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Tina Modotti

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Tina Modotti nasce ad Udine, nel quartiere di Borgo Pracchiuso, il 16 agosto del 1896 da una famiglia operaia, aderente al socialismo di fine 1800.

Il padre, Giuseppe Modotti, era un meccanico e carpentiere, mentre la madre, Assunta Mondini Saltarini era una casalinga e cucitrice.

Venne battezzata il 27 gennaio 1897 e fu suo padrino un anarchico socialista di professione calzolaio, Demetrio Canal.

Tina aveva solo due anni quando la sua famiglia, per ragioni economiche, si vide costretta ad emigrare in Austria.

Lì nacquero gli altri quattro fratelli: l’ultimo dei quali morì a soli tre anni di meningite.

Nel 1905, ritornano ad Udine ed appena dodicenne iniziò a lavorare come operaia nella fabbrica tessile Raiser per contribuire al mantenimento della numerosa famiglia, essendo il padre emigrato in America.

Nello studio fotografico dello zio paterno, Pietro Modotti, Tina apprese le sue prime nozioni di fotografia.

Nel giugno del 1913 Tina lasciò l’Italia, per raggiungere il padre a San Francisco, dove, in breve tempo, trovò lavoro presso una fabbrica tessile.

In quel periodo, si dedicò anche al teatro amatoriale, recitando opere di D’Annunzio, Goldoni e Pirandello.

Nel 1918 sposò con il pittore Roubaix de l’Abrie Richey, soprannominato “Robo” e da lì a poco i due si trasferirono a Los Angeles per permetterle di perseguire una carriera nel mondo del cinema.

L’esordio della Modotti davanti alla macchina da presa risale al 1920, con il film “The Tiger’s Coat”, diretto da Roy Clements.

Seguirono “Riding with Death” e “I Can Explain” per cui la Modotti ricevette l’acclamazione del pubblico e della critica, anche in virtù del suo “fascino esotico”.

Comunque, “il modo in cui il suo corpo e il suo viso erano stati lanciati sul mercato” indusse Tina a mettere fine alla breve avventura hollywoodiana.

Grazie al marito, Tina conobbe il fotografo Edward Weston e nel giro di un anno divenne la sua modella preferita; nonché amante.

Correva l’anno 1921 e “Robo”, scoperta l’infedeltà della moglie, scappò in Messico, seguito a breve dalla Modotti che, però, giunse a Città del Messico troppo tardi, in quanto egli era morto da ormai due giorni, a causa del vaiolo.

In Messico, vi ritornerà nel 1923, assieme a Weston ed uno dei suoi quattro figli, lasciandosi indietro il resto della sua famiglia.

Modotti e Weston entrarono rapidamente in contatto con i circoli bohèmien della capitale, ed usarono questi nuovi legami per creare ed espandere il loro mercato dei ritratti.

Inoltre, la Modotti ebbe modo di conoscere diversi esponenti dell’ala radicale del comunismo, tra cui i tre funzionari del Partito Comunista Messicano, con cui ebbe tra l’altro delle relazioni sentimentali, Xavier Guerrero, Julio Antonio Mella e Vittorio Vidali.

Fu amica, e probabilmente anche amante, della pittrice Frida Kahlo, militante comunista e femminista nel Messico degli anni venti.

Il 1927 fu l’anno dell’iscrizione al PCM e l’inizio della fase più intensa del suo attivismo politico.

Fu in quel periodo che diede il via alla sua attività fotografica.

La carriera di Tina Modotti potrebbe essere divisa in due periodi: quello romantico e quello rivoluzionario.

Il primo include il periodo trascorso con Weston come assistente in camera oscura, poi come contabile e infine come assistente creativo. Insieme aprirono uno studio di ritrattistica a Città del Messico e ricevettero l’incarico di viaggiare per il Messico per fare fotografie da pubblicare nel libro “Idols Behind Altars”, di Anita Brenner.

Fu allora che venne scelta come “fotografa ufficiale” del movimento muralista messicano ed in risposta lei immortalò i lavori di José Clemente Orozco e di Diego Rivera.

Nel dicembre del 1929 una sua mostra venne pubblicizzata come “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”: fu l’apice della sua carriera di fotografa.

All’incirca un anno dopo, fu costretta a lasciare la macchina fotografica dopo l’espulsione dal Messico e, a parte poche eccezioni, non scattò più fotografie nei dodici anni che le rimanevano da vivere.

Esiliata dalla sua patria adottiva, per un periodo la Modotti viaggiò in giro per l’Europa per poi stabilirsi a Mosca, in Russia, dove si unì alla polizia segreta sovietica, che la utilizzò per varie missioni in Francia ed Europa orientale.

Se dal dicembre 1930, ufficialmente, operò per il Soccorso Rosso Internazionale; quando nel 1936 scoppiò la Guerra civile spagnola si trovava nella penisola iberica.

Lei e Vittorio Vidali, sotto i nomi di battaglia di Maria e Comandante Carlos, si unirono alle Brigate Internazionali, rimanendo in Spagna fino al 1939.

Nel 1939, dopo il collasso del movimento repubblicano, la Modotti lasciò la Spagna con Vidali per tornare in Messico sotto falso nome.

Secondo alcuni storici, la fotografa fu implicata, assieme al suo amante Vittorio Vidali nell’assassinio di Lev Trockij.

Tina Modotti morì a Città del Messico il 5 gennaio del 1942, secondo alcuni in circostanze sospette.

Dopo aver avuto la notizia della sua morte, Diego Rivera affermò che fosse stata assassinata, e che Vidali stesso fosse stato l’autore dell’omicidio.

Tina poteva “sapere troppo” delle attività di Vidali in Spagna durante la guerra civile, incluse le voci riguardanti più di 400 esecuzioni.

Più probabilmente, quella notte Tina, dopo aver cenato con amici in casa dell’architetto svizzero Hannes Meyer, fu colpita da un infarto, e morì nel taxi che la stava riportando a casa.

La sua tomba è nel grande Panteón de Dolores a Città del Messico.

Il poeta Pablo Neruda, indignato dalle accuse fatte a Vittorio Vidali, compose il suo epitaffio in cui è indicato anche lo sciacallaggio riferibile a quelle infamie; di questo componimento una parte può essere trovata sulla lapide della Modotti, che include anche un suo ritratto in bassorilievo fatto dall’incisore Leopoldo Méndez:

«Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa

di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.

Riposa dolcemente, sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:

ti sei messa una nuova veste di semente profonda

e il tuo soave silenzio si colma di radici.

Non dormirai invano, sorella.

Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:

di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,

d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,

la tua delicata struttura.

Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato

ancora protende la penna e l’anima insanguinata

come se tu potessi, sorella, risollevarti

e sorridere sopra il fango.

Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,

nella mia patria di neve perché alla tua purezza

non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:

laggiù starai in pace.

Lo senti quel passo, un passo pieno di passi, qualcosa

di grandioso che viene dalla steppa, dal Don, dal freddo?

Lo senti quel passo fiero di soldato sulla neve?

Sorella, sono i tuoi passi.

Verranno un giorno sulla tua piccola tomba

prima che le rose di ieri si disperdano,

verranno a vedere quelli d’una volta, domani,

là dove sta bruciando il tuo silenzio.

Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.

Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca

nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.

Valoroso era il tuo cuore.

Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade

polverose, qualcosa si mormora e passa,

qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,

qualcosa si desta e canta.

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,

quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,

col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.

Perché il fuoco non muore.»

Pablo Neruda 5 gennaio 1942, epitaffio dedicato a Tina Modotti

Guarda “I grandi fotografi – Tina Modotti“:

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