InfoAut
Immagine di copertina per il post

Occupazione fabbriche nel biennio rosso

||||
||||

A metà del 1920 la ten­sio­ne rivo­lu­zio­na­ria in Ita­lia era all’apice le mas­se era­no radi­ca­liz­za­te e dispo­ni­bi­li alla bat­ta­glia deci­si­va.

Intan­to, i pri­mi mesi del 1920 era­no tra­scor­si in un cre­scen­do di agi­ta­zio­ni mol­to radi­ca­li. La novi­tà sta­va in un diver­so pro­ta­go­ni­smo del­la clas­se ope­ra­ia attra­ver­so i Con­si­gli di fab­bri­ca che via via pren­de­va­no il posto del­le vec­chie Com­mis­sio­ni inter­ne, carat­te­riz­za­te da una maggiore col­la­bo­ra­zio­ne fra dato­ri e pre­sta­to­ri di lavo­ro. I nuo­vi orga­ni­smi, inve­ce, espri­me­va­no più spic­ca­ta­men­te gli inte­res­si dei lavo­ra­to­ri, e anda­va­no via via tra­sfor­man­do­si in embrio­ni di con­trol­lo ope­ra­io.
Gli indu­stria­li com­pre­se­ro pre­sto che ciò che era in gio­co era il pote­re nel­la fab­bri­ca. E lo espres­se mol­to chia­ra­men­te l’industriale Oli­vet­ti quan­do, nell’assemblea gene­ra­le del­la Con­fin­du­stria a Mila­no, pro­cla­mò: «In offi­ci­na non pos­so­no sus­si­ste­re due pote­ri! I gior­na­li bor­ghe­si pre­ci­sa­ro­no ulte­rior­men­te que­sto con­cet­to, se mai ce ne fos­se sta­to biso­gno: il quo­ti­dia­no La Stam­pa scris­se che gli indu­stria­li «sapen­do di difen­de­re non tan­to la loro cau­sa, quan­to quel­la dell’assetto socia­le odier­no, sono deci­si a pro­se­gui­re nel loro atteg­gia­men­to fino alle estre­me con­se­guen­ze». Gli indu­stria­li pas­sa­ro­no dun­que dal­la posi­zio­ne più con­ci­lia­ti­va tenu­ta l’anno pre­ce­den­te a una mol­to più intran­si­gen­te, espri­men­do­si aper­ta­men­te con­tro i Con­si­gli di fab­bri­ca e aspet­tan­do l’occasione per rego­la­re i con­ti.

Quest’occasione si pre­sen­tò loro quan­do il gover­no fis­sò, a par­ti­re dal 21 mar­zo, l’inizio dell’ora lega­le.

Gli ope­rai tro­va­va­no insop­por­ta­bi­le esse­re costret­ti a usci­re di casa al buio, sic­ché il gior­no seguen­te – sia­mo al 22 mar­zo – la Com­mis­sio­ne inter­na del­la Fiat deci­se di spo­sta­re le lan­cet­te dell’orologio nuo­va­men­te sull’ora sola­re. Ciò che era in gio­co non era una que­stio­ne d’orario, ma di pote­re nel­la fab­bri­ca, e la dire­zio­ne del­la Fiat, che lo ave­va com­pre­so bene, non si lasciò sfug­gi­re l’occasione e licen­ziò i tre com­po­nen­ti dell’organismo. Imme­dia­ta­men­te, i lavo­ra­to­ri sce­se­ro in scio­pe­ro riven­di­can­do­ne la rias­sun­zio­ne. Fu quel­lo che ven­ne cono­sciu­to come lo “scio­pe­ro del­le lan­cet­te”.

Dopo un’intera gior­na­ta di ste­ri­li trat­ta­ti­ve, gli ope­rai, stan­chi del tira e mol­la, occu­pa­ro­no la fab­bri­ca. L’occupazione si este­se anche a un altro sta­bi­li­men­to del­la Fiat. Il 25 mar­zo, l’azienda riu­scì a far entra­re da un ingres­so secon­da­rio le for­ze dell’ordine che sgom­be­ra­ro­no la fab­bri­ca. Il 27 mar­zo, per evi­ta­re che la pro­prie­tà attuas­se la ser­ra­ta, gli ope­rai deci­se­ro di rien­tra­re al lavo­ro attuan­do però una nuo­va for­ma di lot­ta, lo scio­pe­ro bian­co, con­si­sten­te nel ral­len­ta­re for­te­men­te le ope­ra­zio­ni median­te l’ostruzionismo, in modo da abbas­sa­re di mol­to il tas­so di pro­dut­ti­vi­tà. L’azienda ne ven­ne real­men­te dan­neg­gia­ta, e così altre 44 offi­ci­ne mec­ca­ni­che in cui ven­ne attua­to lo stes­so scio­pe­ro bian­co in segno di soli­da­rie­tà.

