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Mara Cagol muore in un conflitto a fuoco

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Il 5 giugno ricorre la morte della brigatista Margherita “Mara” Cagol, rimasta uccisa in uno scontro a fuoco coi carabinieri nel 1975.

Nata a Sardagna di Trento il 10 aprile del 1945, Mara Cagol comincia ad avvicinarsi ed appassionarsi all’impegno politico e militante con i primi fuochi di rivolta del ’68. Sempre in quegli anni conosce Renato Curcio, anch’egli tra i fondatori delle Brigate Rosse, che sposa nel ’69 e con cui rimarrà fino alla precoce morte. All’inizio degli anni ’70 i due si trasferiscono a Milano, dove fondano il Collettivo politico metropolitano; di lì a pochi mesi, assieme ad altri compagni, costituiranno l’embrione delle BR. Dopo l’evasione di Curcio, messa a colpo nel febbraio del 1975, in giugno il gruppo organizza il rapimento dell’industriale piemontese Vittorio Vallarino Gancia, che viene trasportato in una cascina di Arzello, nei pressi di Acqui Terme. Qui rimangono a controllarlo Mara e un altro compagno, mai identificato ma di cui è stato successivamente ritrovato un diario che racconta dettagliatamente le ore trascorse nella cascina e la morte di Mara; qualcuno sostiene che si trattasse dello stesso Curcio ma tale ipotesi non è mai stata confermata. Il rapimento si è svolto senza intoppi ma un terzo brigatista che partecipa all’azione, Massimo Maraschi, viene fermato e trattenuto dai carabinieri per un incidente d’auto, mettendo così in allarme le forze dell’ordine locali. La mattina del 5, dunque, una pattuglia con quattro carabinieri giunge alla cascina. La strategia decisa prima del rapimento prevedeva di fuggire in caso di avvistamento tempestivo di forze dell’ordine, in caso contrario l’ordine era di ingaggiare un conflitto a fuoco; in entrambi i casi la vita dell’ostaggio andava salvaguardata. Tre dei carabinieri si avvicinano a piedi all’ingresso della cascina, mentre il terzo, Pietro Barberis, decide di rimanere sull’auto e di spostarla poco più in là, lontana dalla vista dei due brigatisti. Mara e il compagno, colti alla sprovvista, escono sparando dalla cascina e riescono a raggiungere un’auto con cui fuggire ma la loro corsa dura poco: dopo pochi metri scoprono la presenza del quarto carabiniere e finiscono fuori strada. I due si ritrovano sotto il tiro di Barberis, tentano una seconda fuga lanciando una bomba a mano ma il lancio fallisce; inizia la corsa per i prati, incalzata dagli spari del carabiniere, Mara viene fermata ma il compagno riesce a fuggire.

Dalle parole del suo diario si legge: “Mi affacciai dalla buca e vidi Mara seduta con le braccia alzate che imprecava contro il CC. Corsi giù per il pendio e quando stavo per arrivare dall’altra parte della collina ho sentito uno forse due colpi secchi, poi due raffiche di mitra. Per un attimo ho pensato che fosse stata la Mara ad adoperare il suo mitra, poi ebbi un brutto presentimento…” La testimonianza del brigatista termina con queste parole ma il brutto presentimento trova conferma nei titoli dei giornali della mattina successiva: Mara Cagol è stata uccisa. Da subito la versione ufficiale fornita da giornali e questura stride con quella del diario: anche nella ricostruzione definitiva dei fatti data al processo di Maraschi, la morte di Mara viene anticipata e collocata al momento in cui i due vengono fermati da Barberis, il quale sosterrà di aver intuito l’intenzione del brigatista di non essersi definitivamente arreso e quindi, una volta schivato l’ordigno, di aver sparato tre colpi, uno dei quali colpisce e uccide Mara Cagol. Tale versione cercherebbe dunque di togliere ogni dubbio rispetto alla legittimità della morte della brigatista, per evitare che si facesse strada la versione di chi preferiva parlare di un’esecuzione più che di una legittima difesa da parte del CC. Vale la pena di soffermarsi brevemente anche sul ritratto che i giornali si affannarono a dare di Mara, definendola una ragazza “normale”, con una vita “tranquilla”, che amava studiare, suonare, fare sport…e si chiedevano come fosse finita così, che cosa fosse successo, quale fosse stato l’evento che aveva segnato un “prima” ed un “dopo” nella sua vita. A differenza di altri casi in cui, trattandosi di uomini, la stampa non esitava a sbattere il mostro in prima pagina e a darlo in pasto all’opinione pubblica, nel restituire il ritratto di Mara Cagol era palese la difficoltà nel parlare di una donna che aveva intrapreso scientemente la scelta della lotta armata.

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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