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In Italia viene approvata la giornata lavorativa di 8 ore

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Il 10 Marzo 1923 il Consiglio dei Ministri approva finalmente il decreto legge relativo alla riduzione della giornata lavorativa.

La giornata di 8 ore infatti, non fu richiesta al padronato o al governo, ma imposta dal basso, dalle rivendicazioni operaie e contadine che cominciarono a imporsi con insistenza nei primi decenni del XVIII secolo, per giungere ai primi riconoscimenti con i moti rivoluzionari del 1848. Va comunque ricordato che Marx non disprezzava affatto la regolamentazione dell’orario per legge (che veniva rifiutata dai proudhoniani) pur sapendo bene che la riduzione effettiva sarebbe stata in definitiva il frutto di mutati rapporti di forza e non soltanto di una legge. Su proposta di Marx infatti, nel primo congresso dell’Internazionale (Ginevra 1866) fu votata questa risoluzione: “Noi dichiariamo che la limitazione dell’orario di lavoro è la condizione indispensabile perché gli sforzi per emancipare i lavoratori non falliscano”, e di conseguenza veniva proposto che il limite legale per l’orario di lavoro fosse di 8 ore.

 La legge varata nel 1923 comunque, non è aliena da ambiguità e colpi di mano da parte dell’esecutivo fascista, e persino un quotidiano certamente non troppo vicino alle istanze dei lavoratori come La Stampa fu in grado di cogliere queste incongruenze in un articolo dell’11 marzo 1923, di cui trascriviamo un estratto: “La risoluzione delle questioni più importanti (caratteri del lavoro effettivo, ripartizione dell’orario massimo normale, periodi ultra settimanali, reclami regolamentari, deroghe temporanee, dilazione di termini), è riservata al Comitato permanente del lavoro, ossia al giudizio di pochi rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, quasi che il Governo possa sottrarsi a qualunque responsabilità in materia che tocca tutta l’economia nazionale. Ma, soprattutto, si notano nel progetto disposizioni che, per essere in evidente contrasto con la situazione reale del paese e con le possibilità dell’industria, e dell’agricoltura, non avrebbero altro risultato che quello di far sorgere nei lavoratori pericolose illusioni o di fomentare conflitti, come quelle che impongono per il lavoro straordinario un aumento del 25 % sulla paga e un aumento di salario nei casi in cui l’applicazione della legge importi una riduzione dell’orario attualmente in vigore perché in opposizione con l’interesse e con la volontà dei lavoratori. Quando pure fosse possibile ottenere l’osservanza di queste disposizioni, esse si tradurrebbero in ingiuste limitazioni della libertà dei singoli e in una vessazione dell’industria come quella che vieta il lavoro oltre orario a domicilio o per altre aziende”.

Guarda “Le Otto Ore“:

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