. Necessitavano di cibo per resistere. Gli eserciti schierati per la sua cattura furono nuovamente giocati. Ma la Chiesa ha mille risorse, non solo economiche. Trasformò la guerriglia in guerra a viso aperto. Dolcino, ringhiante, decise d’attendere le milizie vescovili. Monte Rubello si trasformò. Le grotte e le balme divennero case; furono scavati pozzi e gallerie sotterranee. Le vette limitrofe furono dotate di piccoli fortilizi di difesa, ma soprattutto di guardia. All’interno della contesa si affacciò l’uomo forte che la Chiesa tanto desiderava: il vescovo di Vercelli Raniero Avogadro. L’uomo di chiesa, trasformato in combattente, decise di guidare personalmente le milizie vescovili, inquisitoriali e comunali. Raniero Avogadro decise di chiedere l’aiuto del Papa, degli inquisitori lombardi, del Duca di Savoia e dell’arcivescovo di Milano. La battaglia finale ebbe inizio. Dolcino e i suoi si muovono come cani rabbiosi. Il primo scontro avvenne presso Mosso, dove l’esercito di Avogadro fu duramente sconfitto. Ma giunse un altro inverno. Il freddo bussava, i denti battevano. Gli uomini di Dolcino arrivarono ad un tale punto di miseria che una volta morto un loro compagno, gli prendevano le carni, le mettevano a bollire e le mangiavano a causa della penuria di cibo. Malgrado quest’ultimo disperato tentativo di salvezza i ribelli cedettero, nella mente prima ancora che nel fisico. Tra il dicembre del 1306 e il marzo del 1307 si consumarono le ultime tragedie. L’esercito del vescovo Avogadro partì all’attacco. Erano organizzati e ben nutriti. Dolcino e i suoi uomini, disperati, scesero a valle ricordando le bestie selvatiche affamate di sangue. Il 23 marzo del 1307 fu l’ultimo giorno da uomo libero del predicatore divenuto combattente. Si consumò una sola giornata di guerra. La Chiesa vinse. Furono catturati vivi oltre 140 apostolici, tra cui Dolcino e Margherita Boninsegna. Furono tradotti nelle carceri vescovili di Biella.

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