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Il ritorno da Algeri di Karl Marx

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Karl Marx in Africa

«Ieri verso l’una del pomeriggio, siamo discesi a Mustapha e da lì con il tram abbiamo raggiunto il Jardin Hamma o Jardin d’Essai utilizzato come Promenade Publique, dove si tengono concerti di musica militare, utilizzato come vivaio, per la crescita e la diffusione della vegetazione indigena, oltre che per la sperimentazione botanica e scientifica e come giardino di acclimatazione. Il tutto occupa un vasto terreno con una parte accidentata ed una in piano. Per visitarlo con attenzione, serve almeno un giorno intero».

Siamo ad Algeri, di fronte al Mediterraneo, in una giornata del 1882. Algér la bianche, una città ancora mezza ottomana e mezza francese.

Hamma, il nome del giardino, significa febbre, quella che profumi e colori possono dare. L’autore della citazione non era un viaggiatore qualsiasi, uno dei tanti europei che in quegli anni visitavano quest’Africa non lontana: era Karl Marx il più grande rivoluzionario di quel secolo, tra l’ altro autore assieme a Friedrich Engels del

«Manifesto dei Comunisti» e ispiratore della Comune di Parigi. Chi gli fa da guida è il botanico italiano Gaetano Leone Durando, nato nel 1811 a Caraglio in provincia di Cuneo.Durando è un seguace di Charles Fourier: trascorre la maggior parte della sua vita in Algeria, muore ad Algeri nel 1898; oggi una strada e un ospedale portano il suo nome.

Marx e Durando prima di visitare l’Orto Botanico si fermano a bere un caffè in un cafè mauresque, all’aperto. Marx racconta che il caffè è eccellente; descrive anche l’ambiente dove nota una certa uguaglianza di comportamento fra gli avventori arabi, che siano vestiti riccamente o modestamente

All’occhio critico di Marx sicuramente non sfugge che questo “egualitarismo” non è fondato sulla coscienza di essere tutti colonizzati dai francesi, ma su una visione religiosa, quella musulmana della vita, del mondo e della società.

La ragione della visita ad Algeri non ha niente a che vedere con la rivoluzione o con un’analisi sul campo del colonialismo francese.

La decisione del viaggio sull’altra sponda del Mediterraneo è legata alla salute ed è sofferta per vari motivi: l’età, la famiglia, l’impegno teorico e pratico nel movimento comunista. Marx sta vivendo il periodo più brutto della sua vita; è morta da poco la moglie, è vecchio e gravemente malato di una pleurite con bronchite e polmonite prese viaggiando tra Parigi e Londra nel freddo del nord.

Non c’è miglioramento. Alcuni medici inglesi consigliano un soggiorno ad Algeri dove il clima può aiutare la guarigione. Non sanno che gli inverni e anche gli inizi di primavera sono piovosi e umidi; sarebbe più opportuno consigliare il deserto del Sahara, questo sì caldo, secco e adatto a chi ha i polmoni malati. Il parere vede d’accordo Engels e i famigliari. Marx parte da Marsiglia il 18 febbraio 1882 alle cinque del pomeriggio sul vapore Said e arriva ad Algeri il mattino del 20 alle tre e mezzo del mattino. È una traversata faticosa, anche se la cabina che occupa è confortevole: Marx non riesce per due notti a chiudere occhio per il rumore delle macchine, del vento e delle onde.

Il maltempo durante la traversata dall’Europa all’Africa e il clima che trova non aiutano. Il soggiorno è quasi inutile, guarisce della bronchite cronica ma non è in salvo ed esposto ad altre ricadute che arriveranno.

Un amico dei generi, Paul Lafargue e Charles Longuet, lo accoglie e lo aiuta. Si tratta del giudice Albert Fermé che giorni prima aveva ricevuto una lettera da Lafargue. Fermé si trova ad Algeri in esilio per aver partecipato alla Comune di Parigi.

Lo sbarco dal Said avviene dove si trova ora la pêcherie vicina all’ammiragliato. Da lì Marx e Férmé salgono la rampa che porta a l’Avenue de la Republique, l’attuale lungo mare o Boulevard Che Guevara.

Dopo aver trascorso due notti al Grand Hotel d’Orient, nel centro di Algeri, fra la Grande Poste e l’Hotel Aletti, si sistema nella Pensione Hotel Vittoria, all’incrocio fra il boulevard Bon Accueil e la strada che portava nel quartiere di Mustafa superieur, nelle colline e allora in piena campagna. Férmé abita vicino, più giù al 37 di Rue Michelet oggi Didouche Mourad: non molto distante quindi dalla chiesa del Sacro Cuore, progettata poi su disegni di Le Coubusier.

Marx racconta la sua permanenza ad Algeri in un epistolario che invia al suo amico e compagno Engels e alle figlie.

Nelle lettere Marx riferisce quello che il giudice Férmé racconta delle ingiustizie del regime coloniale francese, come le condanne a morte e le torture per casi di furto.