Ripre­se­ro le trat­ta­ti­ve, ma con una novi­tà: esse furo­no avo­ca­te dal segre­ta­rio nazio­na­le del­la Fiom, Bru­no Buoz­zi, che vol­le così esau­to­ra­re di fat­to il sin­da­ca­to loca­le aven­do ben com­pre­so che il nodo di fon­do era­no i pote­ri dei Con­si­gli nel­le fab­bri­che e, in sen­so più gene­ra­le, i rap­por­ti fra gli ordi­no­vi­sti tori­ne­si di Gram­sci e gli orga­ni­smi cen­tra­li del Par­ti­to socia­li­sta. Dopo gior­ni di trat­ta­ti­va, il nego­zia­to giun­se a un pun­to mor­to. Sot­to la spin­ta del­la base ope­ra­ia, il sin­da­ca­to fu costret­to con­tro­vo­glia a pro­cla­ma­re il 14 apri­le lo scio­pe­ro gene­ra­le. Si trat­tò del più lun­go e com­pat­to scio­pe­ro mai veri­fi­ca­to­si fino ad allo­ra nel­la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io ita­lia­no.
La dire­zio­ne poli­ti­ca del movi­men­to ven­ne affi­da­ta a un Comi­ta­to di agi­ta­zio­ne di fat­to ege­mo­niz­za­to dagli ordi­no­vi­sti. Frat­tan­to, Buoz­zi e altri sin­da­ca­li­sti non ave­va­no inter­rot­to per un solo momen­to i con­tat­ti con la con­tro­par­te padro­na­le.

Gli ordi­no­vi­sti ave­va­no com­pre­so che lo scio­pe­ro – che intan­to il gior­no 19 apri­le si era este­so a tut­to il Pie­mon­te coin­vol­gen­do 500.000 lavo­ra­to­ri – non sareb­be potu­to con­ti­nua­re all’infinito e si pose­ro il pro­ble­ma di uni­fi­ca­re la lot­ta ope­ra­ia con le agi­ta­zio­ni con­ta­di­ne che negli stes­si gior­ni si svi­lup­pa­va­no nel­la regio­ne. Ma il ten­ta­ti­vo fal­lì per l’opposizione dei diri­gen­ti del sin­da­ca­to. A que­sto pun­to, Gram­sci e i suoi nutri­ro­no l’ingenua illu­sio­ne che il Psi potes­se ema­na­re l’ordine dell’estensione a livel­lo nazio­na­le del­lo scio­pe­ro. Figu­ria­mo­ci se i diri­gen­ti rifor­mi­sti del par­ti­to vole­va­no una cosa del gene­re! Il Con­si­glio nazio­na­le del Par­ti­to socia­li­sta decise di inviare il segretario generale CGL D’Aragona, per­ché inter­ve­nis­se in pri­ma per­so­na.

Rima­sta iso­la­ta la lot­ta, il brac­cio di fer­ro fra D’Aragona e il Comi­ta­to di agi­ta­zio­ne si con­clu­se con l’affermazione del pri­mo che chiu­se con gli indu­stria­li un accor­do che scon­fes­sa­va total­men­te il ruo­lo del­le Com­mis­sio­ni inter­ne e dei Con­si­gli di fab­bri­ca. Il 24 apri­le lo scio­pe­ro fu revo­ca­to: il padro­na­to ave­va vin­to con l’aiuto dei diri­gen­ti del movi­men­to ope­ra­io.

Anto­nio Gram­sci scri­ve­rà poi che la clas­se ope­ra­ia tori­ne­se non era usci­ta dal­la lot­ta con la volon­tà spez­za­ta.

