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Comandata la memoria dimenticata la rabbia

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Nello spazio del sacro si rappresenta ciò che è lecito e fuori dal quale si confina ciò che non lo è. La sua linea si confonde con quella della legge, della cultura e finanche della civiltà. È lo spazio dell’ideologia dominante. Un’altra giornata della memoria per dimenticare che l’ordine vittorioso non è stato quello delle vittime ma quello dell’espiazione dell’occidente. Per salvarsi. Per salvare la legittimità della politica. Nonostante la Shoah.

L’eredità delle vittime è stata ricomposta dentro la Nazione. Gli ebrei sono stati fatti israeliani. Le storie di uomini e donne davanti ai nazisti sono diventate la tragedia dell’intera umanità e di un popolo elevato a tragedia totale dell’umanità. E ogni qual volta si chiama in causa l’umanità – nella sua universalità – si staglia il fantasma della sua forma storica concreta attualmente dominante come unico pretendente ad animare, controllare, governare il corpo della difforme vita sociale sulla terra. Basta. Ancora l’Occidente. Ancora la predazione. Ancora un sogno di dominio. Alla sua ambizione senza tempo e valida in ogni dove serve resistere con una genealogia, l’autonomia di una storia-contro, con sue ragioni specifiche e irriducibili, perché non siamo al servizio di nessun igiene pubblico condiviso se viviamo per resistere come parte all’ordine vigente.

Le equazioni storiche sono sempre esercizi grossolani. Non si tratta di dire che i sionisti in divisa sono i nazisti della terra di Palestina. Si tratta di riconoscere come, ad esempio, l’impotenza davanti a Israele e l’impunità accordatale sia un problema di una coscienza storica specifica: occidentale, democratica, dominante. Non la nostra. O la nostra in quanto nostra parte nemica. Da vincere.
Ogni fondato, specifico e situato moto di ribellione è approssimato all’iperbole della più grande tragedia universale che sostituisce l’espiazione suprema all’azione in questo nostro tempo. Al contrario, vorremmo ricordare. Dobbiamo allora smarcarci dalla cerimonia che assolve questa civiltà dal suo crimine massimo per conservarsi tale e quale a prima. Non siamo la stessa cosa.

“La voce: «C’è una unicità della Shoah».
Il rischio di revocare al genocidio nazista la sua singolarità esiste e voi avete ragione a indicarlo. La tentazione negazionista incombe tra gli antisemiti. Ma aver lasciato che la commemorazione del genocidio nazista diventasse una “religione civile europea” fa temere il peggio poiché, in una religione, o si crede o non si crede. L’ateismo al riguardo viene emulato, si riproduce. Che piaccia o no a Claude Lanzmann, il tempo della blasfemia è giunto. Contro il suo “Qui, non ci sono dei perché” bisogna al contrario continuare a interrogarsi sulla genealogia di questo crimine. Se veramente voi temete il negazionismo, diventa urgente far piazza pulita di queste ideologie che vi glorificano come vittime supreme e creano delle gerarchie nell’orrore.”

Sono parole di Houria Bouteldja, militante anticoloniale franco-algerina. L’impotenza è irretita in una memoria codificata che passa per l’educazione e una prassi democratica. Una cura per far progredire l’insensibilità, un’attività come un’altra, un’abitudine programmata: il minuto di silenzio a scuola, le mostre, le celebrazioni e le conferenze, i viaggi d’istruzione ad Auschwitz con Lotito come compagno di viaggio, “famo sta sceneggiata”. Rovinano tutto. Tutto è innalzato a valore supremo, ma le bocche addette a declamare parole solenni sono marce. Qual è l’istituzione educativa preposta a insegnare cosa? E con quale autorevolezza? Gli slogans pesanti, la vita distante. Rubano tutto. Equiparano tutto, pur di assorbirlo e neutralizzarlo. Antifascismo è uguale ad antisemitismo che è uguale a democrazia. Sono le linee difensive dell’autorità dominante, ancora quella democratica, ancora quella occidentale. Chi è contro la loro società? C’è bisogno di esserlo. Non bastano questi sofismi per renderli immuni dal nostro odio, che ci salva, che ci permette di ricordare chi siamo e lottare contro le mistificazioni. Il PD sfila oggi ovunque nella giornata della memoria, rivendicando il suo antifascismo. Non saranno immuni dall’odio che si sono attirati. Ipocriti.

“Quando i bianchi romperanno con il filosemitismo compiaciuto – aggiunge Bouteldja – prenderanno il cammino più breve per mettere fine all’antisemitismo. Non soltanto l’antisemitismo di estrema destra, il più volgare. Quello della repubblica. Quello che sonnecchia dentro ai democratici, quello che non sono mai riusciti a estirpare e di cui temono il risveglio, non avendo rinunciato alla bianchità. È questo ciò che li condanna a braccare l’antisemitismo ovunque, anche dove non c’è, e a camminare sull’orlo del precipizio al fondo del quali li attende, paziente e avida, “la bestia immonda”. Quando avrete rotto con il sionismo, prenderete il cammino più breve per mettere fine al cerchio infernale
dove sionismo e antisemitismo si alimentano senza posa, e nel quale voi non cesserete mai di perdervi. Quanto a noi, l’antisionismo è la nostra terra d’asilo. Sotto il suo alto patrocinio resistiamo all’integrazione proseguendo la battaglia per la liberazione dei dannati della terra.”

Perché ci preoccupiamo? È solo morale borghese, in fondo. Appunto. Ci stucca il rito. La sua ipocrisia. Palato troppo fine? Il problema non è l’ideologia ma quando questa non aderisce alla realtà di cui si fa esperienza e non la controlla, e sotto cova un’altra morale, proletaria, egoista, particolare che nessuno decifra, che alleva demoni e speranze. Questa morale non condivide il mondo di quelli che hanno bisogno di mostrare di pentirsi per abilitarsi tra i ranghi dei giusti, quelli autorizzati a stare al mondo per poter governare su altri uomini, con la democrazia, s’intende. L’umanità non ci appartiene. La dobbiamo conquistare. Non sarà di tutti, perché non si sa che ne resterà, di cosa avremo memoria… non abbiamo aspettato questa giornata per ricordare, ogni giorno ricordiamo che l’autoassoluzione di questa civiltà impenitente non la condivideremo mai.

 

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Le citazioni di Houria Bouteldja sono tratte da “I bianchi, gli ebrei e noi”, Sensibili alle foglie, 2017.

 

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