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Milano: prove di militarizzazione, la nuova realtà del fascismo

 Più che mani­fe­sta­zioni, sfi­late di tipo para­mi­li­tare con i par­te­ci­panti dispo­sti non per file, ma inco­lon­nati e in movi­mento al passo dei tam­buri. Nes­suno ai lati. Tutti in divisa: magliette o felpe nere, pan­ta­loni dello stesso colore, anfibi ai piedi. Mol­tis­sime le fiac­cole. Davanti, ad aprire il cor­teo, un nugolo di ban­diere con la croce cel­tica. Così la mani­fe­sta­zione neo­fa­sci­sta di Milano lo scorso 29 aprile, pre­senti tutte le sigle dell’estrema destra, orga­niz­zata per com­me­mo­rare oltre ai caduti mis­sini degli anni Set­tanta, Ser­gio Ramelli ed Enrico Pede­novi, Carlo Bor­sani, un gerarca fasci­sta, fir­ma­ta­rio del Mani­fe­sto sulla razza, non­ché col­la­bo­ra­tore dei nazi­sti, fuci­lato dai par­ti­giani alla libe­ra­zione della città.

 Un colpo d’occhio inquie­tante: quasi un migliaio di per­sone, giunte anche da altre loca­lità lom­barde, saluti romani con il «pre­sente» gri­dato davanti alle lapidi (abu­siva quella per Bor­sani), a comando, nel silen­zio gene­rale, dopo l’«attenti». Quasi una piazza d’armi.

 Tra marzo e aprile, sem­pre a Milano, rap­pre­sen­ta­zioni simili si erano già svolte tra i via­letti del cimi­tero Monu­men­tale e di quello Mag­giore, il 23 marzo per ono­rare «i mar­tiri della Rivo­lu­zione fasci­sta», ovvero gli squa­dri­sti degli anni Venti caduti «in ser­vi­zio», alcuni dei quali tumu­lati in una cripta posta sotto un monu­mento fatto eri­gere da Benito Mus­so­lini nel 1925, e il 25 aprile al Campo X dove sono rac­colti i resti di quasi un migliaio di repub­bli­chini, periti tra il 1943 e il 1945, tra loro Ales­san­dro Pavo­lini, il coman­dante delle Bri­gate nere, Fran­ce­sco Colombo, il fon­da­tore della Legione Muti, diversi gerar­chi fuci­lati a Dongo, alcuni sgherri della banda Kock, nume­rosi militi della Decima Mas e una decina di SS ita­liane. Anche qui la stessa sce­no­gra­fia: colonne in nero, alcuni con tuta mime­tica, a passo di mar­cia, tra i fre­quen­ta­tori sbi­got­titi dei due cam­po­santi. Incre­di­bile l’assenza di rispo­ste isti­tu­zio­nali, anche da parte dell’assessore com­pe­tente dei cimiteri.

 Siamo di fronte a un fatto nuovo, a un salto di qua­lità non solo nelle coreo­gra­fie ma di sostanza, con l’introduzione di evi­denti atteg­gia­menti e pose mili­ta­re­sche, con una pro­gres­siva tra­sfor­ma­zione della stessa vita interna delle orga­niz­za­zioni neo­fa­sci­ste mila­nesi. Un’autentica muta­zione. Molti i segnali: adde­stra­menti alla mar­cia, rispetto asso­luto della disci­plina, gerar­chie dise­gnate sulla base della forza fisica, una sorta di «non­ni­smo» (ai più gio­vani le incom­benza manuali, attac­chi­naggi com­presi), «puni­zioni» anche fisi­che per i mili­tanti che sgar­rano, magari rom­pendo le righe anzi tempo. Pugni e calci. Peg­gio della caserma.

 Ciò che sta acca­dendo non va sot­to­va­lu­tato. La ripresa d’iniziativa di que­sti anni da parte del varie­gato uni­verso neo­fa­sci­sta sta assu­mendo a Milano carat­te­ri­sti­che pre­oc­cu­panti. Un modello quasi unico nel pano­rama nazio­nale. Non si tratta solo dell’apertura di nuove sedi, della pre­senza di ban­chetti o gazebi di pro­pa­ganda. Si tratta del ten­ta­tivo di occu­pare spazi riven­di­can­doli con la forza. La pro­spet­tiva è quella dello scon­tro. Que­sto il senso delle mani­fe­sta­zioni recenti, a par­tire dal 29 aprile, vere e pro­prie esi­bi­zioni musco­lari a mar­care una piazza alter­na­tiva al 25 aprile. Alcune delle stesse for­ma­zioni pro­mo­trici degli eventi ricor­dati si stanno signi­fi­ca­ti­va­mente strut­tu­rando. Lealtà azione, nata da una costola degli Ham­mer­skin, si muove ormai, per sua stessa ammis­sione, ispi­ran­dosi alla vita dei lupi (uno degli emblemi adot­tati), riu­niti in branco, fedeli e sot­to­messi a un capo asso­luto, pronti a «sbranare».

 Si riten­gono evi­den­te­mente maturi i tempi e favo­re­voli le con­di­zioni di fronte a isti­tu­zioni locali, sin­daco Pisa­pia e giunta com­presi, capaci il più delle volte solo di fle­bili sus­surri, alla bene­vo­lenza della que­stura, una garan­zia per lo svol­gi­mento senza grandi intoppi delle ini­zia­tive, e ai limiti di un anti­fa­sci­smo che non ha ancora colto fino in fondo la par­tita che si sta giocando.

Di Saverio Ferrari per Il manifesto

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