Se ne accor­se subi­to la bor­ghe­sia che ave­va can­ta­to il de pro­fun­dis del movi­men­to ope­ra­io pre­co­niz­zan­do trop­po pre­sto la fine degli scio­pe­ri poli­ti­ci. Infat­ti, il 1° mag­gio 1920, dopo soli sei gior­ni dal­la con­clu­sio­ne del­lo scio­pe­ro gene­ra­le, il pro­le­ta­ria­to tori­ne­se die­de luo­go a un’imponente mani­fe­sta­zio­ne. Il cor­teo ven­ne affron­ta­to dal­la for­za pub­bli­ca che spa­rò ad altez­za d’uomo ucci­den­do due lavo­ra­to­ri. Ma gli ope­rai rea­gi­ro­no assal­tan­do le camio­net­te dei cara­bi­nie­ri e, armi in pugno, si scon­tra­ro­no con le for­ze di poli­zia ucci­den­do un agen­te e feren­do­ne mol­ti altri.
La scon­fit­ta del­lo scio­pe­ro di apri­le raf­for­zò negli indu­stria­li la con­vin­zio­ne che solo una posi­zio­ne intran­si­gen­te avreb­be impe­di­to ai lavo­ra­to­ri di rial­za­re la testa. 
A par­ti­re dal 20 ago­sto, 400.000 metal­mec­ca­ni­ci in tut­ta Ita­lia entra­ro­no in lot­ta, dan­do vita a un’agitazione su tut­to il ter­ri­to­rio nazio­na­le.

L’ostruzionismo fu par­ti­co­lar­men­te effi­ca­ce, tan­to da far cala­re dra­sti­ca­men­te la pro­du­zio­ne (alla Fiat Cen­tro, dove lavo­ra­va­no 15.000 ope­rai, sce­se del 60%). E allo­ra scat­tò la rea­zio­ne padro­na­le.
Il 30 ago­sto, a Mila­no, ven­ne attua­ta la ser­ra­ta nel­lo sta­bi­li­men­to del­la Romeo. Su ordi­ne del­la Fiom, gli ope­rai che anco­ra si tro­va­va­no all’interno del­la fab­bri­ca la occu­pa­ro­no. Lo stes­so accad­de simul­ta­nea­men­te nei 300 sta­bi­li­men­ti di Mila­no. La richie­sta degli indu­stria­li al gover­no di inter­ven­to mili­ta­re per far sgom­bra­re le fab­bri­che ven­ne respin­ta: il pri­mo mini­stro Gio­lit­ti, vole­va evi­ta­re un con­flit­to arma­to che teme­va sareb­be potu­to sfo­cia­re in una guer­ra civi­le; ma con­fi­da­va anche sul fat­to che alla testa di quel gran­dio­so movi­men­to vi era­no diri­gen­ti rifor­mi­sti che non vole­va­no che il pro­ces­so si esten­des­se dal­le fab­bri­che ai cen­tri nevral­gi­ci del pote­re, tele­gra­fi, tele­fo­ni, fer­ro­vie, caser­me, pre­fet­tu­re. Eppu­re, quel movi­men­to si allar­gò, nono­stan­te e con­tro gli inten­ti con­ci­lia­ti­vi del­la diri­gen­za rifor­mi­sta, dal trian­go­lo indu­stria­le del nord (Mila­no-Tori­no-Geno­va) all’Emilia, al Vene­to, alla Tosca­na, all’Umbria, fino alle cit­tà di Anco­na, Roma, Napo­li e Paler­mo. Nel­la sola Tori­no qua­si 150.000 furo­no gli occu­pan­ti, 100.000 a Geno­va, 600.000 in tut­ta Ita­lia quan­do anche offi­ci­ne non metal­lur­gi­che ven­ne­ro occu­pa­te. Spon­ta­nea­men­te, nel sud del Pae­se ripre­se­ro mas­sic­cia­men­te le occu­pa­zio­ni del­le ter­re.

