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Milano: la battaglia di Via Solferino

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L’otto giugno il Movimento Studentesco decide in una riunione ristretta di indire un processo pubblico e una manifestazione durissima contro il “Corriere della Sera” reo di aver organizzato una campagna diffamatoria contro il movimento e la contestazione. Fu scelto un piano che prevedesse un metodo di attacco diverso da quello tradizionale. La polizia e il Corriere si aspettavano: raduno, corteo e occupazione. Invece il Movimento decise di bloccare i pulmini del giornale per impedirne la distribuzione.

Così per alcuni giorni tutti i compagni incaricati girano intorno alla zona di via Solferino, mappe alla mano per segnare le strade adiacenti al Corriere, e per individuare le caserme, i lavori in corso da trasformare in depositi di porfido, il percorso dei camioncini diretti alla centrale o all’aeroporto di Linate.

Il comizio processo della Marina Lavaggi dura due ore in Piazza del Duomo, completamente circondata da Caschi blu e PS. Il corteo si allontana quasi in silenzio da piazza del Duomo, ma giunto in largo Treves di fronte a via Solferino, si divide in quattro tronconi: uno imbocca via Statuto, altri due si dirigono in piazza San Marco, l’ultimo si ferma in largo Treves, circondando praticamente l’edificio del Corriere, mentre la polizia intravede la mossa come una divisione del Movimento e una rinuncia agli scontri. Ogni troncone era munito di catenelle per unire le auto in mezzo alla strada, razzi di segnalazione, biglie per ostacolare le cariche.

Alle 23.30 un razzo luminoso parte da largo Treves e scoppia in cielo: è il segnale. In pochi minuti le barricate vengono fatte, le auto incatenate, mentre più indietro i compagni preparano le bottiglie incendiare. L’ordine era di non tirare ai poliziotti ma dovevano servire ad incendiare le barricate per

ritardare le cariche della polizia, coprire la fuga e dare il tempo per costruire una seconda barricata con le auto più indietro e così via. L’ordine era:

DA VIA SOLFERINO A TUTTO IL CENTRO, DOVEVA ESSERE MESSA A FERRO E FUOCO, MA IL CORRIERE NON SAREBBE USCITO.

Verso mezzanotte iniziano le prime cariche, e sotto una pioggia di candelotti si abbandona la prima barricata, quando poi i poliziotti superano il primo ostacolo inciampano e cadono a terra grazie a centinaia di biglie di vetro sparse sulla strada. Così si ha il tempo per costruire una seconda barricata respingendo il primo assalto con lancio di mattoni e pietre prese da un vicino cantiere.

Una staffetta motorizzata fa la spola tra i vari gruppi comunicando difficoltà e risultati degli scontri; cariche e movimenti hanno fatto si che ora i focolai degli scontri sono sei: Solferino, Brera, San Marco, Moscova, Garibaldi, via Legnano. Ma è un continuo moltiplicarsi di barricate e scontri. La polizia non sa più dove andare, come arginare. La difesa del Corriere, che era stata così accuratamente preparata, si trovava ad essere superflua dal momento che non di assalto si trattava ma di accerchiamento a distanza. È l’una e trenta e i camioncini del Corriere per il centro Italia sono bloccati. La battaglia dura quasi cinque ore. Fino alle quattro del mattino il Movimento ha impegnato il battaglione Padova, il terzo Celere di Alessandria, insomma i migliori, quelli specializzati nel pestaggio degli operai.

Finiti gli scontri iniziarono i rastrellamenti e posti di blocco: trecentocinquanta furono i fermi.

 

 

Fonte: Bodosproject

 

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