
Alta tensione in Zimbabwe, i militari prendono il potere ad Harare

Nel corso delle ultime ore in Zimbabwe si sono consumati eventi di notevolissima importanza.
Il presidente della repubblica africana Robert Mugabe e tre dei principali ministri sono stati arrestati e posti ai domiciliari. La moglie del capo di stato, Grace Mugabe, anche lei ricercata, pare invece essere riuscita a fuggire all’estero. Nel frattempo l’esercito ha assunto il controllo della capitale Harare e i mezzi corazzati controllano gli accessi dei principali centri istituzionali, tra cui le sedi del parlamento, del partito di governo (Zanu-Pf) e della tv di stato, oltre che la dimora privata del presidente, dove quest’ultimo sarebbe attualmente detenuto sotto stretta sorveglianza.
In un intervento trasmesso dalla tv di stato, per tramite di un suo rappresentante, l’esercito ha rivendicato l’operazione, dichiarando l’intenzione di “prendere di mira i criminali che circondano lo stato e che stanno provocando sofferenze economiche e sociali”. In sintesi, stando ai fatti ad ora noti, malgrado il proseguo del discorso dei militari, che si sono sforzati di rassicurare l’opinione pubblica internazionale sul carattere meramente transitorio della propria presa di potere, pare sia consono parlare di un colpo di stato de facto.
In ogni caso il precipitare del paese in questa escalation non costituisce un che di improvviso ed imprevedibile. Messo in ginocchio da una crisi economica e sociale imponente, lo Zimbabwe si era reso infatti negli ultimi anni teatro di scontri politici decisamente accesi. Sempre più difficilmente in grado di emarginare la dilagante opposizione sociale al proprio governo, il presidente Mugabe – 93 anni, il più anziano leader politico al mondo – era stato costretto in tempi recenti a fare i conti anche con le aspre battaglie interne che accendevano le dispute tra gli aspiranti alla sua successione.
I fedeli del presidente, infatti, si erano ormai sempre più irrimediabilmente divisi in due correnti: da un lato i giovani del partito, uniti sotto la sigla “Generazione 40”, che sostenevano la candidatura alla successione della moglie di Mugabe, dall’altro i membri del cosiddetto “Team Lacoste”, dal soprannome assegnato al vice presidente e altro potenziale erede alla presidenza, “Il Coccodrillo” Emmerson Mangagawa.
La scelta di Mugabe di mantenere la propria eredità all’interno della famiglia, favorendo l’ascesa della propria consorte, la citata Grace Mugabe, di 44 anni più giovane di lui, aveva perciò alimentato il malcontento all’interno del partito di governo, generando una sempre più evidente inconciliabilità delle posizioni, culminata, lo scorso 8 novembre, nell’epurazione di Mangagawa.
Quest’ultimo potrebbe avere avuto un ruolo di primo piano nella decisione dei militari di passare all’azione contro il pericolo del rafforzamento della posizione dell’ambiziosa Grace, come confermerebbero le dichiarazioni della fazione ora dominante nel Zanu-pf, che sostiene la linea dei militari e indica Mangagawa, tornato nel paese questa mattina, come potenziale candidato a svolgere un ruolo chiave nel processo di transizione. Sulle modalità di questa transizione, tuttavia, rimangono molte le incertezze, in particolare in ragione di come si evolveranno gli eventi in relazione allo scacchiere internazionale e al futuro personale di Mugabe, che potrebbe essere sottoposto ad attacchi personali più duri in caso di rifiuto di scendere a patti con i nuovi detentori del potere.
Da questo punto di vista, infatti, sono molti gli attori che guardano con attenzione e preoccupazione ad Harare. Primo tra tutti il Sud Africa che, come principale potenza della regione, ha espresso il preciso intento di spendersi affinché la situazione resti sotto controllo e si possano evitare ulteriori precipitazioni. Altrettanto favorevole al mantenimento della calma è naturalmente la Cina che tuttavia, alleato storico di Mugabe e uno dei principali partner commerciali dello Zimbabwe, avrebbe con ogni probabilità preferito una transizione più serena benché, a quanto risulta, nei giorni precedenti l’operazione abbia in definitiva dato il proprio bene stare ai comandi militari.
Ancora più controversa risulta essere la posizione delle potenze occidentali, sospesa tra la necessità di mantenere salda la stabilità del paese in ragione dei propri interessi economici e l’opportunità di sostituire l’odiato presidente, che negli anni si era guadagnato nell’Unione Europea e negli Usa lo status di “persona non gradita”, con un’alternativa il più possibile accomodante.
In ogni caso sembrerebbe che nessuno dei maggiori attori internazionali possa vedere positivamente il prorompente dilagare del caos in Zimbabwe; tuttavia, con sullo sfondo una questione sociale potenzialmente esplosiva e l’oggettivo sotterraneo muoversi di interessi contrastanti tra le potenze estere, che si riversa su fratture interne ancora non perfettamente discernibili, non è da escludere che nei prossimi giorni si verifichino eventi in grado di mettere ulteriormente in discussione la stabilità del paese.
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