Una del­le novi­tà di que­sta lot­ta sta­va nel­la gestio­ne ope­ra­ia: fra lo stu­po­re degli indu­stria­li – che mai avreb­be­ro imma­gi­na­to che gli ope­rai fos­se­ro capa­ci di affron­ta­re le dif­fi­col­tà tec­ni­che del­la pro­du­zio­ne – gli occu­pan­ti mise­ro in pie­di un gigan­te­sco espe­ri­men­to di gestio­ne ope­ra­ia del­la fab­bri­ca in un set­to­re di pri­mo pia­no dell’economia capi­ta­li­sti­ca e facen­do fron­te al sabo­tag­gio atti­vo degli indu­stria­li, del­le ban­che e del­lo Sta­to. A Tori­no ven­ne crea­to un comi­ta­to per cen­tra­liz­za­re la pro­du­zio­ne, gli scam­bi e le for­ni­tu­re dei pro­dot­ti fini­ti. L’altro fat­to nuo­vo del movi­men­to di occu­pa­zio­ne era dato dal­la dife­sa degli sta­bi­li­men­ti. In alcu­ne del­le offi­ci­ne si fab­bri­ca­ro­no bom­be a mano, elmet­ti e par­ti stac­ca­te di armi. In altre, gli ope­rai si prov­vi­de­ro di mitra­glia­tri­ci. Altro­ve si ten­tò di costrui­re un auto­blin­do. Sui tet­ti del­le fab­bri­che ven­ne­ro instal­la­ti riflet­to­ri, mol­ti acces­si alle offi­ci­ne furo­no mina­ti e con­trol­la­ti da siste­mi di segna­la­zio­ne e allar­me. Lo sta­bi­li­men­to del­la Fiat Lin­got­to era dife­so da una recin­zio­ne con cor­ren­te elet­tri­ca; quel­lo di Bar­rie­ra di Niz­za da un impian­to ad aria com­pres­sa in gra­do di spa­ra­re aci­do con­te­nu­to in un’enorme vasca. La dife­sa del­le fab­bri­che era in gene­ra­le affi­da­ta alle Guar­die rosse.

Le dire­zio­ni del sin­da­ca­to e del par­ti­to, inve­ce, vole­va­no che la ver­ten­za uscis­se dal­la dimen­sio­ne poli­ti­ca (che, al di là del­le loro inten­zio­ni, ave­va assun­to) per ricon­dur­la nei suoi limi­ti riven­di­ca­ti­vi eco­no­mi­ci.

Per que­sto il 9, 10 e 11 set­tem­bre, si svol­se­ro del­le dram­ma­ti­che e tese riu­nio­ni per indi­vi­dua­re una solu­zio­ne alla vicen­da. In altri ter­mi­ni, si sareb­be dovu­to deci­de­re se l’agitazione in cor­so fos­se dovu­ta resta­re nel sol­co di una lot­ta sin­da­ca­le; oppu­re, se essa aves­se dovu­to esten­der­si per assu­me­re la carat­te­ri­sti­ca di un movi­men­to insur­re­zio­na­le.

In real­tà, il fat­to stes­so che i desti­ni di una rivo­lu­zio­ne venis­se­ro affi­da­ti a una discus­sio­ne così sur­rea­le dimo­stra, al di là di ogni dub­bio, la scar­sa con­vin­zio­ne con cui la pro­po­sta insur­re­zio­na­le era soste­nu­ta, non solo dal­la dire­zio­ne ma anche dal­le com­po­nen­ti del­la sini­stra. Di fat­to, tut­ti vole­va­no sol­tan­to usci­re da una situa­zio­ne che li ave­va posti spal­le al  muro. 

Fu così che, quan­do la dire­zio­ne rifor­mi­sta del sin­da­ca­to, dichia­ran­do­si in disac­cor­do con l’insurrezione, minac­ciò le pro­prie dimis­sio­ni in bloc­co e invi­tò la dire­zio­ne del par­ti­to socialista ad assu­me­re la gui­da del movi­men­to, quest’ultima intra­vi­de lo spi­ra­glio per usci­re dal­la dif­fi­ci­le situa­zio­ne: respin­ge­re le dimis­sio­ni del­la dire­zio­ne del­la CGL votan­do a mag­gio­ran­za un ordi­ne del gior­no che lascia­va la gestio­ne del­la ver­ten­za al sin­da­ca­to (can­cel­lan­do­ne dun­que l’aspetto poli­ti­co) e che di fat­to met­te­va la paro­la fine alla lot­ta in cam­bio del rico­no­sci­men­to da par­te padro­na­le del prin­ci­pio del con­trol­lo sin­da­ca­le del­le azien­de.