Commenta anche la presenza di proprietà comunitaria nella società berbera in Kabilia, convinto che quando in Europa la classe operaia vincerà questi popoli potranno passare direttamente al comunismo senza vivere una fase capitalista. Ma la sua descrizione di Algeri è innanzitutto fisica: racconta le persone che incontra e luoghi che visita, la Casbah, il luogo dove vive, il Jardin d’ Essai. Descrive quello che vede.

«Qui, la situazione è magnifica, davanti alla mia camera la baia del mare Mediterraneo, il porto di Algeri, alcune ville disposte ad anfiteatro che si arrampicano sulle colline, più lontano delle montagne, tra le altre le cime nevose, dietro il Matifou delle montagne della Kabilia, le punte aguzze del Djoura. Il mattino

verso le otto, niente di più esaltante che il panorama, l’’aria, la vegetazione, questa mescolanza meravigliosa europea – africana».

Marx viene preso in cura da miglior medico d’Algeri, il dottor Stephann che gli applica innanzitutto trattamenti che provocano «cloques sur la potrine», bolle, vesciche sul petto. I due comunque parlano di scienze naturali, di fisica, di cosmogonia, ma soprattutto della morte. Secondo Marx bisogna rassegnarsi al proprio destino: «Solo gli atomi sono immortali».

Il pensiero della morte abita in questi giorni nella testa di Karl Marx. Ne parla anche con Madame Casthelaz padrona della pensione la quale gli chiede «Nella sua concezione dello Stato chi farà i lavori più umili? Non posso immaginare un mondo livellato per il basso, perché voi avete senza dubbio certi gusti e certe attitudini che vengono attribuite all’aristocrazia».

«Nemmeno io» risponde Marx «ma questi tempi arriveranno, e noi non saremo più in questo mondo».

Il tema ritorna sotto forma di un racconto breve, «Lezione di saggezza araba» , in una lettera scritta alla figlia Laura:

«Un traghettatore sta per attraversare con una piccola barca un fiume impetuoso. Sale a bordo un filosofo che vuole raggiungere l’altra sponda. Fra i due c’è un dialogo.

– Traghettatore, conosci la Storia.

– No!

– Allora hai perduto metà della tua vita.

– Traghettatore, hai studiato le Matematiche?

– No!

– Allora hai perduto più della metà della tua vita.

Appena il filosofo pronuncia queste parole un forte vento rovescia la piccola barca e i due occupanti, filosofo e traghettatore, precipitano in acqua. Il traghettatore urla:

– Sai nuotare?

– No!

– Allora la tua vita intera è perduta».

Un pensiero sembra assillarlo, simile alle parole scritte dall’algerino Jaques Derrida oltre un secolo dopo.

«Il y aura ce jour. Rien ne peut entamer la terrifiante lumiére glacée de cette certitude»,cioé della morte.

Tra le persone, che Marx frequenta all’Hotel Victoria, oltre al giudice Fermè, al dottor Stephann, ai padroni e al personale di sevizio, vi è una giovane donna carina e intelligente, rimasta senza nome. Sappiamo solo che è tedesca, originaria di Dessau: conosce per fama l’ospite, è ammiratrice di Auguste Bebel, di cui ha letto « La donna ed il socialismo. La donna nel passato presente e futuro». La ragazza conosce bene il console prussiano ad Algeri, Fröbe, la cui villa, sede del consolato si trova a Mustafa Superiore, non lontano dalla pensione. Anzi durante il soggiorno lei trova

lavoro come istitutrice dei ragazzi del console.

Il vecchio Marx simpatizza con la ragazza che gli ricorda una delle figlie. La ragazza ricambia la simpatia.

E’ lei, la bella senza nome, che accompagna Marx nelle sue passeggiate in città. In una di queste incontrano un pittore che sta dipingendo uno scorcio della Casbah, una scalinata. Dalla descrizione – volto emaciato con barba – dovrebbe essere Pierre- Auguste Renoir.

I due non si riconoscono, né parlano del motivo della loro presenza. Marx è lì per guarire; Renoir è in città per dipingere l’Oriente e per caso incrocia uno dei meno orientalisti tra gli europei.

É alla ragazza che Marx confida il suo complesso di colpa per l’ozio, per l’abbandono dell’attività teorica e pratica. Il 28 aprile Marx scrive a Engels: «A causa del sole mi sono sbarazzato della barba da profeta e della capigliatura mi sono fatto fotografare nell’altare di un fotografo algerino. Avrò le foto domenica prossima (30 aprile). Vi invierò le copie da Marsiglia».

Marx trascorre ad Algeri settantadue giorni, la lascia il 2 maggio 1982 verso l’Europa e la fine della sua vita. Sul molo agitando il fazzoletto vi sono sicuramente l’amico Fermé, il dottor Stephanne e la giovane tedesca.

Il nome del piroscafo a vapore con il quale riattraversa il Meditterraneo è Péluse.

I biografi di Karl Marx hanno dedicato poco tempo a questi 72 giorni trascorsi fuori d’Europa.

Guarda “Karl Marx en Algerie“:

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