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Maduro, sulle orme di Chávez

L’ex vice assume la presidenza ad interim. Ma la destra di Capriles insorge. Il popolo per le strade della capitale tra pentole e slogan. Nuove elezioni verso il 14 aprile 

Il Venezuela tornerà al voto per eleggere un nuovo presidente «probabilmente» il 14 aprile. Al momento di andare in stampa, il Consiglio nazionale elettorale (Cne) lo ha deciso nel corso di una sessione straordinaria. Venerdì non lo aveva ancora comunicato ufficialmente, ma secondo voci accreditate, era orientato per il 14. Dopo i solenni funerali di Hugo Chávez – morto martedì 5 per un tumore -, Nicolas Maduro ha assunto l’incarico di presidente ad interim, giurando davanti al Parlamento.

Subito dopo, ha sollecitato il Cne a fissare nuove elezioni e ha nominato come vicepresidente esecutivo Jorge Arreaza. Presente, una delegazione internazionale di 29 paesi, guidata dal presidente dell’Ecuador Rafael Correa. Per l’opposizione, c’erano solo alcuni deputati del Copei. Tutti gli altri hanno disertato, seguendo l’invito del governatore di Miranda, Enrique Capriles, il candidato della Mesa de la unidad democratica (Mud), sconfitto da Chávez alle presidenziali del 7 ottobre. Capriles ha duramente contestato la sentenza per direttissima emessa dal Tribunal supremo de justicia (Tsj), secondo la quale il vicepresidente Maduro può continuare a esercitare l’interim come presidente incaricato e convocare elezioni anticipate entro 30 giorni. «Nicolas, nessuno ti ha eletto presidente, il popolo non ha votato per te. Cupartito un concerto di pentole, che i chavisti hanno cercato di coprire con gli slogan: «Chávez non è morto, si è moltiplicato», «Chávez è vivo, la lotta continua». Anche in Parlamento c’erano alcuni collettivi di lavoratori, che hanno accompagnato la seduta con la promessa: «Chávez te lo giuro, il mio voto è per Maduro».

Il presidente incaricato ha iniziato il suo discorso scusandosi per la commozione: «Scusate per queste lacrime – ha esordito – ma questa presidenza appartiene al nostro comandante. E scusate se parlo di me, ma questa è ba non comanderà in Venezuela», ha detto il leader del partito Premiero Justicia. Poi ha apostrofato i magistrati della Corte suprema: «Signori del Tsj voi non siete il popolo, non scegliete il presidente». Brandendo la Costituzione (lungamente disconosciuta dal suo schieramento) ha affermato che né il vicepresidente né ministri o governatori possono concorrere per le elezioni popolari nell’esercizio delle proprie funzioni. E ha invitato i suoi alla disobbedienza civile. Subito dopo, in alcuni quartieri della capitale è una circostanza eccezionale».

Poi ha ricordato le sue origini e i suoi trascorsi: l’impegno nel movimento bolivariano, quello nelle organizzazioni studentesche, nel sindacato e poi al ministero degli Esteri: «Non vengo dalla culla dorata delle oligarchie – ha detto – non sono ambizioso o vanitoso né ho aspirato a questo incarico, perché avevamo un presidente che ci stava bene e che ora porto nel cuore. Sono solo un militante della rivoluzione». Ha raccontato dubbi e problemi emersi nel corso della malattia di Chávez. Una strana, improvvisa e devastante malattia, ha affermato, tornando a ventilare il sospetto che il cancro gli sia stato inoculato «dai soliti nemici». «L’8 giugno del 2011 – ha ricordato – ritornavamo dal Brasile e dall’Ecuador, il presidente stava così male da non riuscire a sedersi per tutto il viaggio. Il giorno dopo, i medici hanno deciso per la prima operazione, l’11 luglio». Allora, Chávez aveva comunicato al paese di aver un tumore «grande come una palla da baseball», dicendosi comunque fiducioso nella guarigione. Maduro ha precisato invece che, al suo staff, il presidente aveva confessato un’intuizione: «Sono sicuro che sarà peggio di quel che dicono i medici», quindi aveva stabilito le tappe politiche successive «con molta determinazione, come se stesse combattendo una battaglia oltre la vita». A dicembre scorso – ha proseguito Maduro -, quando Chávez è stato costretto a operarsi per la quarta volta, mi ha detto: «Se non supero questa operazione o se la situazione si prolunga, io me ne vado, tu dovrai guidare il popolo verso un nuovo processo democratico e costituzionale, per un voto libero».

Un percorso tracciato poco prima dal presidente dell’Assemblea, Disosdado Cabello che ha risposto all’opposizione rileggendo gli articoli della costituzione su cui si è basata la sentenza del Tsj e il giuramento di Maduro: il 233, che definisce i termini dell’assenza assoluta del presidente della Repubblica e propone l’interim di governo per indire nuove elezioni venga assunto dal presidente del Parlamento o dal vicepresidente esecutivo. La sentenza del Tsj ha optato per la seconda ipotesi. In base all’articolo 231, il Tsj aveva soprasseduto all’assenza poiché non esisteva «interruzione nell’esercizio delle funzioni». Già allora, la destra aveva contestato la decisione presentando un ricorso, respinto. Nei piani della Mud – che ha giocato la carta della divisione tra Cabello e Maduro – una gestione temporanea di Cabello verso nuove elezioni sarebbe stata meno favorevole al chavismo, perché avrebbe lasciato meno opportunità di far apprezzare una gestione Maduro, preferita da Chávez. «Unità, unità», aveva raccomandato il defunto presidente durante il suo ultimo discorso, pronunciato, come un testamento, nel breve ritorno da Cuba, l’8 dicembre. Dopo la vittoria schiacciante del campo bolivariano alle elezioni regionali del 16 dicembre (in 20 stati su 23), la leadership chavista si è però ricompattata su quella raccomandazione. Non così il campo della Mud, che ha nuovamente designato Capriles come candidato ma ha anche ventilato l’ipotesi di ritirarsi dalla competizione elettorale.

Geraldina Colotti

da Il Manifesto

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