Si trat­ta­va, natu­ral­men­te, di paro­le vuo­te. E lo capì benis­si­mo Gio­lit­ti, che fino a quel pun­to era rima­sto total­men­te estra­neo alla ver­ten­za per timo­re che una repres­sio­ne arma­ta da par­te dell’esercito potes­se sca­te­na­re la guer­ra civi­le.

Non appe­na vide che la pro­spet­ti­va insur­re­zio­na­le era sta­ta uffi­cial­men­te abban­do­na­ta dai socia­li­sti, Gio­lit­ti rien­trò in gio­co con­vo­can­do fra le par­ti una riu­nio­ne che si con­clu­se il 20 set­tem­bre con un accor­do che san­ci­va la fine dell’occupazione del­le fab­bri­che e pre­ve­de­va alcu­ni miglio­ra­men­ti eco­no­mi­ci e sala­ria­li per i lavo­ra­to­ri e la pro­mes­sa di inca­ri­ca­re una com­mis­sio­ne di stu­dio per ela­bo­ra­re un dise­gno di leg­ge sul con­trol­lo ope­ra­io.

Insom­ma, 600.000 ope­rai occu­pa­va­no le fab­bri­che, con­trol­la­va­no in armi alcu­ne gran­di cit­tà, di fat­to dete­nen­do par­zial­men­te il pote­re.

In quel set­tem­bre del 1920, la bor­ghe­sia ita­lia­na vis­se quel­la che fu defi­ni­ta “la gran­de pau­ra”, la pau­ra di per­de­re tut­to. Fra tut­ti i Pae­si del con­ti­nen­te euro­peo, fu in Ita­lia, dun­que, che si veri­fi­cò il più vio­len­to e peri­co­lo­so attac­co al suo pote­re. Il bien­nio ros­so fece com­pren­de­re ai capi­ta­li­sti che le vec­chie clas­si diri­gen­ti libe­ra­li non era­no più in gra­do di difen­de­re i loro inte­res­si. 

Dopo l’accordo del 20 set­tem­bre, le occu­pa­zio­ni dura­ro­no anco­ra per una deci­na di gior­ni, ma pro­prio in quel perio­do si veri­fi­cò il mag­gior nume­ro di scon­tri arma­ti fra gli ope­rai e le guar­die regie, con mor­ti da entram­be le par­ti. Si trat­tò in real­tà di una rab­bio­sa quan­to dispe­ra­ta rea­zio­ne da par­te del­le avan­guar­die degli occu­pan­ti alla noti­zia del­la sti­pu­la del con­cor­da­to: l’idea di dover abban­do­na­re le fab­bri­che che con tan­ti sacri­fi­ci ave­va­no tenu­to – e sen­za aver con­se­gui­to alcun rea­le avan­za­men­to poli­ti­co – appa­ri­va una bef­fa insop­por­ta­bi­le.

Già duran­te la fase del­le trat­ta­ti­ve fra sin­da­ca­ti, indu­stria­li e gover­no, la mag­gior par­te del­le fab­bri­che si era espres­sa per il rifiu­to dell’ipotesi di accor­do e per la con­ti­nua­zio­ne dell’occupazione, men­tre la par­te più arre­tra­ta degli ope­rai  pur non essen­do sod­di­sfat­ta del con­cor­da­to, votò per la sua accet­ta­zio­ne subor­di­nan­do­la a due pre­giu­di­zia­li che i socia­listi ave­va­no ela­bo­ra­to: paga­men­to del­le gior­na­te di occu­pa­zio­ne e garan­zia che la deci­sio­ne fina­le sareb­be sta­ta deman­da­ta alle assem­blee di fab­bri­ca.

Antonio Gramsci il 1ottobre 1926 su L’Unità scrisse amaramente: “Come classe, gli operai italiani che occuparono le fabbriche si dimostrarono all’altezza dei loro compiti e delle loro funzioni. Tutti i problemi che le necessità del movimento posero loro da risolvere furono brillantemente risolti. Non poterono risolvere i problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni perché non furono occupate le ferrovie e la flotta. Non poterono risolvere i problemi finanziari perché non furono occupati gli istituti di credito e le aziende commerciali. Non poterono risolvere i grandi problemi nazionali e internazionali, perché non conquistarono il potere di Stato. Questi problemi avrebbero dovuto essere affrontati dal Partito socialista e dai sindacati che invece capitolarono vergognosamente, protestando l’immaturità delle masse; in realtà i dirigenti erano immaturi e incapaci, non la classe.”

