Bologna da “Rosso”
BOLOGNA CITTA’ A MISURA D’UOMO: MA QUALE?
Queste case non basta occuparle.
La nuova fase dell’autoriduzione a Bologna segna il passaggio della gestione dell’intervento nei quartieri dalle forze istituzionali (Pdup), che se la sono squagliata non appena la lotta si è fatta dura, alle forze autonome. Ma c’è un limite organico in questa forma di lotta, fin quando non si riesce a farla crescere ed a collocarla in un processo di appropriazione.
Questo problema si sta ponendo: le migliaia di studenti che arrivano a Bologna e non trovano casa, che sono respinti dalle istituzioni universitarie, sono scese in lotta per primi.
Tre case sono state occupate nelle ultime settimane dagli studenti fuori sede.
Ma il discorso si sta estendendo; molti altri arrivano; la casa non ce l’hanno; su questo la discussione s’è aperta nel movimento; ma occorre far crescere nuove possibilità; non si tratta più semplicemente di occupare le case per i fuorisede, si tratta di costruire spazi che oltre ad ospitare i giovani che non hanno la casa, possano funzionare come punti di riferimento per quei giovani proletari, studenti medi, che nel quartiere non trovano che la miseria della partecipazione democratica al riformismo, e poi l’isolamento e lo squallore della famiglia.
Bologna è una città a misura d’uomo per gli intellettuali ed i burocrati che abitano nel centro storico, o nei quartieri residenziali, ma non per i giovani del lavoro saltuario, per le donne del lavoro a domicilio, per gli studenti costretti nell’isolamento dei quartieri dormitorio.
I compagni che organizzano l’autoriduzione di questo se ne sono resi conto. Il quartiere è vuoto, i giovani non ci stanno; quando non sono in fabbrica, o a scuola, o nel laboratorio casalingo (dove la famiglia funziona come strumento di controllo sul lavoro dei figli e delle donne) gravitano verso il centro, dove ci sono i servizi, ma dove la possibilità di riconoscersi come classe, come strato socialmente e politicamente omogeneo, è ridotta a nulla.
Trasformare il quartiere da dormitorio a luogo di organizzazione e collettivizzazione è’ dunque un obiettivo su cui muoversi.
Questa è un’indicazione che cresce nei collettivi studenteschi, fra gli studenti per i quali la scuola può funzionare come luogo di raccolta e di riconoscimento, ma è sempre meno terreno reale di scontro. Del resto, però, che fanno, se non vanno a scuola?
E che fanno gli operai giovani della fabbrica diffusa nel territorio, delle mille piccole officine?
La realtà materiale dei bisogni proletari, la sessualità, i rapporti con gli altri non trovano nessun luogo in cui possano venir messi in discussione, trasformati.
È su questo che ci si può muovere; ma su questo si va allo scontro non solo con le autorità scolastiche (che hanno fatto chiudere il cinema Rialto, dove ogni mattina centinaia di studenti andavano per trovarsi insieme e non andare a scuola). Non solo con i padroni delle case, ma con lo stesso PCI, rappresentante del padrone sociale, difensore delle caratteristiche non metropolitane di Bologna dei «valori» e della sanità morale di una «popolazione laboriosa» perché la struttura territoriale, familiare, istituzionale costringe all’isolamento e quindi al lavoro.
E infatti, lo abbiamo visto alla Beverara, il quartiere in cui un gruppo di compagni disponeva di un posto dove si poteva stare insieme, parlare, fare i cazzi propri.
Il PCI è arrivato, ed ha detto che lì si fumava (embè?…), e che ci stavano gli estremisti. Per cui li ha sfrattati, ed ora non si sa se ci va a fare un centro civico per farci parlare gli assessori o qualcosa del genere. Comunque, un posto dove si fumeranno solo le Nazionali.
Che su questo isolamento possano cominciare a prosperare – come accade a San Donato, quartiere di forte immigrazione – gli spacciatori di eroina, questo al PCI non importa. Non si sa forse che, se non si è buoni lavoratori, leali col padrone sociale, si è drogati e delinquenti?
Ma se si comincia a prendere ed a mettere in discussione in un luogo che il movimento si conquista il tempo, il corpo, l’autonomia di cui il capitale ci ha espropriato, allora il vecchio ricatto: o produttività o autodistruzione, o responsabilità democratica o emarginazione, salterebbe anche nella città della collaborazione e del riformismo.
da «Rosso. Giornale dentro il movimento», 12 novembre 1975, n. 3
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