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Assassinio di Martin Luter King

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4 aprile 1968: un proiettile calibro 30-60 sparato da un fucile di precisione colpisce alla testa il leader nero Martin Luther King, uccidendolo sul colpo.

Nella stanza dell’albergo Lorrain Motel di Menphis, Tenessee, veniva così ucciso uno dei leader storici del movimento contro la segregazione e per i diritti dei neri.

King, attivista e pastore protestante, dedicò la sua intera vita alla causa dei diritti civili della popolazione di colore. Rappresentò e fu di fatto la guida di tutta quella l’area del movimento nero che abbracciava il metodo della non violenza e del riformismo, che da sempre si era opposta al resto del movimento che si poneva l’obbiettivo di una rivoluzione armata per la liberazione del popolo afro-americano contro il razzismo.

Nonostante la sua appartenenza all’area più moderata e istituzionale del movimento, collaborò con le organizzazioni comuniste giovanili statunitensi, e con il resto del movimento afro-americano.

Di fatto king e tutta l’area pacifista rappresentarono e furono una sponda per le istituzioni bianche del governo degli Stati Uniti: l’appoggio dei Kennedy e dei riformisti bianchi consacravano l’appartenenza di king alla piccola borghesia nera e tutta quella parte di afroamericani che non avevano interessi in un’insurrezione armata dei neri e delle altre minoranze.

Il rifiuto della violenza, contestualizzato nel movimento di quegli anni, fu uno strumento uitilizzato dai riformisti per arginare la lotta messa in atto dalla stragrande maggioranza dei neri. Infatti negli anni ’50, ’60 e ’70 furono numerosissime le esperienze di difesa armata dei ghetti neri, di attacco ai commissariati e alla polizia, il saccheggio dei negozi dei bianchi e gli attacchi ai quartieri benstanti.

Criticare la scelta storica della nonviolenza da parte di King, vuol dire restituire la giusta dignità spesso rubata dal revisionismo storico, alla lotta dei rivoluzionari neri che si offrirono in prima persona per riscattare la loro gente da più di quattrocento anni di sfruttamento e violenze da parte della borghesia bianca statunitense.
Il governo americano, in particolare l’amministrazione Kennedy, sfruttarono King e l’area pacifista del movimento per controllare indirettamente il movimento insurrezionale nero.

Nei giorni seguiti all’assassinio il presidente degli Stati Uniti si appellò al buon senso delle persone di colore, perché non fosse la violenza la risposta all’omicidio compiuto dal razzista James Earl Ray. Di tutta risposta il movimento afro rispose con duri scontri nei ghetti, assalti ai quartieri benestanti bianchi, e attacchi alla polizia.

La rielaborazione storica della figura di King è stata strumentale a far apparire tutta la lotta afro-americana come pacifica e fatta di marce e sit-in, per cercare di relegare l’uso diffuso dello scontro e della violenza ad un’area minoritaria e “deviata” del movimento.

Aldilà delle rivisitazioni di comodo di chi è rimasto di fatto al potere e della borghesia nera che negli anni si è integrata bene nel sistema capitalista e consumista degli USA, quello che è sicuro è che il movimento nero e l’insurrezione degli afroamericani sono stati attraversati da una potente scossa di violenza manifestatasi in varie forme, e molte volte capace di essere strumento fondamentale per la lotta.

Guarda “September 27, 1966: MLK—A riot is the language of the unheard“:

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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