Guarda “Il Biennio Rosso“:

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Kashmir, un attentato riaccende il conflitto tra India e Pakistan: visti revocati, trattati sospesi, venti di guerra

Una notte di sangue sulle montagne del Kashmir ha riacceso un conflitto mai sopito, trascinando India e Pakistan sull’orlo di una nuova escalation.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Chiapas: liberati i due compagni delle basi di appoggio zapatiste sequestrati a fine aprile

Liberati in Chiapas i due compagni delle Basi d’Appoggio Zapatiste sequestrati dal governo federale del Messico e da quello statale del Chiapas il 26 aprile 2025.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

La città cantiere e il mito delle grandi opere: una chiamata dallo Stretto a intrecciare voci, resistenze, immaginari

Ci sono progetti che non si misurano solo in chilometri di cemento, in tonnellate d’acciaio e in cavilli ingegneristici. Progetti che dall’alto piombano sulla vita delle persone imponendo devastazione, macerie e profitto per pochi.

Immagine di copertina per il post
Culture

György Lukács, un’eresia ortodossa / 4 – Il partito e la dialettica marxiana

Il terzo paragrafo del breve saggio è dedicato alla questione del partito e alla sua funzione direttiva nel processo rivoluzionario, qui Lukács offre la più chiara e nitida esposizione della teoria leniniana del partito che il movimento comunista abbia mai elaborato. di Emilio Quadrelli, da Carmilla Ma proprio detta esposizione sarà oggetto di non poche […]

Immagine di copertina per il post
Bisogni

La sanità tra finanziarizzazione ed economia di guerra

È un anno, il 2025, caratterizzato dalla Terza guerra mondiale, che rischia di ampliarsi e deflagrare oltre quei “pezzetti”, che percepì e segnalò per primo, solo pochi anni fa, Papa Francesco e dalla svolta protezionistica dei dazi innescata dal presidente USA Trump, un passaggio epocale, paragonabile, per portata storica, agli accordi di Bretton Woods, alla […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Freedom Flotilla: dopo l’attacco israeliano, Malta impedisce i soccorsi

L’incredibile vicenda della nave Conscience della Freedom Flotilla colpita da un attacco di droni in acque internazionali nei pressi di Malta mentre tentava di raggiungere Gaza con un carico di aiuti umanitari è ancora una volta indicativa dell’ipocrisia che regna in Occidente sul genocidio dei palestinesi. Non solo il fatto è stato rapidamente archiviato dai […]

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Blackout in Spagna: un segnale inascoltato

Cercando i fatti Giorgio Ferrari ci guida tra speculazioni, bugie e contraddizioni.

Immagine di copertina per il post
Culture

Tonino Miccichè, crucifissu cumu a Cristu!

Senza il libro di Filippo Falcone, Morte di un militante siciliano (1999) probabilmente si sarebbe persa quasi del tutto la memoria. Con la necessità di ricordare viene orgganizzato il festival “Memoria e Utopia per Tonino Miccichè” a Pietraperzia, il 9, 10 e 11 maggio. di Angelo Maddalena, da La bottega del Barbieri Rocco D’Anna poco […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Roma fa affari di guerra in Mozambico dove l’ENI festeggia il centesimo carico di gas

L’Italia rafforza la partnership militare con il Mozambico puntando gli occhi alle imponenti risorse energetiche del Paese africano. di Antonio Mazzeo Dall’8 al 12 aprile 2025 il porto di Maputo ha ospitato la fregata FREMM “Luigi Rizzo” della Marina Militare, unità specializzata nella guerra anti-sottomarini. La fregata italiana proveniva dalle acque antistanti la città di […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Messico: nel Guerrero un mare di sangue, un territorio devastato

Questo venerdì è morto Marco Antonio Suástegui Muñoz, storico dirigente del Consiglio degli Ejidos e delle Comunità che si Oppongono alla Diga La Parota (CECOP), dopo che il passato 18 aprile era stato aggredito da un pistolero mentre usciva dalla spiaggia Icacos. di Abel Barrera Hernández Ha perso la vita perché gli hanno sparato in […]