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Cronaca di un pestaggio

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LETTERA-DENUNCIA

Guido Borio ci scrive

All’inizio del mese d’agosto sono giunti nel carcere di Cuneo il direttore del carcere di Alessandria CASTORIA, il maresciallo POLAZZO che proveniva da Lecce, un sottotenente degli agenti di custodia e una squadra di 25 agenti di custodia con incarichi “speciali” che non erano assegnati come effettivi al carcere. Questa nuova direzione era inviata – in missione – provvisoriamente dal Ministero di Grazia e Giustizia, non si capisce bene con quali compiti e poteri, per il periodo estivo.

Il clima all’interno del carcere si è deteriorato immediatamente sia per le continue provocazioni e intimidazioni operate dal personale di custodia, evidentemente comandato in tal senso, sia per le pesanti restrizioni che sono state introdotte dalla direzione.

Le restrizioni ed i nuovi provvedimenti erano tanto illogici quanto vessatori, alcune volte completamente illegali: consistevano nell’imporre ai detenuti di spogliarsi prima e dopo i colloqui e costretti a fare flessioni; il 9 agosto una decina di detenuti sono stati costretti a fare il lavoro di pulizia nel cortile fuori dalla sezione senza essere pagati e contro la loro volontà; in molti cubicoli (celle costruite appositamente per ospitare una persona) sono stati messi i letti a castello anche se le condizioni di spazio e di igiene non permettono la convivenza di due persone mentre poi in altre sezioni rimanevano cubicoli e posti vuoti, è stata ridotta la socialità sia per i detenuti lavoranti sia per quelli chiusi, sono state dimezzate le docce settimanali da sei a tre.

Nei 6 giorni tra il 16 e il 21 agosto si è svolta nella sezione giudiziaria una manifestazione di protesta in risposta al sensibile peggioramento delle condizioni di vita. Tale lotta a cui hanno partecipato tutti i detenuti è consistita nello sciopero delle lavorazioni prestate dai detenuti e nel rifiuto del vitto dell’amministrazione.

Come ritorsione a questa protesta vengono incrementate le provocazioni, i pestaggi isolati di detenuti, le perquisizioni: la squadretta speciale era presente in continuazione nelle sezioni e ai detenuti non è più stata distribuita la spesa che normalmente si acquista nel carcere, né sono stati consegnati i pacchi portati dai parenti ai colloqui, cosicché tutti sono stati costretti ad uno sciopero della fame forzato.

L’intervento del giudice di sorveglianza viene richiesto dai detenuti; gli sono inviate alcune lettere che descrivevano la situazione e in cui vengono denunciate alcune illegalità commesse dalla direzione. Tre detenuti naturalmente poi tutti i trasferiti tra cui io, si incontrano anche con il maresciallo, il direttore e il sottotenente, ma per quasi tutte le richieste la risposta è negativa.

19 agosto: Umberto Lucifora, Chemali Mawsur, Roberto Raso e Mauro Salmorin vengono prelevati all’aria da 40 guardie di custodia e spostati nelle sezioni di massima sicurezza con la motivazione che sono stati classificati dal ministero. Tutti e 4 sono, guarda caso, detenuti per reati politici. Nei giorni successivi numerosi altri detenuti, il 20% circa dei presenti al giudiziario, sono trasferiti in altre carceri.

Molti vengono pesantemente menati al momento della partenza: il 22 agosto Beppe Battaglia è trasferito a Novara e il 23 Martino Gerardo a Treviso.

Io vengo prelevato nel cameroncino in cui mi trovavo all’una di notte, mentre dormivo; erano presenti il maresciallo, che indossava una tuta da ginnastica blu, il sottotenente in borghese, un brigadiere e 7 o 8 agenti di custodia. Mi portano in magazzino, mi fanno spogliare e sono costretto per un’ora ininterrottamente a fare flessioni nudo con tutto intorno le guardie, ogni tanto ricevo dal maresciallo calci, sberle ecc. Sensibilmente arrabbiato continua ad urlare contro di me, mentre gli altri continuano con gli insulti; vuole sapere chi ha organizzato lo sciopero, perché sono venuti i parlamentari in visita al carcere – il 22 era infatti venuto Fiandrotti del PSI e molti detenuti gli avevano spiegato i motivi della protesta e le condizioni in cui si era costretti a vivere chi aveva scritto le lettere ai giornali e ripeteva che ora me l’avrebbe fatta pagare e l’avrei passata brutta ecc. Dopo le flessioni mentre mi controllavano i vestiti una guardia prende dalla propria tasca un minuscolo coltello insomma un temperino a serramanico lungo 4 o 5 cm e me lo butta tra i piedi dicendo “Ah, avevi il coltello, cosa volevi fare!” A quel punto io dico che non è mio, che è una provocazione; non faccio a tempo a finire la frase che mi dà un’altra scarica di botte e mi ritrovo per terra; ma il maresciallo non ancora soddisfatto pretende che baci un quadro contenente una foto di Mussolini che il magazziniere tira giù da una parete e appende ad un armadio, io mi rifiuto e il maresciallo continua ad insistere e dopo un po’ mi spinge violentemente la testa contro questo quadro, il vetro si rompe e mi provoca dei tagli e degli sfregi sulla fronte.

Ancora strilli ed imprecazioni sul tema “così impari a fare gli scioperi” ecc. e dopo vengo portato alla cella e al mattino del 25 verso le 6.30 o 7.00 vengo preso in consegna dai carabinieri e trasferito nel carcere penale di Lecce.

Giunto lì mi viene chiesta una dichiarazione firmata che spiegasse come mi ero procurato i tagli nel carcere di Cuneo – già a Cuneo al mattino del 25 durante la VISITA MEDICA, PRESENTI le guardie e il brigadiere della sera prima mi ero rifiutato di affermare che mi ero fatto male da solo come essi pretendevano.

Vengo così messo in isolamento e lì rimango per tutti i 20 giorni della mia permanenza a Lecce. Mi segno nel frattempo alla visita medica perché sto abbastanza male, un ginocchio mi si era gonfiato e non riesco a camminare e a muoverlo e sento dolori dappertutto: ogni volta che urinavo, l’urina era del colore del the.

Per la gamba non mi viene dato niente mentre dopo molte insistenze riesco ad ottenere le analisi del sangue e delle urine.

Il prelievo mi viene fatto 2 volte il 30 dell’8 e il 6 del 9 perché nelle prime analisi la transaminasi era 1986, nelle seconde era scesa a 179: i risultati sono allegati alla mia cartella clinica. Va ricordato che il prelievo mi è stato fatto giorni dopo quando già l’urina si era schiarita e le mie condizioni fisiche cominciavano a migliorare. Martedì 10 settembre vengo chiamato in direzione e lì mi ritrovo di fronte nuovamente il maresciallo Polazzo che, finita nel frattempo la missione a Cuneo, è tornato a Lecce; questi nuovamente mi minaccia con il pretesto che non lo ho salutato, di nuovo urla e mi chiede quando mi decido a pentirmi, afferma che lì mi farà “imparare a vivere” e ad occuparmi dei fatti miei. Così di nuovo il giorno prima di partire per il processo di Padova mi richiama e il discorso continua sullo stesso tono e prima di lasciarmi andar via mi ricorda che dopo il processo tornerò a Lecce.

 

Presentiamo questa testimonianza scritta, originariamente pubblicata sulla rivista AUTONOMIA

Padova 25/9/1985

 

Guido Borio

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