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La maglia che non piace a Israele

Le reazioni non si sono fatte attendere. Il  presidente della comunità ebraica cilena, Gerardo Gorodischer, ha chiesto che venga vietato l’utilizzo delle maglie e ha preteso le scuse da parte della squadra per «aver utilizzato lo sport al fine della menzogna e dell’odio».

Si è scomodato perfino il Centro Simon Wiesenthal, organizzazione statunitense che prende il nome dal famoso cacciatore di nazisti, che ha chiesto alla Fifa e alla Federcalcio cilena di sanzionare il Deportivo Palestino, colpevole di “fomentare istinti terroristici”.

Neanche la risposta del club si è fatta attendere, mandando una missiva in cui ricorda come il Cile nel 2011 abbia riconosciuto l’indipendenza dello Stato Palestinese e come «i simboli palestinesi esistono in Cile da 28 anni prima che avvenisse la spartizione dei territori medio-orientali».

Il Deportivo Palestino venne fondato nel 1920 da immigrati palestinesi a Osorno  che ora, con oltre 300mila persone, è da considerarsi la più grande comunità al di fuori del Medio Oriente tra immigrati di prima, seconda e terza generazione.

Il club risponde così all’ipocrisia di tale indignazione rivendicando la sua storia gloriosa e l’immagine sulle maglie precisando: “Per noi, la Palestina libera sarà sempre la Palestina storica, niente di meno.”

Un gesto, quello del club cileno, che si unisce alle azioni di boicottaggio che si stanno susseguendo in tutto il mondo contro Israele. Di poche settimane fa è infatti la notizia che il fondo pensionistico olandese PGGM, tra i più grandi in Olanda, con un capitale investito di circa 150 miliardi di euro, ha ritirato i suoi investimenti da cinque delle maggiori banche di Israele.

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